"Juventus gigante d'Europa. Guardiola mi piace, ma l'ispirazione è Diniz". E su Motta...

Le parole del tecnico sudafricano Rulani Mokwena, stratega dei marocchini e secondo rivale dei bianconeri negli Stati Uniti

Dopo aver intervistato il serbo “Vlada” Ivic, allenatore dell’Al Ain primo avversario della Juventus nel prossimo Mondiale Club in USA fra due mesi esatti, oggi ospitiamo su Tuttosport il tecnico sudafricano Rulani Mokwena, stratega dei marocchini del Wydad, il secondo rivale dei bianconeri. Giovanissimo (38 anni), laureato, assistito dall’autorevole avvocato-agente d’origine polacca Steven Kapeluschnik, l’allenatore nato a Johannesburg è approdato a Casablanca la scorsa estate in sostituzione del franco-marocchino Ben Askar. È stato soprannominato “Achraf” che in arabo significa “Onorevole”. In precedenza aveva portato i Mamelodi Sundowns di Pretoria alla conquista degli ultimi due campionati sudafricani e al trionfo nella prima edizione dell’African Football League: sconfisse nella doppia finale proprio il Wydad... 

 
“Coach” Mokwena, il 22 giugno affronterete la Juventus a Philadelphia nella Coppa del Mondo Club della FIFA: come “inquadra” la sfida? C’è ancora molta differenza tra il calcio europeo e quello africano? 
«Questa partita contro la Juventus è una splendida opportunità per metterci alla prova contro uno dei giganti del calcio europeo. Si tratta d’imparare e crescere come squadra. Il divario tra il calcio europeo e quello africano si sta riducendo, ne siamo stati testimoni durante le recenti Olimpiadi e la Coppa del Mondo, dove il Marocco ha raggiunto le semifinali, ma ci sono ancora differenze, soprattutto in termini di risorse e infrastrutture. Tuttavia la conoscenza, il talento e la passione esistono in entrambi i continenti e questo è qualcosa che speriamo di portare in ogni partita». 
 
C’è un po’ d’invidia per i vostri “cugini” nordafricani dell’Al Ahly Cairo, 12 volte vincitori (e campioni in carica) della CAF Champions League? 
«Direi che invidia è una parola un po’ troppo forte. C’è rispetto e ammirazione per i risultati ottenuti dall’Al Ahly. Il loro successo è ammirevole, non c’è dubbio. I “Diavoli Rossi” del Cairo sono un punto di riferimento per tutti i club africani: è la dimostrazione che è possibile, con la stabilità, il duro lavoro e l’onestà, aspirare a raggiungere livelli simili. Uno sprone. Sento che il club ha la capacità di essere all’altezza dei nostri famosi rivali». 


Come ha trovato la situazione al “Castello Rosso”, la squadra più famosa, storica, titolata e amata (ndr: Wydad in arabo significa amore) del Paese? 
«Io e il mio staff siamo approdati in club con una storia profonda e tifosi appassionati. Desiderosi di cancellare i momenti tristi delle ultime due stagioni. Purtroppo abbiamo trovato una squadra in uno stato triste e regressivo. Non avevamo giocatori. Mancava una squadra. Mancava un’identità. Mancava una cultura e una personalità di squadra. Non c’era uno staff. Sapevamo di aver bisogno di tempo e abbiamo delineato un processo in varie fasi per risvegliare un gigante addormentato».  

 

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Il modello  Guardiola e la filosofia di gioco

Come si sente dopo 9 mesi a Casablanca? 
«Le difficoltà hanno messo a dura prova me e lo staff, ma sono convinto che possiamo fare grandi cose. Quando mi guardo indietro, mi rendo conto che verrei ancora qui – anche con tutti i preconcetti e i consigli di non farlo – e farei tutto nello stesso modo in cui l’ho fatto. È un club speciale e credo che tornerà ai suoi giorni di gloria, ma se così non fosse (ndr: Mokwena ha firmato fino al 2027 con clausola a suo favore di 1 milione di dollari in caso di esonero prematuro), spero di contribuire a far sì che il prossimo allenatore non trovi la squadra nello stesso stato in cui l’ho trovata io». 
 
