Pagina 3 | Report a Narducci, replica su Calciopoli e sull'Inter prescritta

A quasi diciassette anni di distanza, si continua a parlare di Calciopoli e della sua sommarietà. A riaprire la discussione la puntata di Report, dedicata alla chiavetta di Luciano Moggi contenente le migliaia di intercettazioni scomparse tra le quali quelle che riguardavano Inter e Milan, molte delle quali sono state raccontate dal servizio pubblico nazionale nel corso della trasmissione 'Report', in onda su Rai3. Proprio Report ha dovuto rispondere al magistrato Pino Narducci, che insieme a Filippo Beatrice (scomparso nel 2018) fu protagonista di Calciopoli: Narducci ha mandato una lettera alla trasmissione - nella quale rivela il tifo per il Napoli del collega - che è stata pubblicata insieme alla risposta con una nota che esplicita diverse precisazioni, tra le quali proprio la mancata risposta sul tema centrale della trasmissione, cioè l'Inter.

Report, puntata Calciopoli: Inter, Milan, Bergamo e le intercettazioni

Report, replica a Narducci: la nota integrale

Report fa presente che non è stata operata alcuna revisione di quanto emerso da Calciopoli, semmai ha integrato di informazioni che hanno completato il quadro di una vicenda complessa e come è emerso, dalla carte della Procura Federale nel 2011 anche incompleta. In quanto alle questioni sollevate dal pubblico ministero Narducci, Report risponde: Report non ha mai messo in dubbio gli esiti giudiziari del processo di Napoli sulle responsabilità di Luciano Moggi e degli altri personaggi che erano parte di quel sistema svelato dall’inchiesta “offside”.

A differenza di quanto scritto dal dottor Narducci, la giustizia sportiva che ha radiato a vita Moggi e Giraudo ha altresì dichiarato nella sentenza su Calciopoli che quel campionato (2004-2005) è stato regolare. Nella sentenza pronunciata dalla corte federale sportiva si legge: «…Né può essere trascurato il dato di ridimensionamento della portata dell’accusa che deriva dalla parzialità con la quale sono state vagliate le vicende del campionato 2004/2005, per correre dietro soltanto ai misfatti di Moggi, dei quali sono state accertate modalità, quanto alle frodi sportive, al limite di sussistenza del reato di tentativo». Nello specifico fu il professore Serio, componente del tribunale sportivo, che lesse la sentenza e pronunciò la frase: «Campionato regolare nessuna partita alterata».

Anche nel dispositivo finale della sentenza del tribunale di Napoli, quindi del processo ordinario e non sportivo, si legge: «…trattandosi di reato di tentativo, questo non ha necessità della conferma, che il dibattimento in verità non ha dato, del procurato effetto di alterazione del risultato finale del campionato di calcio 2004/2005 a beneficio di questo o quel contendente…». Addirittura il tribunale dichiara nel dispositivo finale della condanna che «la contestazione pur se certo esce fortemente ridimensionata dal dibattimento, sembra poter ad esso sopravvivere…».

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Calciopoli e la replica Report: Schede e Inter

In merito alla vicenda delle schede svizzere sequestrate senza rogatoria, che Report ricostruisce nel corso dell’inchiesta e che il pm Narducci nega, la stessa circostanza era stata rivelata da un carabiniere nel corso della sua testimonianza in aula sotto giuramento. Le carte processuali a cui Narducci allude sono state falsate perché lo stesso carabiniere ha dichiarato che fu redatto un verbale di consegna delle schede a Como, quando in realtà erano stati gli uomini dell’Arma a recarsi in Svizzera per sequestrarle, in accordo con il venditore delle stesse.

Quanto alla circostanza sottolineata da Report che quel processo giudiziario si è chiuso con “assoluzioni, prescrizioni e sospensioni di condanna”, Report è perfettamente consapevole che una prescrizione e una sospensione non equivalgono a una assoluzione, tuttavia è un fatto che la giustizia italiana – in oltre dieci anni di processi – non abbia dato esecuzione alle condanne del primo e del secondo grado che – appunto – sono state in parte sospese o per le quali è intervenuta la prescrizione.

