“Il vero colpo di mercato della Juve e l’arma in più. Yildiz? Ha detto tutto Chiellini”

La sessione estiva dei bianconeri raccontata da Giorgio Perinetti, uno degli storici dirigenti del calcio italiano: “Comolli ha preso profili interessanti”

TORINO - C’è chi studia il mercato al computer, e chi lo sente nelle ossa. Giorgio Perinetti non ha mai smesso di fiutare talento. Pochi mesi fa ha detto di sì all’Athletic Palermo, l’ennesima sfida in una carriera vissuta senza comode retrovie. Oggi come ieri, è lì dove si decide tutto: tra intuizione e rischio, dove le formule non bastano: «L’Athletic è una società che è partita pochi anni fa con tre soci per puro divertimento - racconta Perinetti -. Ora i membri sono 11 e poco a poco sono riusciti a portarla in Serie D per dargli una connotazione sempre più professionale. Io sto cercando di portare la mia esperienza per coordinare tutte le attività. La nostra rosa comprende calciatori argentini, polacchi, austriaci: è una multinazionale del pallone, in cui fanno parte anche diversi ragazzi siciliani. Per il momento non possiamo pensare alla promozione immediata: ci sono realtà che sono molto più grandi di noi. L’obbiettivo principale coincide con il mantenere la categoria, continuare a crescere e aumentare la qualità del settore giovanile». 
  
Lei ha vissuto in prima linea tutte le fasi del calciomercato. Che differenze riscontra nel modus operandi contemporaneo? 
«Oggi hanno un ruolo sempre più centrale gli intermediari: profili che si inseriscono nelle operazioni di mercato per facilitarle. Il problema è che queste figure - indirettamente - hanno finito per complicare i rapporti tra le società. Penso a Inter e Atalanta che per trattare, pur essendo a 40 chilometri di distanza l’una dall’altra - si avvalgono di questi professionisti. Si è un po’ disumanizzato il modo di fare calciomercato, o meglio quel modo di operare che era fatto di rapporti, di contatti continui, di cene, discussioni e incontri dal vivo: tutti espedienti propedeutici per creare un clima amichevole e rilassato. Oggi invece ci troviamo a navigare in un mercato nervoso, asettico».

C’è poi chi si lamenta della durata stessa del mercato e del fatto che chiuda a campionato già iniziato... 
«È una follia. Questo meccanismo finisce per sottoporre allenatori e giocatori a un carico di pressione evitabilissimo. Il fatto che nella passata stagione siano saltate 13 panchine su 20 in Serie A dimostra che manca progettualità. Si naviga a vista. Guardate cosa è successo alle big del nostro campionato: Inter, Milan, Napoli e Juve hanno chiuso i colpi più importanti nelle ore finali del calciomercato».

© RIPRODUZIONE RISERVATATutte le news di Juventus

"Urla, zuffe, schiaffi..."

Mi racconta un po’ che aria si respirava negli hotel milanesi a poche ore dalla chiusura del mercato? 
«Una volta la presenza nelle sedi del calciomercato era essenziale per chiudere le trattative. I contratti erano cartacei e in quanto tali andavano depositati fisicamente, con le firme di tutti i diretti interessati: società cedente, società acquirente, procuratore e giocatore. Quindi ti chiudevi nelle stanze degli alberghi e facevi mercato. Ho visto e sentito di tutto: urla, liti, zuffe, schiaffi. Un circo bellissimo. Oggi i contratti sono digitali e i giocatori, belli comodi, li firmano in vacanza da sotto all’ombrellone; i procuratori gestiscono tre trattative contemporaneamente; e le due società restano nelle rispettive sedi. Non è facile venirsi incontro da dietro uno schermo con le videocall. È una forma di comunicazione troppo impersonale, rarefatta…». 
 
Che idea si è fatto sul calciomercato delle italiane? Alla fine solo in Premier hanno speso di più… 
«Spendiamo tanto, ma c’è troppa improvvisazione. Non esista mai una via prediletta: ogni club studia sempre 4/5 alternative. Penso alla Juve che ha trattato per mesi con il Psg nella speranza di tenersi Kolo, per poi virare in extremis su Openda». 
 
L’ha convinta il mercato dei bianconeri? Per la prima volta dopo anni hanno scelto di puntare solo su profili in arrivo dall’estero. 
«Tutto sommato dire di sì. Comolli ha preso giocatori interessanti. Penso che la Juve, grazie al pragmatismo di Tudor, alla sua la volontà di dare profondità al gioco con profili di qualità abili nell’uno contro uno, sia cresciuta. Non so se sia il reparto offensivo sia il più forte della Serie A, ma di certo offre all’allenatore tante possibilità di scelta. Vlahovic è rimasto e potrà rivelarsi un’arma in più preziosa, come ha dimostrato nelle prime due uscite di campionato. Ma per me il miglior acquisto della Juve, e forse di tutto il mercato di Serie A, resta il recupero di Bremer. È un top. Senza dimenticare la conferma di Yildiz: un fenomeno che se avrà la pazienza di crescere senza accontentarsi si toglierà grandi soddisfazioni. Sottoscrivo quanto detto da Chiellini, e cioè che il turco avrebbe giocato titolare in tutte le formazioni bianconere degli ultimi 40 anni».

