Calciopoli e la replica Report: Schede e Inter
In merito alla vicenda delle schede svizzere sequestrate senza rogatoria, che Report ricostruisce nel corso dell’inchiesta e che il pm Narducci nega, la stessa circostanza era stata rivelata da un carabiniere nel corso della sua testimonianza in aula sotto giuramento. Le carte processuali a cui Narducci allude sono state falsate perché lo stesso carabiniere ha dichiarato che fu redatto un verbale di consegna delle schede a Como, quando in realtà erano stati gli uomini dell’Arma a recarsi in Svizzera per sequestrarle, in accordo con il venditore delle stesse.
Quanto alla circostanza sottolineata da Report che quel processo giudiziario si è chiuso con “assoluzioni, prescrizioni e sospensioni di condanna”, Report è perfettamente consapevole che una prescrizione e una sospensione non equivalgono a una assoluzione, tuttavia è un fatto che la giustizia italiana – in oltre dieci anni di processi – non abbia dato esecuzione alle condanne del primo e del secondo grado che – appunto – sono state in parte sospese o per le quali è intervenuta la prescrizione.
Nella sua risposta a Report Narducci non tocca poi il tema centrale della critica di Report a quell’inchiesta, ovvero l’aver sottovalutato la portata delle intercettazioni che riguardavano le altre squadre di serie A a partire dall’Inter. Durante la sua deposizione a processo, lo stesso Narducci dichiarò che non c’erano telefonate rilevanti che riguardavano altre squadre. Un’affermazione che però negli anni è stata smentita da due inchieste, una del tribunale ordinario e una di quello sportivo, oltre che dal dispositivo stesso della sentenza del tribunale di Napoli. La prima inchiesta risale al 2011 quando la Procura federale della Federcalcio ha richiesto l’archiviazione per intervenuta prescrizione di un procedimento contro diversi club di serie A, tra cui la stessa Inter.
All’interno della richiesta di archiviazione per intervenuta prescrizione il giudice federale Palazzi scrive: «Dalle carte in esame, e in particolare, dalle conversazioni oggetto di intercettazione telefonica, emerge l’esistenza di una fitta rete di rapporti stabili e protratti nel tempo, intercorsi tra il Presidente della società Internazionale FC, Giacinto Facchetti, e entrambi i designatori arbitrali, Paolo Bergamo e Pierluigi Pairetto, al fine di condizionare il settore arbitrale». In merito all’Inter Palazzi scrive ancora: «A giudizio di questo ufficio, le condotte sopradescritte ed emergenti dalle conversazioni telefoniche integrano evidentemente la violazione dei doveri di lealtà, probità e correttezza e si deve ritenere che esse costituiscono un gravissimo attentato ai valori di terzietà, imparzialità e indipendenza del settore arbitrale».
La seconda è una sentenza del tribunale di Milano del 2016 che nasce da una denuncia per diffamazione presentata da Gianfelice Facchetti, il figlio di Giacinto Facchetti, nei confronti di Luciano Moggi. Nella sentenza della corte d’appello di Milano sul procedimento 2166, i giudici della V sezione penale scrivono: «È noto a tutti come al tempo del procedimento cosiddetto Calciopoli, dato il numero di persone coinvolte, di giocatori scoperti, di arbitri infedeli fosse opinione comune che il problema non fosse esclusivamente ascrivibile al Sistema Moggi, ma si trattasse di corruttela diffusa». Sempre sul metodo di analisi e selezione delle intercettazioni operato dai magistrati della procura di Napoli anche il dispositivo della sentenza pronunciata dal Tribunale di Napoli sull’inchiesta Calciopoli solleva dubbi. «Di fronte a talune telefonate… - si legge nel dispositivo della sentenza – non assume rilievo decisivo la circostanza che per molte delle telefonate il contenuto sia stato amplificato dagli investigatori, costretti ad estrarre il più possibile da quello che unicamente avevano tra le mani, intercettazioni telefoniche, e contemporaneamente costretti, così come pure è emerso in dibattimento, ad accantonare quella parte del materiale telefonico che poteva configurare la nota stonata”.