Nella sua risposta a Report Narducci non tocca poi il tema centrale della critica di Report a quell’inchiesta, ovvero l’aver sottovalutato la portata delle intercettazioni che riguardavano le altre squadre di serie A a partire dall’Inter. Durante la sua deposizione a processo, lo stesso Narducci dichiarò che non c’erano telefonate rilevanti che riguardavano altre squadre. Un’affermazione che però negli anni è stata smentita da due inchieste, una del tribunale ordinario e una di quello sportivo, oltre che dal dispositivo stesso della sentenza del tribunale di Napoli. La prima inchiesta risale al 2011 quando la Procura federale della Federcalcio ha richiesto l’archiviazione per intervenuta prescrizione di un procedimento contro diversi club di serie A, tra cui la stessa Inter.

All’interno della richiesta di archiviazione per intervenuta prescrizione il giudice federale Palazzi scrive: «Dalle carte in esame, e in particolare, dalle conversazioni oggetto di intercettazione telefonica, emerge l’esistenza di una fitta rete di rapporti stabili e protratti nel tempo, intercorsi tra il Presidente della società Internazionale FC, Giacinto Facchetti, e entrambi i designatori arbitrali, Paolo Bergamo e Pierluigi Pairetto, al fine di condizionare il settore arbitrale». In merito all’Inter Palazzi scrive ancora: «A giudizio di questo ufficio, le condotte sopradescritte ed emergenti dalle conversazioni telefoniche integrano evidentemente la violazione dei doveri di lealtà, probità e correttezza e si deve ritenere che esse costituiscono un gravissimo attentato ai valori di terzietà, imparzialità e indipendenza del settore arbitrale».

La seconda è una sentenza del tribunale di Milano del 2016 che nasce da una denuncia per diffamazione presentata da Gianfelice Facchetti, il figlio di Giacinto Facchetti, nei confronti di Luciano Moggi. Nella sentenza della corte d’appello di Milano sul procedimento 2166, i giudici della V sezione penale scrivono: «È noto a tutti come al tempo del procedimento cosiddetto Calciopoli, dato il numero di persone coinvolte, di giocatori scoperti, di arbitri infedeli fosse opinione comune che il problema non fosse esclusivamente ascrivibile al Sistema Moggi, ma si trattasse di corruttela diffusa». Sempre sul metodo di analisi e selezione delle intercettazioni operato dai magistrati della procura di Napoli anche il dispositivo della sentenza pronunciata dal Tribunale di Napoli sull’inchiesta Calciopoli solleva dubbi. «Di fronte a talune telefonate… - si legge nel dispositivo della sentenza – non assume rilievo decisivo la circostanza che per molte delle telefonate il contenuto sia stato amplificato dagli investigatori, costretti ad estrarre il più possibile da quello che unicamente avevano tra le mani, intercettazioni telefoniche, e contemporaneamente costretti, così come pure è emerso in dibattimento, ad accantonare quella parte del materiale telefonico che poteva configurare la nota stonata”.

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Calciopoli, la lettera del magistrato Narducci a Report

"Sono il magistrato Pino Narducci, pubblico ministero, con il collega Filippo Beatrice, della indagine cd. Calciopoli. Il servizio “C’era una volta Calciopoli”, andato in onda lunedì 17 aprile nella trasmissione “Report”, evoca alcune vicende già trattate nel corso dei processi al termine dei quali – ma il servizio dimentica di dirlo – le sentenze irrevocabili hanno sancito che, nel calcio professionistico italiano, operava una associazione per delinquere (le tracce di questa attività risalgono al periodo 1999/2000) che aveva condizionato il campionato di serie A 2004/05 e che, contrariamente a quanto affermato testualmente dal conduttore della trasmissione ("…tuttavia, 17 anni dopo, è emerso che nessuna partita era stata condizionata") durante quella stagione vennero alterati i risultati di alcuni incontri, cioè vennero commessi i reati di frode sportiva.

