Il metodo Comolli e le due finali di Champions: da Modric a Suarez a Moneyball, "Se sei la Juve..."

L'esperienza in Inghilterra e i colpi più importanti che nascono anche da scelte fuori dal campo: così l'attuale dg bianconero spiegava il suo modus operandi

Un solo uomo al comando. Damien Comolli è la mente di questa Juventus (in attesa del nuovo ds) e la persona al quale la proprietà ha deciso di affidare pieni poteri gestionali. Il Direttore generale bianconero vive per il calcio e ha ricoperto importanti ruoli in diverse società in tutta Europa, lasciando sempre la sua impronta anche negli anni successivi al suo addio. Gli esempi più grandi sono quelli di Tottenham e Liverpool, dove ha lavorato rispettivamente dal 2005 al 2008 e dal 2010 al 2012, segnando poi quello che sarebbe stato un percorso importante per entrambe le formazioni inglesi.

Il metodo Comolli

Ma in quale modo il dirigente francese riesce a costruire squadre che poi andranno a giocare la finale di Champions League? I segreti sono tanti e i retroscena e i "trucchi del mestiere" non mancano. Nel 2019 al quotidiano inglese Indipendent svelò diversi aneddoti sulle sue strategie per la gestione dei club, parlando nello specifico della sua esperienza tra Liverpool e Tottenham che in quel periodo si giocavano la finale di Champions League, raggiunta dai Reds anche l'anno prima. Il metodo che applica il francese per arrivare a costruire le sue squadre è quello del Moneyball: "Spesso viene frainteso - raccontava Comolli sei anni fa - Non si tratta tanto di aiutare a identificare quei giocatori. Tutto il mondo conosce quei giocatori. Ciò che i dati li hanno aiutati a fare, e tutte le analisi, mostrano che se spendi così tanti soldi per un giocatore, in realtà otterrai più dei tuoi soldi indietro. Perché ti porterà a un livello diverso".

Moneyball, Van Dijk e Allison

Il sucesso finale del principio del Moneyball è anche quello di creare dei veri e propri asset per le squadre: "Stabilisci quali giocatori sono sottovalutati sul mercato. Stabilisci ciò che il giocatore ti porterà come ritorno sull'investimento". Un principio chiaro che va ad applicare le basi dell'economia al fenomeno calcistico. "Diciamo che Salah valeva 100 milioni di sterline, ma il Liverpool ne ha pagati 40. Sapevano, guardando i dati, che il giocatore era sottovalutato dal club che lo aveva venduto sia dal mercato in generale". E, parlando dei costosi acquisti di Van Dijk e Allison: "Quando la gente dice che hanno speso troppo non sono d'accordo. Quei giocatori, se possiamo permetterceli, ci aiuteranno a guadagnare diversi punti in Premier o a vincere la Champions". Il successo del Moneyball è proprio questo secondo Comolli: "Se pagano 142 milioni di sterline per Van Dijk e Allison diranno che sono stati pagati troppo. Ma se poi vincono la Champions League? Nessuno poi direbbe lo stesso. Il principio del Moneyball è questo". 

© RIPRODUZIONE RISERVATATutte le news di Juventus

"Al Liverpool mi rinfacciarono Henderson, poi..."

Il metodo Moneyball, in realtà, nasce nel mondo del baseball. Il fenomeno degli Oakland Athletics si è espanso in tutto il mondo piano piano ed è stato fonte d'ispirazione anche del celebre film "L'arte di vincere" con Brad Pitt. E Comolli è stato uno dei primi ad applicarlo, sin dai tempi del Liverpool, dove venne nominato direttore sportivo nel lontano 2010. E uno dei giocatori approdato ai Reds proprio grazie al francese fu Jordan Henderson, che arrivò per 20 milioni diventando poi uno dei calciatori più vincenti e presenti nella storia del club. E pensare che l'inglese fu proprio uno dei motivi che portò al licenziamento dell'attuare direttore generale della Juventus dal Liverpool: "Ricordo il giorno in cui sono stato licenziato, i proprietari mi hanno detto: "Jordan Henderson, che errore enorme è stato", raccontava a Indipendent. "Ho sempre saputo che sarebbe diventato un top player. Il suo arrivo fu un mix di quattro fattori diversi: quando abbiamo guardato i suoi dati di fitness erano assolutamente fuori dal mondo. In secondo luogo, quando abbiamo esaminato i suoi dati tecnici e tattici, al Sunderland stava facendo cose che erano buone quanto alcuni dei migliori centrocampisti della Premier League. Il terzo aspetto è stato lo scouting dal vivo, tutti sono tornati molto entusiasti di quello che abbiamo visto. E il quarto aspetto è la personalità".