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Vlahovic, Gattuso e Conte

Che mi dice di Vlahovic? Non le sembra più sereno e ispirato ora che non deve più sobbarcarsi da solo tutto il peso dell’attacco juventino? 
«Può essere, ma credo che dipenda tutto dalla fiducia dimostratagli da Tudor, che comunque l’ha sempre preso in considerazione. Il tecnico croato ha fatto scudo, non curandosi delle dinamiche economiche e trattandolo come un tesserato qualunque. Questo può averlo aiutato… Stimo molto Igor: penso che abbia il carattere per allenare una piazza complicata come quella bianconera».

Pensa che in futuro Vlahovic e la Juventus possano tornare a parlare di rinnovo? 

«Non credo, ma nulla è impossibile. Di sicuro nei mesi i rapporti tra le parti si distenderanno se Dusan continuerà a segnare con questa continuità». 
 
È mai stato vicino a tesserare uno dei bianconeri di Tudor? 
«Solo Locatelli, quando ero al Genoa. Ma il mio amico Gattuso pose il veto e alla fine non se ne fece nulla. Manuel mi piace: è un giocatore di qualità e sostanza». 

Ha sentito Ringhio da quando è stato nominato ct?  
«Sì, più volte: è carico. Conte in 21 giorni nel ritiro di Montpellier riuscì a plasmare una squadra che superò facilmente Belgio e Spagna per poi arrendersi ai rigori solo contro la Germania campione del mondo. Questo per dire che Gattuso - avendo a disposizione solo 4/5 stage - non sarà chiamato a fare chissà quali rivoluzioni tattiche. Semmai, cercherà di trasmettere la sua passione, il suo entusiasmo e la sua voglia. Ed è proprio quello di cui ha bisogno l’Italia in questo momento. Non voglio neanche pensare a un’altra esclusione dai mondiali. Certo, non possiamo più permetterci di sbagliare». 
 
A proposito di Conte, che ne pensa del mercato del Napoli? 
«Hanno chiuso operazioni intelligenti, tappando tutti i ruoli vacanti. Mi preoccupa l’infortunio di Lukaku: è il polo offensivo degli azzurri. Un profilo fondamentale. Starà ad Antonio inventarsi qualcosa di nuovo per aiutare la squadra a sviluppare il proprio gioco». 
 
E della Roma che mi dice? 
«Il loro problema è rimasto sostanzialmente lo stesso: nessuno ha mai spiegato ai media quale sia la direzione sportiva del club. Ora è arrivato Gasperini che è un tecnico sanguigno. Mi ha stupito come scelta, perché ha dei dogmi completamente diversi da Ranieri…». 
 
Insomma, chi lo vince lo scudetto? 
«Continuo a vedere Napoli e Inter davanti a tutte. Poi dopo arriva la Juve e una tra Roma e Milan. Vedremo…».

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TORINO - C’è chi studia il mercato al computer, e chi lo sente nelle ossa. Giorgio Perinetti non ha mai smesso di fiutare talento. Pochi mesi fa ha detto di sì all’Athletic Palermo, l’ennesima sfida in una carriera vissuta senza comode retrovie. Oggi come ieri, è lì dove si decide tutto: tra intuizione e rischio, dove le formule non bastano: «L’Athletic è una società che è partita pochi anni fa con tre soci per puro divertimento - racconta Perinetti -. Ora i membri sono 11 e poco a poco sono riusciti a portarla in Serie D per dargli una connotazione sempre più professionale. Io sto cercando di portare la mia esperienza per coordinare tutte le attività. La nostra rosa comprende calciatori argentini, polacchi, austriaci: è una multinazionale del pallone, in cui fanno parte anche diversi ragazzi siciliani. Per il momento non possiamo pensare alla promozione immediata: ci sono realtà che sono molto più grandi di noi. L’obbiettivo principale coincide con il mantenere la categoria, continuare a crescere e aumentare la qualità del settore giovanile». 
  
Lei ha vissuto in prima linea tutte le fasi del calciomercato. Che differenze riscontra nel modus operandi contemporaneo? 
«Oggi hanno un ruolo sempre più centrale gli intermediari: profili che si inseriscono nelle operazioni di mercato per facilitarle. Il problema è che queste figure - indirettamente - hanno finito per complicare i rapporti tra le società. Penso a Inter e Atalanta che per trattare, pur essendo a 40 chilometri di distanza l’una dall’altra - si avvalgono di questi professionisti. Si è un po’ disumanizzato il modo di fare calciomercato, o meglio quel modo di operare che era fatto di rapporti, di contatti continui, di cene, discussioni e incontri dal vivo: tutti espedienti propedeutici per creare un clima amichevole e rilassato. Oggi invece ci troviamo a navigare in un mercato nervoso, asettico».

C’è poi chi si lamenta della durata stessa del mercato e del fatto che chiuda a campionato già iniziato... 
«È una follia. Questo meccanismo finisce per sottoporre allenatori e giocatori a un carico di pressione evitabilissimo. Il fatto che nella passata stagione siano saltate 13 panchine su 20 in Serie A dimostra che manca progettualità. Si naviga a vista. Guardate cosa è successo alle big del nostro campionato: Inter, Milan, Napoli e Juve hanno chiuso i colpi più importanti nelle ore finali del calciomercato».

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