Pagina 4 | Consiglio di Stato: "Non decidiamo noi". E lo scudetto 2006 rimane all'Inter

TORINO - Lo scudetto del 2006 rimarrà per sempre all'Inter? Quasi certamente sì. L'odissea del ricorso juventino, passato di tribunale in tribunale, rimbalzando dalla giustizia sportiva a quella amministrativa, oggi ha visto il Consiglio di Stato chiudere l'ultima porta all'ipotesi di revoca del titolo.

Motivo? La non competenza del Tribunale e quindi l'irricevibilità del ricorso che continua a vivere l'identico destino. Dal 2011 a oggi, la Juventus si è sempre sentita rispondere: «Non siamo noi che dobbiamo decidere». Lo ha scritto anche il Consiglio di Stato in sette pagine di pronuncia: «La controversia, infatti, posto che la rimozione dell'atto illegittimo ha come fondamento la valutazione di condotte rilevanti sotto il profilo disciplinare sportivo e l'applicazione, quale conseguente sanzione, della revoca del titolo, è chiaramente incentrata su questioni sottratte alla giurisdizione statale e riservate (quantomeno per la tutela di annullamenti) agli organi di giustizia sportiva». Quella stessa giustizia sportiva che, a partire da un leggendario Consiglio Federale presieduto da Giancarlo Abete il 18 luglio 2011, si dichiarò «incompetente» a decidere sulla questione scudetto 2006. Insomma, da 12 anni (do-di-ci an-ni!) nessuno (nes-su-no!), si è preso la briga di spiegare se, come sostiene la Juventus, le condotte dell'Inter emerse dall'inchiesta di Calciopoli siano sufficientemente gravi da revocare lo scudetto o se, come sostiene l'Inter, quello scudetto è intoccabile, anzi quello degli «onesti».

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Il torto e la ragione

Nessuno ha dato torto all'Inter, nessuno ha dato ragione alla Juventus, tutti si sono rimbalzati la decisione accampando intricate motivazioni da legulei per sostenere di non essere quelli che devono decidere. In dodici anni quell'incartamento, con le intercettazioni dei dirigenti dell'Inter che parlavano con i vertici arbitrali, è passato su decine di scrivanie, troppo scottante per essere aperto. Adesso che ha finito il suo faticosissimo iter, non sappiamo ancora (e forse non lo sapremo mai) se quanto scritto dal procuratore federale di allora, Stefano Palazzi, nella sua pesantissima relazione del 2011, sia passibile o meno di una revoca di quel titolo. Non si è mai trovato qualcuno, uno qualsiasi della Federazione o un qualsiasi giudice di un qualsiasi tribunale, che si è preso la briga di dire: «Ma no, quelle telefonate erano innocenti conversazioni, l'Inter meritava quello scudetto e deve tenerselo». Perché dal 2006 a oggi l'unico dirigente federale che lo ha sostenuto è stato Guido Rossi, commissario della Figc nel 2006, intimo amico di Massimo Moratti e Marco Tronchetti-Provera, tifoso interista ed ex consigliere di amministrazione nerazzurro. Dopo di lui si espresse, appunto, il pm della Figc, Stefano Palazzi, con un documento durissimo per l'Inter e i suoi dirigenti, sui quali pendeva l'ipotesi di illecito sportivo e le cui condotte venivano severamente censurate da colui che aveva processato la Juventus tre anni prima. Il problema, com'è noto, è che quelle violazioni erano prescritte, quindi non se ne fece niente.

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La sentenza di Milano

Partì allora il viaggio infinito del ricorso juventino. Nel frattempo è successo un po' di tutto, anche che il Tribunale di Milano abbia scritto in una sentenza (giudice Oscar Magi, luglio 2010) che : «Le telefonate di Facchetti costituiscono un elemento importante per qualificare una sorta di intervento di lobbing da parte dell'allora presidente dell'Inter nei confronti della classe arbitrale» e sono «significative di un rapporto di tipo amicale» e «preferenziale» raggiungendo «vette non propriamente commendevoli».

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Incompetenti

E quindi quello scudetto del 2006 rimarrà all'Inter, totem della rivalità (eufemismo) fra le due tifoserie, pur scolorendo il ricordo di quell'estate e il motivo di quella decisione. Allora Guido Rossi interpellò tre saggi (Gerhard Aigner, Massimo Coccia e Roberto Pardolesi) per sapere come comportarsi con l'assegnazione dello scudetto tolto alla Juventus. I tre giuristi scrissero un dotto parere nel quale, fondamentalmente, sconsigliavano di assegnarlo ad altri dopo la revoca ai bianconeri, perché «le circostanze relative al caso di specie rendono opportuna tale non assegnazione» perché «ancorché senza prove certe, le irregolarità sono state di numero e portata tali da falsare l'intero campionato», quindi solo in presenza di «prove certe» di totale illibatezza del club ricevente il titolo si sarebbe potuto procedere con una nuova assegnazione. Il commissario Rossi, nel luglio del 2006, ritenne di avere quelle prove e assegnò il titolo all'Inter. E nessuno si è mai più preso la briga di giudicare il fatto che quanto emerso in seguito e riscontrato anche dalla procura Figc abbia messo quanto meno in dubbio quell'illibatezza. «Siamo incompetenti» è sempre stata la risposta, che interpretata con l'accezione comune e non giuridica del termine, in fondo è, di per sé, una risposta eloquente.

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Incompetenti

E quindi quello scudetto del 2006 rimarrà all'Inter, totem della rivalità (eufemismo) fra le due tifoserie, pur scolorendo il ricordo di quell'estate e il motivo di quella decisione. Allora Guido Rossi interpellò tre saggi (Gerhard Aigner, Massimo Coccia e Roberto Pardolesi) per sapere come comportarsi con l'assegnazione dello scudetto tolto alla Juventus. I tre giuristi scrissero un dotto parere nel quale, fondamentalmente, sconsigliavano di assegnarlo ad altri dopo la revoca ai bianconeri, perché «le circostanze relative al caso di specie rendono opportuna tale non assegnazione» perché «ancorché senza prove certe, le irregolarità sono state di numero e portata tali da falsare l'intero campionato», quindi solo in presenza di «prove certe» di totale illibatezza del club ricevente il titolo si sarebbe potuto procedere con una nuova assegnazione. Il commissario Rossi, nel luglio del 2006, ritenne di avere quelle prove e assegnò il titolo all'Inter. E nessuno si è mai più preso la briga di giudicare il fatto che quanto emerso in seguito e riscontrato anche dalla procura Figc abbia messo quanto meno in dubbio quell'illibatezza. «Siamo incompetenti» è sempre stata la risposta, che interpretata con l'accezione comune e non giuridica del termine, in fondo è, di per sé, una risposta eloquente.

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