L'affare Suarez

Sempre ai tempi del Liverpool un altro momento cruciale fu quello in cui nominò Steve Hitchen (poi passato al Tottenham) come capo del reclutamento. Un'intuizione decisamente vincente come testimonia la nascita dell'affare che poi portò Luis Suarez ad Anfield. Hitchen fu infatti il primo a venire a conoscenza del fatto che l'Ajax avrebbe messo in vendita l'attaccante a gennaio 2011 per poco più di 20 milioni, poiché aveva seguito il calciatore fin da quando era al Groningen. Sull'affare in questione, Damien ha dichiarato: "È proprio per questo che siamo riusciti ad arrivarci prima di tutti gli altri, a coglierlo di sorpresa. Questo è il tipo di lavoro che fa Steve. E Suarez ha avuto un successo incredibile, riportando il Liverpool in alto. È stato la scintilla che ha dato il via a tutto".

Ancora fuori dal campo, per i Reds furono determinanti altre due scelte di Comolli, che "voleva portare il Liverpool ad un livello superiore in termini di analisi". "Ho fatto alcune ricerche sulla Premier League e sulle persone che ci lavoravano, fornitori di dati e simili. Ho solo chiesto di dirmi chi è il migliore e voglio andare a prenderlo. Il nome che usciva fuori era quello di Michael Edwards. L'ho contattato e l'ho preso". Edwards infatti lasciò gli Spurs, dove lavorava come responsabile dell'analisi delle prestazioni, per andare a fare lo stesso lavoro al Liverpool. Un profilo che infatti ha colpito fin da subito Comolli, che di lui disse: "Semplicemente è uno che ti colpisce per la sua intelligenza. È quel tipo di persona. Mi piace il fatto che sfidi il senso comune, perché ha un'attitudine analitica. Perché dobbiamo guardare le cose in un modo quando i dati ci dicono che dovremmo farlo dall'altra parte? È proprio per questo che all'epoca lo nominai".

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Modric, il Tottenham e Levy

L'altro personaggio è Ian Graham, che insieme all'azienda per cui lavorava (Decision Technology) fu scelto come fornitore di dati ai tempi del Tottenham. E furono proprio loro a scegliere un profilo come quello di Hugo Lloris all'età di 21 anni. Dopo qualche tempo ecco che Graham venne chiamato proprio da Comolli al Liverpool, dove dunque nacque una squadra che avrebbe cambiato radicalmente il modo in cui i club calcistici analizzano i dati. A riguardo Damien, nell'intervista in questione, disse: "Sapevo che erano estremamente intelligenti e che avrebbero potuto portare qualsiasi club a un livello successivo". 

Quando Comolli arrivò al Tottenham invece aveva 33 anni, nel 2005. Nonostante abbia insistito per non prendersi nessun merito degli ultimi affari del club al momento dell'intervista, è innegabile che il suo approccio sia risultato poi fondamentale. Tre anni di collaborazione con Levy, di cui l'attuale dg della Juve prova una grande ammirazione. Comolli individuò Modric, ai tempi alla Dinamo Zagabria, come un giocatore utile agli Spurs per migliorare i dati sul possesso palla. E rimase colpito quando Levy prese un jet privato per chiudere l'affare sotto al naso del Barcellona. Anche perché poi chiamò Damien alle 3 di notte per comunicarglielo. "Una delle persone più intelligenti che abbia mai incontrato in vita mia. Instancabile, visionario".

"I dati hanno un vantaggio"

In più occasioni Damien Comolli ha ribadito l'importanza di questo processo prima di arrivare a scegliere un giocatore: "Il vantaggio dei dati è che se il giocatore numero uno dice no, andiamo al numero 2, poi al 3. La differenza tra uno e l’altro è minima, perché i dati ci permettono di avere 10-15 profili per ogni posizione. Se durante il colloquio non ci convincono, andiamo oltre. Una domanda che faccio spesso: "Che partita hai visto ieri sera?" Se non sa rispondere, so che non ama il calcio, e per noi è subito una bandiera rossa. Se non ama il calcio, sarà difficile che sia allenabile", raccontava a settembre a Excellent Leadership Podcast.

