“Solo così si vedrà il vero Openda. Non penso che la Juve lo abbia acquistato senza…”

Intervista a Dominique Renson, l’uomo che ha scoperto l'attaccante belga quando aveva appena 11 anni: "Ha solo bisogno di tempo"

TORINO - Rientrato a Torino, dopo una manciata di minuti in due partite e nessun gol segnato, Lois Openda se l’è ripetuto un po’ più forte: provaci ancora. E riproverà, certo, e lo farà perché alla Juve l’inizio non è stato dei migliori - spesso decontestualizzato, mai realmente in grado di fare la differenza - e perché il digiuno di gol dura ormai da 190 giorni. Un’enormità. Che va abbattuta. Anche con i consigli di chi gli sta intorno, oltre a quelli di Igor Tudor: per lui studia un ruolo speciale, quasi da mezza punta, a prescindere con un centravanti al suo fianco. Elemento determinante per lanciarlo in velocità, per fargli conquistare lo spazio di cui ha bisogno. «Ecco, così potreste vedere il vero Lois, non la versione dell’ultimo periodo», racconta Dominique Renson, responsabile tecnico delle giovanili dell’RFC Liegi. Di fatto, l’uomo che ha scoperto Openda quando aveva appena 11 anni e giocava con gli amici nella scuola calcio del Patro.

Renson, il primo ricordo? «Era piccolo ed era già di un altro livello. Con noi ha iniziato quando aveva poco più di 10 anni, il talento era evidente». 

Openda e il calcio italiano

Cosa si aspetta dall’avventura di Lois in Italia? «Ci si aspetta che prosegua nella sua crescita. Ha mostrato una bella evoluzione in Olanda, in un calcio offensivo, poi è migliorato in Ligue 1, in Francia, contro difese più chiuse».

Quindi la Bundesliga e il Lipsia. «Ecco, lì ha saputo mantenere il ritmo, in un contesto che è pure più fisico, più atletico. Ora la storia è differente».

Cioè? «In Italia avrà difese più solide a stargli dietro. Si tratta del vostro marchio di fabbrica, classica storia da calcio italiano. Lì trova spazi più ristretti, per questo avrà bisogno di un periodo di adattamento». 

Crede che sia adatto al calcio italiano, allora? «Domanda complessa, perché qualsiasi giocatore ha bisogno di tempo per adattarsi al campionato, alle sue richieste fisiche e tattiche. Possiamo dire questo: è un attaccante che ha bisogno di spazio per esprimere la sua velocità e la sua esplosività».

Molti si chiedono: è davvero un centravanti? «Ha spesso giocato in quel ruolo lì, da punta unica. Ma con spazio per attaccare la profondità e inserirsi tra le linee. Se metti un altro attaccante, però...».

© RIPRODUZIONE RISERVATATutte le news di Juventus

"La dote principale di Openda è..."

Cosa accade? «Con un punto di riferimento centrale, un giocatore in grado di fare da perno per sfruttare gli spazi che crea, allora è diverso. Questa è la sua dote principale: l’inserimento. E ha scatti decisivi».

Crede che stia avendo qualche difficoltà di adattamento? «Ripeto, ogni giocatore ha bisogno del proprio tempo. Bisogna adattarsi alla nuova squadra, al nuovo allenatore, al sistema di gioco, ai movimenti offensivi, alla nuova cultura, alla vita, alla stampa. Non è poco, no? Non sono tutti come De Bruyne». 
 
Cosa spera per lui? «Che possa presto mostrare le sue qualità, adesso sta attraversando questo momento più difficile. Non credo che un club come la Juventus acquisti un giocatore del suo livello senza essersi informato a fondo in precedenza».

I tifosi possono stare sereni? «Darà tutto. Rispetterà le indicazioni. E lavorerà come sempre. Per migliorarsi e diventare più forte. Non è uno che viene per restare in panchina: ovunque sia passato, ha dimostrato dedizione e voglia di giocare». 

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TORINO - Rientrato a Torino, dopo una manciata di minuti in due partite e nessun gol segnato, Lois Openda se l’è ripetuto un po’ più forte: provaci ancora. E riproverà, certo, e lo farà perché alla Juve l’inizio non è stato dei migliori - spesso decontestualizzato, mai realmente in grado di fare la differenza - e perché il digiuno di gol dura ormai da 190 giorni. Un’enormità. Che va abbattuta. Anche con i consigli di chi gli sta intorno, oltre a quelli di Igor Tudor: per lui studia un ruolo speciale, quasi da mezza punta, a prescindere con un centravanti al suo fianco. Elemento determinante per lanciarlo in velocità, per fargli conquistare lo spazio di cui ha bisogno. «Ecco, così potreste vedere il vero Lois, non la versione dell’ultimo periodo», racconta Dominique Renson, responsabile tecnico delle giovanili dell’RFC Liegi. Di fatto, l’uomo che ha scoperto Openda quando aveva appena 11 anni e giocava con gli amici nella scuola calcio del Patro.

Renson, il primo ricordo? «Era piccolo ed era già di un altro livello. Con noi ha iniziato quando aveva poco più di 10 anni, il talento era evidente». 

Openda e il calcio italiano

Cosa si aspetta dall’avventura di Lois in Italia? «Ci si aspetta che prosegua nella sua crescita. Ha mostrato una bella evoluzione in Olanda, in un calcio offensivo, poi è migliorato in Ligue 1, in Francia, contro difese più chiuse».

Quindi la Bundesliga e il Lipsia. «Ecco, lì ha saputo mantenere il ritmo, in un contesto che è pure più fisico, più atletico. Ora la storia è differente».

Cioè? «In Italia avrà difese più solide a stargli dietro. Si tratta del vostro marchio di fabbrica, classica storia da calcio italiano. Lì trova spazi più ristretti, per questo avrà bisogno di un periodo di adattamento». 

Crede che sia adatto al calcio italiano, allora? «Domanda complessa, perché qualsiasi giocatore ha bisogno di tempo per adattarsi al campionato, alle sue richieste fisiche e tattiche. Possiamo dire questo: è un attaccante che ha bisogno di spazio per esprimere la sua velocità e la sua esplosività».

Molti si chiedono: è davvero un centravanti? «Ha spesso giocato in quel ruolo lì, da punta unica. Ma con spazio per attaccare la profondità e inserirsi tra le linee. Se metti un altro attaccante, però...».

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“Solo così si vedrà il vero Openda. Non penso che la Juve lo abbia acquistato senza…”
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