Openda, istruzioni per l’uso: come sono state valorizzate le sue qualità

Negli ultimi cinque anni, giocando con tre squadre diverse, ha avuto due certezze: la titolarità e un partner d’attacco. Le differenze con l’utilizzo alla Juve e le certezze costruite

Loïs Openda sa fare gol. Tanti, anche. E sa pure farne fare ai compagni. Lo dicono i numeri della sua carriera: nelle ultime 5 annate, due trascorse con il Vitesse in Eredivisie, una al Lens in Ligue 1 e le ultime due al RB Lipsia in Bundesliga, ha timbrato 99 volte il cartellino. Significa che assicura una media di 20 reti per stagione, più anche una buona manciata di assist (11 nella scorsa, la migliore). Giudicando però le 5 presenze fin qui raccolte in maglia Juventus, due da titolare e tre da subentrante, di quel giocatore si è visto poco o nulla.

Certo, è passato poco più di un mese dal suo arrivo a Torino — anzi, pure meno se consideriamo gli impegni con la nazionale del Belgio. Ed è anche vero che ci sono intese con i nuovi compagni tutte da costruire, un ambiente nuovo. Ma non si può certo nascondere che le aspettative su di lui fossero comunque differenti, soprattutto alla luce di quanto mostrato in Germania.

Openda: ruoli, caratteristiche e certezze

Un periodo di adattamento è necessario per tutti, soprattutto per un giocatore che si è trovato inserito in un sistema nuovo, diverso da quello in cui era abituato a giocare. Partendo da un presupposto fondamentale, a scanso di equivoci: per tutta la sua carriera, Openda ha sempre giocato da punta. Da nove, anzi, magari da “nove e mezzo”, come è stato spesso ribattezzato, considerando quanto sia abile a svariare per il campo e venire incontro per crearsi la profondità da attaccare in accelerazione.

C’è però un dettaglio non da poco da considerare: esattamente come accaduto anche nel suo periodo al Lens e in precedenza al Vitesse, aveva al suo fianco un’altra prima punta. Non è mai stato l’unico riferimento, anzi, è sempre stato uomo ideale “da coppia” proprio per le sue caratteristiche associative e nella capacità di andare a vedere prima lo spazio che i compagni gli sapevano aprire.

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I dati delle tre esperienze

Non sembra affatto casuale che, analizzando i compagni con cui ha condiviso la maggioranza dei suoi minuti in campo, gli attaccanti siano sempre nei primissimi posti. Nei due anni a Lipsia ha disputato 75 delle sue 93 partite giocando insieme a un “9” classico come Benjamin Sesko e addirittura 77 insieme a Xavi Simons, il terzo del tridente da sogno smembrato la scorsa estate con una tripla cessione da quasi 200 milioni di euro totali. Stessa storia facendo un passo indietro all’esperienza con il Lens: 42 presenze totali sotto Frank Haise, di cui 41 facendo coppia in campo con Florent Sotoca, professione prima punta.

Altro dato comune alle tre esperienze in analisi: oltre l’80% di presenze partendo da titolare. 80 in 88 presenze al Vitesse, 32 su 42 al Lens, 84 in 93 al Lipsia. Insomma, non è un giocatore abituato a partire dalla panchina ed entrare per “spaccare la partita”, anche perché a livello di resistenza fisica, come si dice in gergo, “ne ha”. Eccome se ne ha. Di gol nelle ultime 5 stagioni da subentrato ne ha segnati solo 6, di cui 3 nella stessa partita contro il Tolosa quando vestiva la maglia del Lens. Tradotto: ha inciso dalla panchina in 4 partite sulle 27 in cui ha avuto spazio a gara in corso.

La continuità spezzata alla Juve

Una “doppia continuità” che di fatto ha visto spezzarsi con l’arrivo alla Juventus, che è certamente un club con un prestigio diverso rispetto agli altri, con una maglia che pesa di più, ma anche in una situazione non particolarmente semplice a livello ambientale e soprattutto di gerarchie offensive. D’altronde le porte girevoli del tridente sono quasi all’ordine del giorno.

Certo, averlo visto impiegato in coppia con Vlahovic nei minuti finali di Juve-Milan fa credere che, forse, anche Tudor stia cercando di metterlo a proprio agio, in quella comfort zone che gli può far ritrovare gol e quindi fiducia. In attesa che anche i tifosi bianconeri possano riscoprire quel giocatore con senso del gol, abile a costruirsi da solo il tiro e cercarsi sempre lo spazio giusto che Lipsia, Lens e Vitesse hanno saputo valorizzare.

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Loïs Openda sa fare gol. Tanti, anche. E sa pure farne fare ai compagni. Lo dicono i numeri della sua carriera: nelle ultime 5 annate, due trascorse con il Vitesse in Eredivisie, una al Lens in Ligue 1 e le ultime due al RB Lipsia in Bundesliga, ha timbrato 99 volte il cartellino. Significa che assicura una media di 20 reti per stagione, più anche una buona manciata di assist (11 nella scorsa, la migliore). Giudicando però le 5 presenze fin qui raccolte in maglia Juventus, due da titolare e tre da subentrante, di quel giocatore si è visto poco o nulla.

Certo, è passato poco più di un mese dal suo arrivo a Torino — anzi, pure meno se consideriamo gli impegni con la nazionale del Belgio. Ed è anche vero che ci sono intese con i nuovi compagni tutte da costruire, un ambiente nuovo. Ma non si può certo nascondere che le aspettative su di lui fossero comunque differenti, soprattutto alla luce di quanto mostrato in Germania.

Openda: ruoli, caratteristiche e certezze

Un periodo di adattamento è necessario per tutti, soprattutto per un giocatore che si è trovato inserito in un sistema nuovo, diverso da quello in cui era abituato a giocare. Partendo da un presupposto fondamentale, a scanso di equivoci: per tutta la sua carriera, Openda ha sempre giocato da punta. Da nove, anzi, magari da “nove e mezzo”, come è stato spesso ribattezzato, considerando quanto sia abile a svariare per il campo e venire incontro per crearsi la profondità da attaccare in accelerazione.

C’è però un dettaglio non da poco da considerare: esattamente come accaduto anche nel suo periodo al Lens e in precedenza al Vitesse, aveva al suo fianco un’altra prima punta. Non è mai stato l’unico riferimento, anzi, è sempre stato uomo ideale “da coppia” proprio per le sue caratteristiche associative e nella capacità di andare a vedere prima lo spazio che i compagni gli sapevano aprire.

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