TORINO - C’è un concetto generale da cui partire, soprattutto se si parla delle ultime settimane di Igor Tudor. Ed è questo: a lui, la sua squadra, è proprio piaciuta. Gli è piaciuta a Vila-Real, in un secondo tempo nel quale ha notato crescita e perseveranza; gli è piaciuta pure prima, con l’Atalanta, andando in controtendenza rispetto a parecchi adetti ai lavori. Con il Milan ha sfruttato le sue carte. Non aveva Bremer, ed era una defezione pesante. Non aveva nemmeno Thuram, ed è stata la vera mazzata. Alla quale ha provato a porre rimedio come poteva, come sapeva, forse peccando di coraggio. Però la posta in palio era così alta (con un ko, la pressione sarebbe aumentata a dismisura) da non dargli considerare altre opzioni, quantomeno le ha ritenute totalmente percorribili: nella sua idea, esplicitata poi dalla formazione, toccava abbottonarsi e rischiare il meno possibile. Davanti, qualcosa, sarebbe in fondo accaduto.
Il nodo attacco
Ed eccolo qui, il nodo. Quello più intricato, almeno: è al reparto offensivo che Tudor proprio non riesce a dare una sterzata, e soprattutto non sembra poter dare una spiegazione a sé, una risposta alle sue domande, una luce che rischiari il buio percepito attorno. Igor non è un allenatore da controller tra le mani, pronto a guidare i suoi come alla Play Station: ha sempre lasciato un ragionevole margine di manovra, in particolar modo quando ha avuto a disposizione calciatori dal talento assicurato, in grado di uscire con qualità dalle difficoltà come dalla pressione. Stavolta sì, era certo proprio di questo. Che erigendo il muro, il pallone sarebbe rimbalzato fino ad arrivare ai fantasisti, e dai fantasisti sarebbe arrivato il guizzo decisivo. Niente. Non con i rossoneri, almeno. Un caso? Ritiene di sì, in cuor suo. Comunque non un segnale e nemmeno un allarme, perché il tecnico in fondo pare abbia già deciso: alla ripresa, quando tornerà ad avere l’intera squadra a disposizione, riprenderà da dove aveva lasciato, iniziando dalla difesa a 3, senza fare voli pindarici o andare a cambiare l’assetto con cui lavora da mesi.
La variazione contro Allegri
L’unica variazione concessa finora è stata a gara in corso, domenica contro Allegri: era alla ricerca di soluzioni differenti e ha modificato l’intero attacco, proponendo un 3-5-2 con licenza - consegnata a McKennie - di svariare tra mediana e fronte offensivo. Per capirci: il sistema di gioco è stato sì modificato, ma è stato come giocare con il timone, una deviazione impercettibile dalla quale ricavare una direzione comunque differente. Chissà se basterà, in futuro. Di sicuro, è servita come prova a Tudor per testare una squadra meno dipendente dagli esterni. Perccò a due punte, vero elemento di rottura rispetto alla continuità di lavoro mantenuta a partire da fine marzo, quando è approdato alla Continassa sperando di imporsi quanto prima per avere più chance di permanenza. Ma quella Juventus era una squadra di nervi: li teneva saldi solo per non sfilacciarsi definitivamente. Anche questa lo è, però è più di pancia, è di reazione e non di controllo.
