Ciò che conta davvero, l’uomo lo mette al centro. È così da sempre: le città si raccoglievano attorno a una chiesa, i popoli a un altare, i cuori a un fuoco. È una legge antica, quasi istintiva: ciò che è prezioso si custodisce nel mezzo, perché da lì nasce l’ordine e si propaga la vita. E anche il calcio - che, se vogliamo, è un po’ la nostra moderna religione laica - obbedisce a questa geometria. Tutto ruota attorno al genio, alla luce, al numero 10. Almeno, questo è il pensiero di Michel Platini. Non è un caso, infatti, che al Festival dello sport di Trento si sia espresso così sul nuovo centro di gravita bianconero, Kenan Yildiz, che come Le Roi, indossa la maglia degli artisti più raffinati: «Lui è un 10 e per me dovrebbe giocare al centro. Non so perché Motta e Tudor lo facciano agire sulle corsie. Purtroppo nel calcio di oggi c’è questa tendenza a spostare i profili di qualità sulla fascia, quando dovrebbero giocare in posizioni più centrali. Lo ripeto da anni, ma nessuno mi ascolta».
La Juve e il rifiuto Inter
Una presa di posizione forte, decisa, ma soprattutto puntuale, se si considera la penuria realizzativa dell’attacco juventino. Un reparto ricco di attaccanti, sì, ma povero di soluzioni, quando il turco non gira come vorrebbe. Platini, nel corso dell’evento, è tornato poi sui suoi anni alla Juventus e sul mancato passaggio all’Inter alla fine degli anni 70: «Avevo firmato con i nerazzurri due anni prima di andare alla Juventus ma le frontiere erano chiuse perché in Italia gli stranieri non potevano arrivare. Quando la Juve è venuta a cercarmi sono stato rispettoso e ho chiamato l’Inter per informarli. Non conoscevo Agnelli e mi disse che dovevamo vincere la Coppa dei Campioni. Io gli ho detto ‘facile, ci penso io’. Il ritiro a 31 anni? Ho vissuto un anno difficile, ero sempre infortunato. Prima c’era stato l’Heysel, ho fatto gol io ed è stato durissimo, un momentaccio, complicato psicologicamente. Ero finito e ho deciso di non continuare. Anche perché cominciavo a segnare meno gol e la vita non è bella se non segni. Avrei potuto giocare diversamente, un po’ alla Pirlo, ma mi sarebbe mancato qualcosa».
"Non si vive due volte la stessa storia d'amore"
Infine, a chi gli ha chiesto se tornerebbe mai alla Juventus in veste di dirigente, Le Roi ha risposto così: «È complicato: se devo ancora fare qualcosa lo faccio per il bene del calcio in generale, non per un club. Alla Juventus ho già dato tutto: non si vive due volte la stessa storia d’amore».
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