Buffon, la fermezza su Calciopoli e le ragioni dell’addio: “Quando li vedevo provavo disagio”

L’ex portiere della Juventus a margine di un riconoscimento: “Nazionale? Al 90% andremo allo spareggio”

Gianluigi Buffon, leggenda del calcio italiano e oggi capo delegazione della Nazionale, è stato protagonista ieri a Frabosa Sottana, in Piemonte, dove ha ricevuto il premio Castagna d’Oro. Un riconoscimento che celebra non solo il campione del mondo del 2006, ma anche l’uomo simbolo di un’epoca del calcio azzurro. Nel corso della cerimonia, Gigi si è raccontato a lungo, ripercorrendo le tappe salienti della sua carriera, tra trionfi, delusioni e rinascite. Ma non solo calcio: l’ex portiere ha parlato anche del suo nuovo ruolo in Federazione, della crescita dei giovani e del futuro dell'Italia e lo spareggio che incombe. E infine ha toccato anche un tema delicato come gli scudetti vinti con la Juve negli anni di Calciopoli.

Buffon, i suoi primi anni e il rapporto con Ilaria D'Amico

"Sono stato molto indulgente fino ai 20-21 anni, perché fino a quell’età mi sentivo in diritto di commettere e imparare dai miei errori" - ha spiegato Buffon. Poi ha proseguito: "Era una sorta di bonus, che tuttora ritengo giusto essermi concesso, in quanto raggiungere la fama in gioventù non significava assumere automaticamente la postura di un uomo adulto. Nella vita ho sempre cercato di guardarmi allo specchio e di non abbassare mai lo sguardo: ho commesso errori, ma in buona fede, in maniera autentica. Sono sempre stato autentico. Mi sono anche vergognato degli sbagli fatti, però li ho sempre pagati in prima persona. Questa è la forma migliore di apprendimento. Questo è l’unico modo per diventare un uomo migliore”.

Su Ilaria D'Amico: “Mi è sempre piaciuto cavalcare la mia vita, la mia onda. Ogni tanto eccedere, ogni tanto stare in disparte. Del resto, quando ti esponi tanto rischi di cadere, perché a certe latitudini il vento soffia forte. Oggi sono molto più sereno e felice rispetto a quand’ero ragazzo. Ilaria è la componente fondamentale del mio equilibrio, della mia felicità - ha affermato Buffon -. Inoltre, diventare padre e non rappresentare solo se stessi comporta un sapersi moderare negli eccessi. La mia vera indole è quella del ragazzo che entra in campo. Lo era anche quando avevo 45 anni, perché mi consentiva di esprimere la mia arte professionale e chi fossi io come persona, foss’anche per mezzo di una lite con un compagno o di un abbraccio con un avversario”.

 

 

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Un racconto sulla droga

Sul rapporto con la droga: "Sono uscito di casa a 13 anni e ho fatto tre o quattro anni di collegio, che è un insegnamento di vita, con tanti altri ragazzi che vivono situazioni quotidiane complicate - ha detto Buffon -. In questo ci sono anche dei rischi, con persone che in maniera peccaminosa possono traviarti e portarti su strade sbagliate. Quando però hai scale valoriali, puoi decidere se fare o meno delle scelte. A 16 anni ero a una festa dell’istituto di ragioneria di Parma e c’era un ragazzo divertente, che aveva, secondo me, il difetto di esagerare con le droghe. Quella sera bevemmo qualche bicchiere in più e lui mi mise in bocca una cosa. Non ho idea di cosa potesse essere, ma ho immediatamente capito: senza pensarci due volte ho preso la pasticca e gliel’ho tirata in faccia, perché non sarei più stato un esempio sportivo. Quella è stata la prima sliding door. Sono sicuro che, se avessi preso quella pasticca, avrei vissuto male quel momento con me stesso. Su certe cose devi essere tassativo: se inizi ad aprire delle finestre, diventa un problema”.

La ragione del ritiro

“Quando sotto la doccia vedevo accanto a me il fisico dei giocatori 20enni, provavo disagio. Mi dicevo: ‘Copriti, non puoi farti vedere così’” - ha detto Buffon, spiegando le ragioni che lo hanno portato al ritiro. Poi ha speso belle parole per Riva e Vialli, entrambi con un passato da capo delegazione della Nazionale: “Luca e Gigi sono stati - al di là del loro incarico - due delle cinque persone nel calcio che quando parlavano o quando avevo modo di interagire con loro, mi facevano sentire fortunato. Mi hanno lasciato qualcosa dopo ogni dialogo. Il fatto di aver preso il loro posto è una sorta di soddisfazione e orgoglio personale. Non voglio instaurare alcuna rivalità o sfida con i miei predecessori, in quanto lo sport mi ha insegnato a riconoscere e accettare quando qualcuno è migliore di te. Questi due soggetti sono superiori a me; io spero di essere utile, sapendo di non essere loro”.

