Pagina 3 | "Allegri, con i nuovi alla Juve non c'era più posto. Uomo di Agnelli, addio doloroso"

TORINO - Francesco Marroccu è indissolubilmente legato agli anni di Cagliari. Ed è ovviamente affezionato al periodo della gestione Allegri, la più entusiasmante della presidenza Cellino. Insieme hanno vissuto due stagioni storiche, a cavallo tra il 2008 e il 2010.

Francesco Marroccu, lei era il direttore generale del Cagliari durante la gestione Allegri. Ricorda il primo incontro col mister?
«Mi fece subito una grandissima impressione. Ma è stato Cellino a insistere, nel 2008 voleva soltanto lui: Allegri era stata la sua mezzala qualche anno prima a Cagliari e ha spinto tantissimo per il ritorno. Lui ci ha dato subito la disponibilità, ma il Sassuolo voleva esercitare l’opzione di rinnovo del contratto. Non è stato facile trattare con Giovanni Rossi, ma l’intelligenza di Max gli permise di ottenere ciò che voleva».

Avevate delle alternative ad Allegri?
«No, Cellino mi chiamava tutti i giorni per Allegri. Era diventato un chiodo fisso. Nonostante in Sardegna da giocatore non ebbe successo, anzi. Venne pagato 15 miliardi, doveva sostituire Matteoli, ma le cose non sono mai andate per il verso giusto. Eppure Cellino rimase stregato dal suo carisma. Aveva questo tarlo, così si è imputato e alla fine ha avuto ragione su Max».

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La profezia di Allegri

Le ha mai chiesto un giocatore sul mercato?
«Mai. Non ho mai sentito un nome da lui. Noi gli proponevamo dei giocatori e lui ci dava dei pareri, così diventava tutto più semplice. Max era veramente un aziendalista ed è sempre stato aperto al dialogo con la società. Ricordo, però, un parere profetico su un giocatore».

Quale?
«Lo avvisammo della trattativa che stavamo conducendo per portare Federico Marchetti a Cagliari. Prima di chiudere, ci rivolgemmo a lui. E Allegri ci disse: “Prendetelo subito, farà una grande carriera”. Due anni dopo ha giocato al Mondiale con la Nazionale».

Come siete riusciti a gestire i malumori della piazza dopo le prime cinque sconfitte in campionato?
«Fu meno complicato del previsto. Figuriamoci che gli facemmo firmare, proprio in quel periodo, un nuovo contratto in bianco: Cellino aveva una fiducia smisurata in lui. Era un rinnovo di due anni, ma il foglio sparì. Lui a fine stagione, nonostante la corte spietata della Lazio, decise comunque di restare a Cagliari. Fu riconoscente nei nostri confronti».

Eppure l’addio, nel 2010, fu turbolento.
«Sì, ma per un semplice motivo: Allegri aveva parlato col Milan da solo. E Cellino assisteva, da spettatore, alla trattativa. Galliani non gli aveva mai telefonato. Così il presidente, ad un certo punto, ha fatto muro. Mi diceva: “Se non parlano con me, non lo libero”. Così a piccoli passi Max agevolò il dialogo, fece lui stesso da mediatore tra Milan e Cagliari. Cellino poi lo lasciò senza nemmeno chiedere un euro».

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Allegri e il ritorno allo Stadium

Che sensazioni vivrà domani al ritorno all’Allianz Stadium?
«Sarà emozionato, molto emozionato. Lui è un pragmatico, ma un pochino gli tremeranno le gambe. Sicuramente è rimasto male per come ha lasciato la Juve. Era un uomo di Agnelli e ad un certo punto il rapporto è diventato fortissimo. A Torino, quando è cambiata l’intera dirigenza, non c’era più posto per lui. Adesso farà le fortune del Milan».

Nel vostro biennio insieme a Cagliari, cosa l’ha colpita di Allegri?
«La capacità di gestire il gruppo e la lettura delle partite in corsa. Penso al dosaggio di Matri e Lazzari. Erano i migliori e ha trovato il modo per farli incidere quasi sempre da subentrati. Eppure gli volevano bene».

Come gestisce le tensioni del gruppo?
«Una volta a cena chiamò Daniele Conti così: “Ciao capitano”. Ma il capitano era Diego Lopez, che andò puntualmente a riferire a Cellino. Allegri ha saputo ricomporre l’equivoco: gli bastava una battuta per sdrammatizzare».

Cellino era noto per la scaramanzia. Pure Allegri si fece contagiare?
«Sì, pensi che non volevano giocare coi palloni viola della Serie A. Trovammo dei modi incredibili per usare altri palloni nelle partite casalinghe: una volta ci giustificammo dicendo che si erano allagati i magazzini, un’altra volta comunicammo che i ladri ci avevano rubato i palloni. Sono stati due anni pazzi con Cellino e Allegri insieme, ma ci siamo divertiti».

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Che sensazioni vivrà domani al ritorno all’Allianz Stadium?
«Sarà emozionato, molto emozionato. Lui è un pragmatico, ma un pochino gli tremeranno le gambe. Sicuramente è rimasto male per come ha lasciato la Juve. Era un uomo di Agnelli e ad un certo punto il rapporto è diventato fortissimo. A Torino, quando è cambiata l’intera dirigenza, non c’era più posto per lui. Adesso farà le fortune del Milan».

Nel vostro biennio insieme a Cagliari, cosa l’ha colpita di Allegri?
«La capacità di gestire il gruppo e la lettura delle partite in corsa. Penso al dosaggio di Matri e Lazzari. Erano i migliori e ha trovato il modo per farli incidere quasi sempre da subentrati. Eppure gli volevano bene».

Come gestisce le tensioni del gruppo?
«Una volta a cena chiamò Daniele Conti così: “Ciao capitano”. Ma il capitano era Diego Lopez, che andò puntualmente a riferire a Cellino. Allegri ha saputo ricomporre l’equivoco: gli bastava una battuta per sdrammatizzare».

Cellino era noto per la scaramanzia. Pure Allegri si fece contagiare?
«Sì, pensi che non volevano giocare coi palloni viola della Serie A. Trovammo dei modi incredibili per usare altri palloni nelle partite casalinghe: una volta ci giustificammo dicendo che si erano allagati i magazzini, un’altra volta comunicammo che i ladri ci avevano rubato i palloni. Sono stati due anni pazzi con Cellino e Allegri insieme, ma ci siamo divertiti».

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