A chi s’ispira? Al suo celebre zio Dr. Jomo Sono “The Black Prince”, leggenda vivente del calcio “Bafana Bafana”, fondatore, proprietario, presidente e allenatore degli Jomo Cosmos? O a suo padre Julius, ex giocatore degli Orlando Pirates? 
«La famiglia è sempre stata la mia pietra miliare. A cominciare dal mio defunto nonno Eric Scara Sono. Il presidente degli Orlando Pirates mi ha raccontato grandi storie su di lui come giocatore e soprattutto come leader. È una persona con cui vorrei avere una linea diretta per comunicare in cielo. Mio zio Jomo e mio padre Julius hanno entrambi plasmato profondamente la mia comprensione del gioco». 
 
Tra gli allenatori ora in voga, qual è il suo modello e perché? 
«L’innovazione tattica e la dedizione al bel calcio di Pep Guardiola mi colpiscono. È un grande tecnico che cerca sempre di sviluppare se stesso e i migliorare i suoi giocatori. Un aspetto fondamentale. Apprezzo la capacità di Klopp d’ispirare e di entrare in contatto con i calciatori. Mourinho è e sarà sempre il mio idolo numero 1. È il primo vero tecnocrate. È incredibile ciò che è riuscito a fare. Anche Ancelotti è un vincente che dà una buona impronta. Wenger, Schmidt, Bielsa e De Zerbi sono altri allenatori di cui ho seguito e studio la metodologia». 
 
Qual è la sua filosofia di gioco? 
«Quella del relazionismo posizionale promossa dall’ex ct brasiliano Fernando Diniz. Ho viaggiato due volte in Brasile negli ultimi due anni per studiare e familiarizzare con questo modello di gioco. Tutto si basa sull’adattabilità, sulla flessibilità e sulla comprensione. Puntiamo a controllare le partite attraverso un possesso intelligente e un pressing incisivo». 

 

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I punti di forza del Wydad. E su Motta...

Ci presenti il Wydad. Quali i punti di forza e le aree di miglioramento? 
«Siamo una squadra ancora in fase di transizione. La sua storia parla di un club che è sempre stato ricco di talento e cuore. Siamo un “work in progress” di un “team” che sta costruendo la personalità e il carattere». 
 
Qual è il giocatore che può creare più problemi alla Juve? Forse l’esperto olandese d’origine marocchina Mohamed Rayhi, 12 gol in 24 partite? 
«La comprensione di Rayhi delle fasi di transizione e la sua abilità nel leggere eventuali incertezze difensive dei rivali potrebbero creare squilibrio nella Juventus. Noi dovremo essere al meglio, da Benabid e Harkass a Malsa, Zemraoui, Moubarik, Moutaraji a centrocampo fino a Mailula, Obeng e Lorch davanti». 
 
Siete terzi nella “Botola 1 Pro Inwi”, molto lontani dal primo posto e reduci da 5 pari. Cosa manca per tornare a vincere? 
«Dobbiamo approfondire la nostra comprensione dell’occupazione dello spazio e degli scambi posizionali, ottimizzando le transizioni in fase offensiva e difensiva. La chiave sta nel migliorare la nostra compattezza verticale mantenendo la fluidità laterale». 
 
Com’è il suo rapporto con il nuovo presidente e uomo politico Hicham Aït Menna? 
«Si basa sul rispetto reciproco e su una visione condivisa del club. Le nostre comunicazioni sono frequenti. Auspico che il Wydad non commetta l’errore di perdere un presidente così importante. Il club è in buone mani e prego che, qualunque cosa accada, la gente gli dia abbastanza tempo per portare a termine il suo progetto». 