I dati, però, vanno poi applicati al campo: "La parola chiave nel calcio è: il giocatore è allenabile? È difficile allenare un giocatore, ma ancora più difficile è che accetti di essere allenato. Deve voler migliorare, essere impegnato ogni giorno. Se non è appassionato, è improbabile che sia allenabile. Quindi per i giocatori, quella è una domanda-trappola. Abbiamo anche un set di domande definite insieme alla nostra psicologa, che ognuno di noi fa per capire la personalità del giocatore. In pratica, il giocatore viene intervistato dalla psicologa senza rendersene conto"

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Comolli quando arrivò alla Juve: "Utilizzeremo i dati in diverse aree"

Il concetto, Damien Comolli, lo aveva ribadito anche nella sua conferenza stampa di presentazione come dg della Juventus: "Noi utilizzeremo i dati in diverse aree, ci aiuteranno nella selezione di giocatori e ci aiuteranno a definire la nostra strategia e raccoglieremo dati su tutti. Ci aiutano a prevenire gli infortuni dei giocatori, la conduzione del business, a conoscere meglio i fan e i tifosi, a stabilire connessioni migliori. L’IA è d’aiuto, sta facendo bene. I dati fan parte della mia vita, li conosco bene, so come funzionano e funzionano perché i campionati inglesi si basano sui dati ma non solo loro. È qualcosa che metteremo in pratica". 

La sua prima campagna acquisti alla Juventus, infatti, ha seguito questo sistema. Che si è evoluto nel corso degli anni, perchè quando Comolli ha iniziato (33 anni fa come scout all'Arsenal) non esisteva di certo l'intelligenza artificiale a supporto del calciomercato. Dall'Inghilterra al Giappone, poi, il dg bianconero ha potuto applicare il Moneyball un po' in tutto il mondo, apprendendo sempre di più da ogni singola nuova esperienza: ""Ho avuto l'opportunità di andare ad allenare in Giappone, a Nagasaki. È stata un'esperienza incredibile", raccontava a settembre.

La gavetta e gli inizi a Monaco

Prima di arrivare a ricoprire cariche importanti in club prestigiosi in giro per l'Europa, però, come tutti Comolli ha dovuto fare la gavetta. E la prima esperienza lavorativa nel mondo del calcio è stata a Monaco: "La mia ambizione era diventare allenatore delle giovanili nell’Academy del Monaco, era il mio sogno. Poi ho avuto il mio primo tesserino, che oggi equivale all’Uefa A o Uefa B: non avevo neanche la patente, mia mamma mi accompagnava lì per prendere il tesserino, con tutti gli altri che avevano 35-40-50 anni e ridevano. Una volta ottenuto incontrai il presidente del Monaco dicendogli che mi sarebbe piaciuto allenare gli Under 8 o Under 9. Lui mi rispose: “Ottimo, grazie davvero per il tuo impegno: torna l’1 agosto e ti daremo una squadra”.

E poi gli inizi con le giovanili: "Mi presentai l’1 agosto, era il 1992, e loro mi dissero: “C’è una questione”. Allora pensai ‘Ok, ho finito qui. Si sono dimenticati di me’. Mi dissero: “Abbiamo appena sollevato dall’incarico il tecnico dell’U16, tu prenderai la guida per un mese, il tempo di trovare un sostituto. Ma non puoi giocare più, devi interrompere la tua carriera. Beh, probabilmente è stato un bene per il calcio, quindi sono contento di aver interrotto la mia carriera".

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L'importanza dello Scouting

Ovunque sia andato, però, c'è sempre stato un filo conduttore nel suo modo di lavorare: l'importanza dello scouting: "Ricordo che quando ero all'Arsenal per me la persona più importante in un club era l'allenatore o l'allenatore delle giovanili. La gente diceva sempre che non era così, era lo scout, perché se gli scout non sono bravi, se il reclutamento non è buono, allora puoi avere il miglior allenatore del mondo, ma non si svilupperà con i giocatori sbagliati. Mi ci è voluto un po' di tempo per capire quanto fosse importante il reclutamento. Quindi, il passaggio dall'allenatore allo scouting non c'è stato, non c'è stato un vero e proprio collegamento o passaggio dallo scouting al direttore sportivo".

