Tudor, nuovo vertice con Comolli: le richieste per far tornare grande la Juve

Dopo i discorsi per Conte e Gasperini, Igor pronto a giocarsi le sue chance di permanenza, sempre più alte

TORINO - Alla fine, cosa c’è di più importante? Essere un leader è esattamente questo: portare tutti dalla propria parte, diventare il traino e non finire per essere quello da trainare. Igor Tudor, a prescindere dalla qualificazione in Champions ottenuta sul fil di sirena, è stato l’uomo in grado di portare armonia lì dove resistevano un po’ di incendi appiccati, personalità straobordanti, addirittura silenzi estremamente rumorosi. L’ha fatto con una ricetta vecchia - almeno - quanto il calcio: ha alzato la voce, ma solo per parlare, niente toni accusatori o richiami all’ordine, né alla juventinità, come da dribbling veloci già alle prime domande nella conferenza stampa di presentazione. No, Igor, nonostante il ricordo convidiso delle botte (forti) in campo, date e prese, con i ragazzi bianconeri ha avuto un atteggiamento paterno. Che non vuol dire baci e abbracci, cioè non solo: è stata semmai un’apertura totale a problemi, situazioni, quel fare da psicologo pronto ad aiutarti nel momento in cui il vortice dei pensieri gira tanto forte come quello della paura di non arrivare all’obiettivo. E dato che era sì fondamentale, arrivare all’obiettivo, il modus operandi si è composto di step e non di tagli netti. Primo passo: dov’è che fa male? Dappertutto. Ma di più dal punto di vista tattico, considerate le goleade prese con l’Atalanta prima e con la Fiorentina poi, match decisivi per una scelta pronta a esser presa già da tempo, in attesa della controprova del campo. Puntualissima.

Comunque, storie di un’altra vita, di quando era appena sbocciata la primavera e i ribaltoni non erano nemmeno all’orizzonte, sebbene già nelle idee di John Elkann. Ora c’è Damien Comolli, nuovo direttore generale, e contro ogni pronostico si è rivelato un alleato della continuità. Nel primo incontro con l’allenatore, c’è stato il tempo di un saluto cordiale e di una condivisione di vedute, con le richieste del tecnico in linea con le possibilità della società. Per capirci: Igor non ha mica chiesto la luna, semmai si è presentato con una candidatura concreta, fatta di conoscenza della squadra, di un curriculum importante - il dg aveva già avuto modo di seguirlo quando era stato chiamato al Marsiglia - e poi di una credibilità che altri potenziali tecnici juventini avrebbero fatto più fatica a ottenere. Sfumato il totem Conte - e avrebbe messo tutti d’accordo -, già con Gasperini è iniziata a generarsi una differenza di vedute tra l’area più moderna e quella più conservatrice.

 

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La squadra ha votato Tudor

E a proposito di elezioni: spesso il risultato finale è la traduzione dei punti di vista, persino di quelli più disparati. Il croato ha guadagnato esattamente quella casella: dà seguito al lavoro, ha una visione interessante, ma soprattutto è in totale sintonia con il gruppo. Un elemento non da poco, anzi decisivo: è stata la squadra per intero a votare per Tudor, e l’ha fatto internamente e nelle dichiarazioni pubbliche. A partire dal capitano, Manuel Locatelli, proseguendo con Weston McKennie e la vecchia guardia. Gli ultimi arrivati si sono legittimamente accodati, poi c’è chi ha giocato meno, chi l’ha fatto di più, chi è stato elemento fondamentale e chi una parte per il tutto. Così è il calcio, specialmente se a febbraio sei fuori da ogni competizione, rischiando inoltre di capitolare per un’incompatibilità generale, tra l’altro l’eredità più pesante e pressante tra i file sulla scrivania del mister. Che oggi riprende esattamente da dove aveva lasciato una settimana fa: testa e gambe, comprensione e ascolto, quindi il nuovo incontro con Comolli, impegnato negli uffici con affaccio sul campo d’allenamento. Con il direttore, tanti temi aperti: il mercato, il presente, però pure un inevitabile accenno sul futuro, perché la posizione del croato, per quanto solida all’apparenza, avrebbe comunque bisogno di una rinsaldata. Insieme ai quattro colpi chiesti - uno per reparto, ma un paio in attacco e senza contare la conferma di Kolo Muani -, l’obiettivo sarà comprendere la direzione intrapresa e quale sia il traguardo a cui legittimamente ambire. Di sicuro, troveranno i calciatori dalla parte di Tudor.