 

Che idea s’è fatto sul licenziamento in tronco di Motta? 
«La situazione della Juventus sotto la guida di Motta serve a ricordare la natura volatile del calcio, un panorama in cui i trionfi possono rapidamente trasformarsi in processi. Il malcontento dei tifosi era palpabile, ma è fondamentale affrontare questa trasformazione con una comprensione sfumata delle complessità coinvolte. I club più stabili hanno un grande successo a lungo termine. E il successo nel calcio ama la stabilità. Vedi gli esempi attualissimi di Inter e Arsenal. La visione di Motta per la Juventus è sembrata in disaccordo con l’illustre storia del club, ma abbiamo visto il suo lavoro col Bologna e quella era una delle squadre più studiate da molti di noi». 

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Dopo aver intervistato il serbo “Vlada” Ivic, allenatore dell’Al Ain primo avversario della Juventus nel prossimo Mondiale Club in USA fra due mesi esatti, oggi ospitiamo su Tuttosport il tecnico sudafricano Rulani Mokwena, stratega dei marocchini del Wydad, il secondo rivale dei bianconeri. Giovanissimo (38 anni), laureato, assistito dall’autorevole avvocato-agente d’origine polacca Steven Kapeluschnik, l’allenatore nato a Johannesburg è approdato a Casablanca la scorsa estate in sostituzione del franco-marocchino Ben Askar. È stato soprannominato “Achraf” che in arabo significa “Onorevole”. In precedenza aveva portato i Mamelodi Sundowns di Pretoria alla conquista degli ultimi due campionati sudafricani e al trionfo nella prima edizione dell’African Football League: sconfisse nella doppia finale proprio il Wydad... 

 
“Coach” Mokwena, il 22 giugno affronterete la Juventus a Philadelphia nella Coppa del Mondo Club della FIFA: come “inquadra” la sfida? C’è ancora molta differenza tra il calcio europeo e quello africano? 
«Questa partita contro la Juventus è una splendida opportunità per metterci alla prova contro uno dei giganti del calcio europeo. Si tratta d’imparare e crescere come squadra. Il divario tra il calcio europeo e quello africano si sta riducendo, ne siamo stati testimoni durante le recenti Olimpiadi e la Coppa del Mondo, dove il Marocco ha raggiunto le semifinali, ma ci sono ancora differenze, soprattutto in termini di risorse e infrastrutture. Tuttavia la conoscenza, il talento e la passione esistono in entrambi i continenti e questo è qualcosa che speriamo di portare in ogni partita». 
 
C’è un po’ d’invidia per i vostri “cugini” nordafricani dell’Al Ahly Cairo, 12 volte vincitori (e campioni in carica) della CAF Champions League? 
«Direi che invidia è una parola un po’ troppo forte. C’è rispetto e ammirazione per i risultati ottenuti dall’Al Ahly. Il loro successo è ammirevole, non c’è dubbio. I “Diavoli Rossi” del Cairo sono un punto di riferimento per tutti i club africani: è la dimostrazione che è possibile, con la stabilità, il duro lavoro e l’onestà, aspirare a raggiungere livelli simili. Uno sprone. Sento che il club ha la capacità di essere all’altezza dei nostri famosi rivali». 


Come ha trovato la situazione al “Castello Rosso”, la squadra più famosa, storica, titolata e amata (ndr: Wydad in arabo significa amore) del Paese? 
«Io e il mio staff siamo approdati in club con una storia profonda e tifosi appassionati. Desiderosi di cancellare i momenti tristi delle ultime due stagioni. Purtroppo abbiamo trovato una squadra in uno stato triste e regressivo. Non avevamo giocatori. Mancava una squadra. Mancava un’identità. Mancava una cultura e una personalità di squadra. Non c’era uno staff. Sapevamo di aver bisogno di tempo e abbiamo delineato un processo in varie fasi per risvegliare un gigante addormentato».  

 

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