Insomma, un esito giudiziario concreto e molto significativo, ben diverso da quello delineato dal conduttore secondo il quale, alla fine, l’indagine avrebbe prodotto un evanescente risultato poiché la posizione dei singoli si sarebbe risolta con "assoluzioni, prescrizioni e sospensioni di condanna". Eppure, a me risulta che la prescrizione si dichiara solo dopo che il giudice ha accertato che qualcuno ha sicuramente commesso un reato e che la sospensione di condanna, noi tecnici la chiamiamo sospensione della pena, è un beneficio che si concede, ovviamente, non all’innocente, ma alla persona che è stata condannata!

Sarebbe stata sufficiente una lettura, anche superficiale, dei provvedimenti giudiziari per fornire una informazione corretta ed esaustiva su questo come su altri aspetti. Ad esempio, quello riguardante la genesi della indagine Calciopoli sorta, nelle stanze della Procura nel Centro Direzionale di Napoli, come naturale prosecuzione di quella sulle scommesse illecite in serie A e B nel 2003/04 e su alcuni arbitri della sezione romana. Quindi, certamente non nei lussuosi uffici di amministratori delegati di grandi imprese del Nord. Oppure il tema della acquisizione dei dati delle schede telefoniche riservate svizzere, questione sollevata dall’autore del servizio e dal conduttore secondo i quali i carabinieri operarono sequestri illegittimi di schede telefoniche all’estero perché senza rogatoria.

Però, se si leggono le carte processuali si scopre che non è mai avvenuto alcun sequestro di schede e che i giudici, proprio rispondendo alle obiezioni dei difensori degli imputati, hanno scritto chiaramente che non c’è stata alcuna violazione delle regole sulla rogatoria internazionale e del trattato di assistenza italosvizzero. Ancora, il tema del ruolo rivestito dall’arbitro Massimo De Santis (secondo i giudici napoletani di secondo grado, l’arbitro De Santis “ha rivestito comunque un ruolo non secondario per le dinamiche e le finalità del gruppo associato. Numerose sono le conversazioni intercettate in cui l’imputato, per alcuni aspetti epigone del Moggi nel prospettare i propri meriti, ha di fatto ammesso il proprio coinvolgimento nel sodalizio in parola”) e la vicenda del mutamento del suo atteggiamento, nel corso del campionato, rispetto al gruppo che deteneva il potere nel calcio professionistico (nel processo di primo grado, il testimone Manfredi Martino ha raccontato che, ad inizio del 2005, l’arbitro De Santis gli confidò che aveva iniziato ad arbitrare in modo diverso dal solito per non fornire elementi di prova sul suo legame con la associazione, nel timore delle indagini penali).

Vicende, dunque, note ai giudici e tutt’altro che inedite. Ma, evidentemente, questa doverosa lettura non è stata fatta. Ho ascoltato le affermazioni di un anonimo ex carabiniere che lavorava in via in Selci, affermazioni enfatizzate dall’autore del servizio ("ad alimentare l’interesse dei pubblici ministeri napoletani c’era non solo la sete di giustizia, ma anche una sincera rivalsa calcistica") e dal conduttore che, addirittura, ha parlato di "una schiera di magistrati super tifosi del Napoli che avevano condotto, con tigna, la indagine". In sostanza, la trasmissione, seguendo una impostazione revisionista, prima ha disegnato scenari complottisti in cui alcuni poteri economici milanesi e torinesi sarebbero stati i veri ispiratori occulti della indagine, poi ha sostenuto, inopinatamente, che i pubblici ministeri avrebbero avviato l’investigazione anche perché – da accaniti tifosi del Napoli e abituali frequentatori delle tribune del San Paolo – erano animati da sentimenti di risentimento/rivalsa, in particolare nei confronti dell’allora Presidente Federale Franco Carraro, presunto responsabile della retrocessione in serie B del Napoli, come asserisce l’ignoto carabiniere.