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Bezhani e la corsa al nuovo ds

Ci siamo, ma non del tutto. Nel senso: è vero che la Juventus, per gestire l’area scouting, una decisione l’abbia ormai già presa. Però per liberare Viktor Bezhani dal Tolosa servirà comunque un po’ di pazienza, probabilmente un filo di diplomazia, nuovi passaggi che alla Continassa sembrano dati quasi per scontati. Non sarà oggi il suo primo giorno, questo è poco ma sicuro, tuttavia il board bianconero conta di aprirgli le porte della sede quanto prima, magari in tempo per trovargli un posto sul volo per gli Stati Uniti, dunque un giro di giorni. Il motivetto è di fatto sempre lo stesso e viene recitato in maniera convincente: niente fretta. Vale per la questione capo scout, vale inoltre per il tema dei temi, ossia quello del direttore sportivo. Le ultime novità che filtrano da zona Juve spiegano la volontà dei bianconeri di procedere comunque, di non riuscire a immaginarsi senza un uomo dietro al calciomercato e (soprattutto) alla squadra, oltre ovviamente alle figure importanti di Comolli e Chiellini. Ecco: nessuno dei due si sostituirà pure in quel ruolo, per il quale la direzione ha quantomeno definito un identikit più chiaro, contorni e lineamenti. L’idea è di prendere una figura che conosca perfettamente l’ambiente italiano, quello in cui inevitabilmente dovrà sguazzare, per talenti e principalmente per rapporti. Lopez pertanto sembra fuori, Salihamidzic in Serie A ci ha giocato ma mai operato. Chi resta? Nel gioco delle esclusioni, la sagoma sembra disegnata alla perfezione per Frederic Massara, ex Milan, con cui si sono registrati alcuni contatti nella scorsa settimana. In mattinata si ritorna all’opera e gli uffici saranno di nuovo pieni. Di persone come di intuizioni. Toccherà restare connessi. 

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TORINO - Alla fine, cosa c’è di più importante? Essere un leader è esattamente questo: portare tutti dalla propria parte, diventare il traino e non finire per essere quello da trainare. Igor Tudor, a prescindere dalla qualificazione in Champions ottenuta sul fil di sirena, è stato l’uomo in grado di portare armonia lì dove resistevano un po’ di incendi appiccati, personalità straobordanti, addirittura silenzi estremamente rumorosi. L’ha fatto con una ricetta vecchia - almeno - quanto il calcio: ha alzato la voce, ma solo per parlare, niente toni accusatori o richiami all’ordine, né alla juventinità, come da dribbling veloci già alle prime domande nella conferenza stampa di presentazione. No, Igor, nonostante il ricordo convidiso delle botte (forti) in campo, date e prese, con i ragazzi bianconeri ha avuto un atteggiamento paterno. Che non vuol dire baci e abbracci, cioè non solo: è stata semmai un’apertura totale a problemi, situazioni, quel fare da psicologo pronto ad aiutarti nel momento in cui il vortice dei pensieri gira tanto forte come quello della paura di non arrivare all’obiettivo. E dato che era sì fondamentale, arrivare all’obiettivo, il modus operandi si è composto di step e non di tagli netti. Primo passo: dov’è che fa male? Dappertutto. Ma di più dal punto di vista tattico, considerate le goleade prese con l’Atalanta prima e con la Fiorentina poi, match decisivi per una scelta pronta a esser presa già da tempo, in attesa della controprova del campo. Puntualissima.

Comunque, storie di un’altra vita, di quando era appena sbocciata la primavera e i ribaltoni non erano nemmeno all’orizzonte, sebbene già nelle idee di John Elkann. Ora c’è Damien Comolli, nuovo direttore generale, e contro ogni pronostico si è rivelato un alleato della continuità. Nel primo incontro con l’allenatore, c’è stato il tempo di un saluto cordiale e di una condivisione di vedute, con le richieste del tecnico in linea con le possibilità della società. Per capirci: Igor non ha mica chiesto la luna, semmai si è presentato con una candidatura concreta, fatta di conoscenza della squadra, di un curriculum importante - il dg aveva già avuto modo di seguirlo quando era stato chiamato al Marsiglia - e poi di una credibilità che altri potenziali tecnici juventini avrebbero fatto più fatica a ottenere. Sfumato il totem Conte - e avrebbe messo tutti d’accordo -, già con Gasperini è iniziata a generarsi una differenza di vedute tra l’area più moderna e quella più conservatrice.

 

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