Quando Comolli parlava della Juventus

E qualche anno fa, sempre nella lunga a intervista a Indipendent, Comolli citava anche la Juventus per parlare della differenza di gestione che c'era ai tempi tra Liverpool, Tottenham e gli altri top club europei: "Se hai persone intelligenti che vogliono lavorare insieme, che hanno una cultura comune e valori comuni all'interno del club, le tue possibilità di successo sono piuttosto alte. Se sei il Bayern Monaco, il Real Madrid, il Manchester United o la Juventus, hai tutti i soldi del mondo e pensi che i soldi comprino il successo. Spurs e Liverpool hanno un approccio leggermente diverso. Hanno meno soldi degli altri, quindi devono pensare in modo diverso. Ecco perché la cultura, i valori, avere le persone giuste nei posti giusti, giocano un ruolo enorme".

Il cerchio, alla fine, si è chiuso quest'estate: il Moneyball è arrivato in bianconero, nella speranza di riuscire a ottenere gli stessi risultati che Comolli ha avuto nelle sue esperienze passate e che hanno portato club come Tottenham e Liverpool in finale di Champions e tra le top in Europa.

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Un solo uomo al comando. Damien Comolli è la mente di questa Juventus (in attesa del nuovo ds) e la persona al quale la proprietà ha deciso di affidare pieni poteri gestionali. Il Direttore generale bianconero vive per il calcio e ha ricoperto importanti ruoli in diverse società in tutta Europa, lasciando sempre la sua impronta anche negli anni successivi al suo addio. Gli esempi più grandi sono quelli di Tottenham e Liverpool, dove ha lavorato rispettivamente dal 2005 al 2008 e dal 2010 al 2012, segnando poi quello che sarebbe stato un percorso importante per entrambe le formazioni inglesi.

Il metodo Comolli

Ma in quale modo il dirigente francese riesce a costruire squadre che poi andranno a giocare la finale di Champions League? I segreti sono tanti e i retroscena e i "trucchi del mestiere" non mancano. Nel 2019 al quotidiano inglese Indipendent svelò diversi aneddoti sulle sue strategie per la gestione dei club, parlando nello specifico della sua esperienza tra Liverpool e Tottenham che in quel periodo si giocavano la finale di Champions League, raggiunta dai Reds anche l'anno prima. Il metodo che applica il francese per arrivare a costruire le sue squadre è quello del Moneyball: "Spesso viene frainteso - raccontava Comolli sei anni fa - Non si tratta tanto di aiutare a identificare quei giocatori. Tutto il mondo conosce quei giocatori. Ciò che i dati li hanno aiutati a fare, e tutte le analisi, mostrano che se spendi così tanti soldi per un giocatore, in realtà otterrai più dei tuoi soldi indietro. Perché ti porterà a un livello diverso".

Moneyball, Van Dijk e Allison

Il sucesso finale del principio del Moneyball è anche quello di creare dei veri e propri asset per le squadre: "Stabilisci quali giocatori sono sottovalutati sul mercato. Stabilisci ciò che il giocatore ti porterà come ritorno sull'investimento". Un principio chiaro che va ad applicare le basi dell'economia al fenomeno calcistico. "Diciamo che Salah valeva 100 milioni di sterline, ma il Liverpool ne ha pagati 40. Sapevano, guardando i dati, che il giocatore era sottovalutato dal club che lo aveva venduto sia dal mercato in generale". E, parlando dei costosi acquisti di Van Dijk e Allison: "Quando la gente dice che hanno speso troppo non sono d'accordo. Quei giocatori, se possiamo permetterceli, ci aiuteranno a guadagnare diversi punti in Premier o a vincere la Champions". Il successo del Moneyball è proprio questo secondo Comolli: "Se pagano 142 milioni di sterline per Van Dijk e Allison diranno che sono stati pagati troppo. Ma se poi vincono la Champions League? Nessuno poi direbbe lo stesso. Il principio del Moneyball è questo". 

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