Pagina 2 | Rabiot-Juve, milioni di rimpianti: nessuna proposta e quella frase di Giuntoli che preferì Koopmeiners

Le aspettative, i fischi, gli applausi, “Cavallo Pazzo”, le corse, le reti trovate - grazie anche ad Allegri -, la crescita, la fascia di capitano. E la fine. Come? Sì, la fine. Del contratto e del rapporto. Tipo un film che s’interrompe sul più bello, come quando va via la corrente e sei nel pieno di un’attività: è la fine. E non puoi farci nulla. Puoi solo subirla. Al limite alimentare qualche rimpianto venuto facilmente a galla, perché in fondo prima di un corto circuito c’è sempre un sovraccarico di elettricità. Ecco: la Juve sa esattamente come, quando, e perché sia arrivato. E nella chiusura della storia con Adrien Rabiot, arrivato nell’estate del 2019 come promessa fatta a Max e poi destinata a Sarri, andato via nel 2024 per un’altra promessa (stavolta spezzata) progettata attorno ai desideri del centrocampista, c’entra soprattutto l’orgoglio. Come in quasi tutti i racconti d’amore, del resto. Però d’amore vero. Che spesso terminano senza un motivo comprensibile: per le difficoltà a venirsi incontro, per le esigenze che all’improvviso non combaciano più e si spazzano allora via, da sole e quasi in un attimo.

Rabiot-Juve, cosa è successo

Sì, è accaduto proprio questo, o comunque una versione molto simile, iniziata con il primo strappo del 2023 - Adrien rinnova soltanto per un anno su consiglio dell’allenatore livornese, con un patto sigillato: ne avrebbero riparlato dopo, e su altre basi -, culminata con un silenzio spettrale un anno più tardi, quello in cui è Cristiano Giuntoli a irrompere e a prendere la decisione. Quindi la parola. Il 18 luglio 2024, l’allora capo dell’area sportiva bianconera liquida il francese con una sola frase durante la conferenza stampa di presentazione di Thiago Motta: «Volevo ringraziare Adrien: il 30 giugno è scaduto il suo contratto, gli auguriamo un felice futuro, professionale e non». Frasi di circostanza, per una decisione forte, comunque sofferta. A Motta non sarebbe dispiaciuto trattenere Rabiot: i due si conoscevano dai tempi di Parigi, tra le parti c’era stato più di qualche contatto per capire la disponibilità in termini di permanenza. Niente: il centrocampista era titubante e l’allenatore già un uomo solido (poi solo) al comando. Non ammetteva dubbi, Thiago. Nemmeno da chi aveva già dimostrato di poter fare la differenza con quella maglia. Neanche quelli che s’incastravano con vecchie trattative, situazioni in sospeso, strette di mano fatte e altrettante in procinto di arrivare. Per cui forse serviva solamente pazientare.

© RIPRODUZIONE RISERVATATutte le news di Juventus

Dalla Juve al Milan

Sembrava un grande equivoco e probabilmente lo è stato. Di sicuro, tra la società e il giocatore è andata esattamente così. Perché da una parte c’era la volontà del club di abbattere il monte ingaggi - operazione che prosegue ancora oggi, e proseguirà per un bel po’ di tempo -, dall’altra c’era l’ambizione di Rabiot non solo di rappresentare un simbolo della Juventus, ma di esserlo anche nei fatti. Ossia diventare il più pagato dello spogliatoio bianconero. Un capitano in pectore, ancor prima di ricevere la fascia, che nei progetti iniziali avrebbe successivamente ereditato da Danilo. Di nuovo: niente. Per capirci: nemmeno un’offerta formalmente presentata, semmai solo paventata. Il solco, pertanto, incolmabile. E nell’estate trascorsa senza squadra, ad aspettare una chiamata dall’Inghilterra mai veramente ricevuta, mentre la Juve spendeva 60 milioni per Koopmeiners anche con i risparmi accumulati dal suo addio, è sbucato il Marsiglia ed è sembrato un compromesso. Poi una luna di miele, almeno fino al caso con Rowe. Quindi il Milan. All’improvviso, ma fino a un certo punto: anche se non fosse stato costretto, non avrebbe mai rifiutato la chiamata di chi lo conosce e di chi l’ha subito messo nelle condizioni di dimostrare la sua qualità, il suo gioco. Con i rossoneri tornerà allo Stadium domenica e lo farà già da giocatore più decisivo della propria squadra. «Non sarà mai una partita uguale alle altre», ha ammesso Adrien. Col sorriso di chi ha generato milioni di rimpianti.

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Sembrava un grande equivoco e probabilmente lo è stato. Di sicuro, tra la società e il giocatore è andata esattamente così. Perché da una parte c’era la volontà del club di abbattere il monte ingaggi - operazione che prosegue ancora oggi, e proseguirà per un bel po’ di tempo -, dall’altra c’era l’ambizione di Rabiot non solo di rappresentare un simbolo della Juventus, ma di esserlo anche nei fatti. Ossia diventare il più pagato dello spogliatoio bianconero. Un capitano in pectore, ancor prima di ricevere la fascia, che nei progetti iniziali avrebbe successivamente ereditato da Danilo. Di nuovo: niente. Per capirci: nemmeno un’offerta formalmente presentata, semmai solo paventata. Il solco, pertanto, incolmabile. E nell’estate trascorsa senza squadra, ad aspettare una chiamata dall’Inghilterra mai veramente ricevuta, mentre la Juve spendeva 60 milioni per Koopmeiners anche con i risparmi accumulati dal suo addio, è sbucato il Marsiglia ed è sembrato un compromesso. Poi una luna di miele, almeno fino al caso con Rowe. Quindi il Milan. All’improvviso, ma fino a un certo punto: anche se non fosse stato costretto, non avrebbe mai rifiutato la chiamata di chi lo conosce e di chi l’ha subito messo nelle condizioni di dimostrare la sua qualità, il suo gioco. Con i rossoneri tornerà allo Stadium domenica e lo farà già da giocatore più decisivo della propria squadra. «Non sarà mai una partita uguale alle altre», ha ammesso Adrien. Col sorriso di chi ha generato milioni di rimpianti.

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