Per smentire questa fantasiosa ricostruzione – affidata alle parole di una persona di cui non viene mostrato il volto, ma solo mani che si agitano freneticamente – basterebbe ricordare che la Procura di Napoli non ha intercettato utenze telefoniche del dr. Carraro, ascoltato solo quando dialogava con altre persone il cui telefono era controllato. Insomma, davvero strampalata una indagine che si propone di colpire il principale obiettivo della inchiesta senza intercettarlo! Ma, soprattutto, una elementare, ripeto elementare, verifica avrebbe evitato di accreditare una grave e, al tempo stesso, grossolana insinuazione sul nostro conto. Se la verifica fosse stata fatta, sarebbe emerso che il collega Beatrice, che oggi purtroppo può replicare solo attraverso le mie parole, era un pacatissimo, mite tifoso del Napoli e non era un frequentatore abituale delle tribune del San Paolo.

Quanto a me, sarebbe emerso quello che tutto il mondo conosce da sempre, cioè che sono un tifoso del Bologna e che lo stadio dove qualcuno può incontrarmi è, semmai, quello intitolato a Renato Dall’Ara. Addirittura, quando Filippo Beatrice lasciò l’ufficio della Procura di Napoli, il suo posto nel dibattimento Calciopoli, tra le fitte schiere di magistrati super tifosi partenopei ansiosi di rimpiazzarlo, venne preso dal collega Stefano Capuano, noto sostenitore della Sampdoria. In definitiva, i fatti posseggono una straordinaria attitudine: non si prestano ad essere alterati con facilità. Anche quelli che riguardano la storia, limpida, della indagine sul calcio della Procura di Napoli.

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Calciopoli, la lettera del magistrato Narducci a Report

"Sono il magistrato Pino Narducci, pubblico ministero, con il collega Filippo Beatrice, della indagine cd. Calciopoli. Il servizio “C’era una volta Calciopoli”, andato in onda lunedì 17 aprile nella trasmissione “Report”, evoca alcune vicende già trattate nel corso dei processi al termine dei quali – ma il servizio dimentica di dirlo – le sentenze irrevocabili hanno sancito che, nel calcio professionistico italiano, operava una associazione per delinquere (le tracce di questa attività risalgono al periodo 1999/2000) che aveva condizionato il campionato di serie A 2004/05 e che, contrariamente a quanto affermato testualmente dal conduttore della trasmissione ("…tuttavia, 17 anni dopo, è emerso che nessuna partita era stata condizionata") durante quella stagione vennero alterati i risultati di alcuni incontri, cioè vennero commessi i reati di frode sportiva.

Insomma, un esito giudiziario concreto e molto significativo, ben diverso da quello delineato dal conduttore secondo il quale, alla fine, l’indagine avrebbe prodotto un evanescente risultato poiché la posizione dei singoli si sarebbe risolta con "assoluzioni, prescrizioni e sospensioni di condanna". Eppure, a me risulta che la prescrizione si dichiara solo dopo che il giudice ha accertato che qualcuno ha sicuramente commesso un reato e che la sospensione di condanna, noi tecnici la chiamiamo sospensione della pena, è un beneficio che si concede, ovviamente, non all’innocente, ma alla persona che è stata condannata!

Sarebbe stata sufficiente una lettura, anche superficiale, dei provvedimenti giudiziari per fornire una informazione corretta ed esaustiva su questo come su altri aspetti. Ad esempio, quello riguardante la genesi della indagine Calciopoli sorta, nelle stanze della Procura nel Centro Direzionale di Napoli, come naturale prosecuzione di quella sulle scommesse illecite in serie A e B nel 2003/04 e su alcuni arbitri della sezione romana. Quindi, certamente non nei lussuosi uffici di amministratori delegati di grandi imprese del Nord. Oppure il tema della acquisizione dei dati delle schede telefoniche riservate svizzere, questione sollevata dall’autore del servizio e dal conduttore secondo i quali i carabinieri operarono sequestri illegittimi di schede telefoniche all’estero perché senza rogatoria.

