Calciopoli, Capello riapre la ferita: “Juve troppo forte”. E Trezeguet commuove: “Quando vai via…”

L’ex tecnico bianconero punge: “Scudetti tolti immeritatamente, c’era un gruppo con una mentalità di livello”

Prima Buffon, poi Capello. Mister Capello. Sarà il ventennale, e tra un’estate soltanto, ma nessuno dimentica quanto accaduto alla Juventus nel 2006. Dal caos al caso, Calciopoli ha riscritto pagine sportive, e non solo, della carriera di molti dei protagonisti del calcio italiano. Cancellando il sudore versato, oltre al dato della vittoria. Naturalmente, qualcuno può non starci. Perciò rispondere. Pure a distanza di tempo. Ecco, e l’ultima risposta, solo in ordine cronologico, è arrivata a Trento, al Festival dello Sport. Firmato don Fabio. «Qui ho rivisto molti dei calciatori di quella Juve con cui ho vinto due scudetti, poi tolti immeritatamente», la sua stoccata. Passata tutt’altro che inosservata. E ancora: «Era un gruppo forte con una mentalità di livello. Non a caso nella squadra italiana c’erano sette, otto bianconeri». E dall’altra parte, con Thuram, c’era pure David Trezeguet, «con cui conservo ancora oggi un ottimo rapporto».

Trezeguet cuore Juve

L’incrocio tra il mister e il suo bomber è stato uno dei momenti più interessanti, un amarcord bianconero fondamentale, soprattutto per i tifosi che fanno più fatica a ricordare certi picchi, e condannati dai tempi che corrono a tener duro sull’attualità. In questo senso, le parole del bomber francese non hanno aiutato. «Capello? Mi chiamò nel 2004, quando potevo andare al Barcellona: non pensavo che potesse arrivare alla Juve. Mi disse: ‘Dove vai?”», il ricordo dell’ex centravanti. E infatti non è andato. Anzi: è rimasto, ha vinto, ha perso, poi è rimasto. Fondamentale, per la risalita in A dopo la retrocessione d’ufficio. «Nel 2006 sentii il bisogno di ridare indietro alla società qualcosa che mi aveva dato - la spiegazione di Trezegol - . Una società che si era comportata benissimo, dicendo che avrebbe capito chi voleva andare via. Sportivamente è stato un passo indietro, addirittura. Quando ci siamo lasciati contro la Reggina nel campionato precedente parlavamo di voler vincere la Champions. In Serie B invece era diverso. In trasferta sembrava quasi che fosse una festa. Vidi i tifosi bianconeri ancora più vogliosi di essere vicini alla squadra». In fondo, Trezeguet non sentiva il bisogno di lasciare la Juve: «Stavo benissimo a Torino, con questa società così importante. Sentivo di essere nella squadra più importante al mondo. Dopo il cambio di società post 2006 avevo sentito di nuovo fiducia dalla nuova dirigenza: mi chiesero 15 gol e 15 ne feci».

© RIPRODUZIONE RISERVATATutte le news di Juventus

Oltre i numeri

Indimenticabile quel gesto destinato alla tribuna: il gesto del numero e la sensazione, poi racconto, che ogni promessa fosse stata mantenuta. Anche sull’addio: non c’erano più stimoli, ed è stata dura trovarne di nuovi successivamente. «Quando vai via da una società importante come la Juventus è lì che trovi difficoltà a livello di obiettivi, di voglia di giocatori e dirigenti - spiega ancora il francese -. Quando vai alla Juve sei contento, quando vai via capisci cosa hai lasciato. Il calcio in Arabia Saudita è diverso, una festa. Ma lì ricevo una chiamata da Almeyda e dal suo presidente, Passarella. Mi chiedono se voglio dare il mio contributo alla mia squadra in Serie B come feci alla Juventus. Pensai soltanto a livello sportivo che avevo bisogno di ritrovarmi in un calcio vero. E delicato: la Serie B non è la Serie A. Non ci ho pensato moltissimo. Ancora oggi la gente quando mi vede mi ringrazia». Accade lo stesso a Torino, dove la scelta di restare è passata alla storia molto più dei numeri, pur fenomenali.

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Prima Buffon, poi Capello. Mister Capello. Sarà il ventennale, e tra un’estate soltanto, ma nessuno dimentica quanto accaduto alla Juventus nel 2006. Dal caos al caso, Calciopoli ha riscritto pagine sportive, e non solo, della carriera di molti dei protagonisti del calcio italiano. Cancellando il sudore versato, oltre al dato della vittoria. Naturalmente, qualcuno può non starci. Perciò rispondere. Pure a distanza di tempo. Ecco, e l’ultima risposta, solo in ordine cronologico, è arrivata a Trento, al Festival dello Sport. Firmato don Fabio. «Qui ho rivisto molti dei calciatori di quella Juve con cui ho vinto due scudetti, poi tolti immeritatamente», la sua stoccata. Passata tutt’altro che inosservata. E ancora: «Era un gruppo forte con una mentalità di livello. Non a caso nella squadra italiana c’erano sette, otto bianconeri». E dall’altra parte, con Thuram, c’era pure David Trezeguet, «con cui conservo ancora oggi un ottimo rapporto».

Trezeguet cuore Juve

L’incrocio tra il mister e il suo bomber è stato uno dei momenti più interessanti, un amarcord bianconero fondamentale, soprattutto per i tifosi che fanno più fatica a ricordare certi picchi, e condannati dai tempi che corrono a tener duro sull’attualità. In questo senso, le parole del bomber francese non hanno aiutato. «Capello? Mi chiamò nel 2004, quando potevo andare al Barcellona: non pensavo che potesse arrivare alla Juve. Mi disse: ‘Dove vai?”», il ricordo dell’ex centravanti. E infatti non è andato. Anzi: è rimasto, ha vinto, ha perso, poi è rimasto. Fondamentale, per la risalita in A dopo la retrocessione d’ufficio. «Nel 2006 sentii il bisogno di ridare indietro alla società qualcosa che mi aveva dato - la spiegazione di Trezegol - . Una società che si era comportata benissimo, dicendo che avrebbe capito chi voleva andare via. Sportivamente è stato un passo indietro, addirittura. Quando ci siamo lasciati contro la Reggina nel campionato precedente parlavamo di voler vincere la Champions. In Serie B invece era diverso. In trasferta sembrava quasi che fosse una festa. Vidi i tifosi bianconeri ancora più vogliosi di essere vicini alla squadra». In fondo, Trezeguet non sentiva il bisogno di lasciare la Juve: «Stavo benissimo a Torino, con questa società così importante. Sentivo di essere nella squadra più importante al mondo. Dopo il cambio di società post 2006 avevo sentito di nuovo fiducia dalla nuova dirigenza: mi chiesero 15 gol e 15 ne feci».

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