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La Nazionale e le nuove generazioni

Sulla Nazionale: "La vera difficoltà è interagire con le nuove generazioni, diverse dalla nostra, e trovare la chiave per emozionarle e avere qualcosa in comune da condividere. In questo sono abbastanza bravo, nel mio 80 per cento di insensatezza riesco a essere stupido più di loro e questa mia stupidità genuina fa sì che si crei questo link naturale. Poi c’è un 20 per cento di estrema serietà: quando si deve migliorare, occorre intervenire e dirlo con fermezza e autorevolezza, perché si ottiene rispetto. A quel punto, hai libertà per assumere decisioni forti, ma non è facile: ci vuole un po’ di sensibilità. L'Italia? Al 90% andremo allo spareggio e queste ultime partite del girone dovranno prepararci per arrivarci in crescendo e mostrando le cose positive fatte vedere nelle ultime due gare. La spinta della gente e dei media in questo caso arriverebbe. Ecco, i media hanno bisogno di segnali da parte nostra, di credere in qualcosa di veramente forte. C’è bisogno di vedere attaccamento alla maglia”.

La Juve e la precisazione sugli scudetti

Durante la consegna del riconoscimento, la lettura della motivazione è stata seguita da una precisazione di Gianluigi Buffon: "Gli scudetti sono tredici e non undici, perché ci sono anche quelli vinti sul campo con la Juve e poi revocati con Calciopoli. Comunque, alla fine, più dei numeri contano le frasi che li hanno accompagnati, quindi grazie di cuore".

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Gianluigi Buffon, leggenda del calcio italiano e oggi capo delegazione della Nazionale, è stato protagonista ieri a Frabosa Sottana, in Piemonte, dove ha ricevuto il premio Castagna d’Oro. Un riconoscimento che celebra non solo il campione del mondo del 2006, ma anche l’uomo simbolo di un’epoca del calcio azzurro. Nel corso della cerimonia, Gigi si è raccontato a lungo, ripercorrendo le tappe salienti della sua carriera, tra trionfi, delusioni e rinascite. Ma non solo calcio: l’ex portiere ha parlato anche del suo nuovo ruolo in Federazione, della crescita dei giovani e del futuro dell'Italia e lo spareggio che incombe. E infine ha toccato anche un tema delicato come gli scudetti vinti con la Juve negli anni di Calciopoli.

Buffon, i suoi primi anni e il rapporto con Ilaria D'Amico

"Sono stato molto indulgente fino ai 20-21 anni, perché fino a quell’età mi sentivo in diritto di commettere e imparare dai miei errori" - ha spiegato Buffon. Poi ha proseguito: "Era una sorta di bonus, che tuttora ritengo giusto essermi concesso, in quanto raggiungere la fama in gioventù non significava assumere automaticamente la postura di un uomo adulto. Nella vita ho sempre cercato di guardarmi allo specchio e di non abbassare mai lo sguardo: ho commesso errori, ma in buona fede, in maniera autentica. Sono sempre stato autentico. Mi sono anche vergognato degli sbagli fatti, però li ho sempre pagati in prima persona. Questa è la forma migliore di apprendimento. Questo è l’unico modo per diventare un uomo migliore”.

Su Ilaria D'Amico: “Mi è sempre piaciuto cavalcare la mia vita, la mia onda. Ogni tanto eccedere, ogni tanto stare in disparte. Del resto, quando ti esponi tanto rischi di cadere, perché a certe latitudini il vento soffia forte. Oggi sono molto più sereno e felice rispetto a quand’ero ragazzo. Ilaria è la componente fondamentale del mio equilibrio, della mia felicità - ha affermato Buffon -. Inoltre, diventare padre e non rappresentare solo se stessi comporta un sapersi moderare negli eccessi. La mia vera indole è quella del ragazzo che entra in campo. Lo era anche quando avevo 45 anni, perché mi consentiva di esprimere la mia arte professionale e chi fossi io come persona, foss’anche per mezzo di una lite con un compagno o di un abbraccio con un avversario”.

 

 

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