Giustizia sportiva, il peccato originale è la disparità di giudizio

Giustizia sportiva, il peccato originale è la disparità di giudizio© Figc/Coni

Facciamo due calcoli. Se oggi il Gup Marco Picco, come è probabile, dovesse spedire alla Cassazione la decisione sulla competenza territoriale, dell’eventuale processo Prisma non se ne parlerebbe più fino a maggio, forse giugno, quando si avrebbe la sede. Questo significa che, anche rimanendo il procedimento a Torino, è difficile ipotizzare una sentenza di primo grado prima di un anno a partire da oggi. Quindi, il giudizio d’appello arriverebbe a 2025 inoltrato e la Cassazione, se necessaria, si pronuncerebbe non prima del 2025 o dell’inizio del 2026. Serviranno, insomma, tre anni per avere una sentenza certa e frutto di un giusto processo o, se preferite, tre stagioni sportive, compresa quella in corso. Il che significa che anche solo il primo grado del giudizio penale sulle vicende juventine arriverà quando quello sportivo sarà stato emesso da un pezzo, anzi quando, presumibilmente, gli effetti di quel giudizio saranno già stati consumati sul campo. Il paradosso creato dalla discrasia temporale delle due giustizie obbliga a una riflessione seria su quanto sta accadendo. Nel giro di tre mesi la Juventus verrà giudicata almeno tre volte dalla giustizia sportiva (Collegio di Garanzia per le plusvalenze, i due gradi di giudizio per la manovra stipendi e forse anche un procedimento presso l’Uefa), tutto sulla base delle carte di un’indagine che verranno vagliate seriamente solo nei prossimi tre anni. Parliamo di indizi che non sono ancora diventati prove (vedi le intercettazioni) e di un’inchiesta scaturita dal fatto che di plusvalenze sospette si parlasse molto «sui giornali». Vero, i media, Tuttosport compreso, davano notizie delle plusvalenze della Juventus, così come di quelle dell’Inter, del Napoli, del Genoa, della Roma e di molti altri club.

La verità è che sarà la giustizia sportiva a decidere il destino della Juventus

Le molteplici inchieste giornalistiche hanno sempre fatto luce su un meccanismo ampiamente diffuso nel calcio italiano e pure europeo, ma solo la Procura di Torino ha indagato andando oltre le cosiddette fonti aperte, utilizzando intercettazioni a tappeto. Questo punto di partenza è già sufficiente a creare una spaventosa disparità di giudizio in sede di giustizia sportiva che, in teoria, dovrebbe garantire lo stesso trattamento a tutti i tesserati e, invece, finisce - com’è accaduto il 20 gennaio - a condannare (peraltro con una violenza mai vista prima) la Juventus e solo la Juventus, nemmeno le società che con la Juventus avevano chiuso gli affari sospetti. Oggi inizierà il lungo iter penale e arriverà la sentenza del Consiglio di Stato sulla famigerata carta Covisoc, a lungo negata alla difesa della Juventus in sede di giustizia sportiva e sdoganata da una sentenza del Tar (severo con l’ordinamento federale). Ma la verità è che sarà la giustizia sportiva a decidere il destino della Juventus, sia quello tecnico che quello economico. Il club, un’azienda cardine per il movimento italiano, e otto milioni di suoi tifosi chiedono trasparenza ed equità di giudizio; serietà e una legge che sia uguale per tutti e non meno uguale per loro; pretendono il minimo per una giustizia degna di di questo nome. Perché il punto di partenza non è stato dei più incoraggianti sotto questi punti di vista.

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