Però, se si leggono le carte processuali si scopre che non è mai avvenuto alcun sequestro di schede e che i giudici, proprio rispondendo alle obiezioni dei difensori degli imputati, hanno scritto chiaramente che non c’è stata alcuna violazione delle regole sulla rogatoria internazionale e del trattato di assistenza italosvizzero. Ancora, il tema del ruolo rivestito dall’arbitro Massimo De Santis (secondo i giudici napoletani di secondo grado, l’arbitro De Santis “ha rivestito comunque un ruolo non secondario per le dinamiche e le finalità del gruppo associato. Numerose sono le conversazioni intercettate in cui l’imputato, per alcuni aspetti epigone del Moggi nel prospettare i propri meriti, ha di fatto ammesso il proprio coinvolgimento nel sodalizio in parola”) e la vicenda del mutamento del suo atteggiamento, nel corso del campionato, rispetto al gruppo che deteneva il potere nel calcio professionistico (nel processo di primo grado, il testimone Manfredi Martino ha raccontato che, ad inizio del 2005, l’arbitro De Santis gli confidò che aveva iniziato ad arbitrare in modo diverso dal solito per non fornire elementi di prova sul suo legame con la associazione, nel timore delle indagini penali).

Vicende, dunque, note ai giudici e tutt’altro che inedite. Ma, evidentemente, questa doverosa lettura non è stata fatta. Ho ascoltato le affermazioni di un anonimo ex carabiniere che lavorava in via in Selci, affermazioni enfatizzate dall’autore del servizio ("ad alimentare l’interesse dei pubblici ministeri napoletani c’era non solo la sete di giustizia, ma anche una sincera rivalsa calcistica") e dal conduttore che, addirittura, ha parlato di "una schiera di magistrati super tifosi del Napoli che avevano condotto, con tigna, la indagine". In sostanza, la trasmissione, seguendo una impostazione revisionista, prima ha disegnato scenari complottisti in cui alcuni poteri economici milanesi e torinesi sarebbero stati i veri ispiratori occulti della indagine, poi ha sostenuto, inopinatamente, che i pubblici ministeri avrebbero avviato l’investigazione anche perché – da accaniti tifosi del Napoli e abituali frequentatori delle tribune del San Paolo – erano animati da sentimenti di risentimento/rivalsa, in particolare nei confronti dell’allora Presidente Federale Franco Carraro, presunto responsabile della retrocessione in serie B del Napoli, come asserisce l’ignoto carabiniere.

Per smentire questa fantasiosa ricostruzione – affidata alle parole di una persona di cui non viene mostrato il volto, ma solo mani che si agitano freneticamente – basterebbe ricordare che la Procura di Napoli non ha intercettato utenze telefoniche del dr. Carraro, ascoltato solo quando dialogava con altre persone il cui telefono era controllato. Insomma, davvero strampalata una indagine che si propone di colpire il principale obiettivo della inchiesta senza intercettarlo! Ma, soprattutto, una elementare, ripeto elementare, verifica avrebbe evitato di accreditare una grave e, al tempo stesso, grossolana insinuazione sul nostro conto. Se la verifica fosse stata fatta, sarebbe emerso che il collega Beatrice, che oggi purtroppo può replicare solo attraverso le mie parole, era un pacatissimo, mite tifoso del Napoli e non era un frequentatore abituale delle tribune del San Paolo.

Quanto a me, sarebbe emerso quello che tutto il mondo conosce da sempre, cioè che sono un tifoso del Bologna e che lo stadio dove qualcuno può incontrarmi è, semmai, quello intitolato a Renato Dall’Ara. Addirittura, quando Filippo Beatrice lasciò l’ufficio della Procura di Napoli, il suo posto nel dibattimento Calciopoli, tra le fitte schiere di magistrati super tifosi partenopei ansiosi di rimpiazzarlo, venne preso dal collega Stefano Capuano, noto sostenitore della Sampdoria. In definitiva, i fatti posseggono una straordinaria attitudine: non si prestano ad essere alterati con facilità. Anche quelli che riguardano la storia, limpida, della indagine sul calcio della Procura di Napoli.

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