Lezione Ibrahimovic, non sono solo canzonette

Lezione Ibrahimovic, non sono solo canzonette© /Ag. Aldo Liverani

Fiumi di parole scorrono sulla settantunesima edizione di Sanremo, così anomala a causa del Covid e per ciò stesso imprevedibile, incatalogabile e irriconducibile a tutti i festival che l’hanno preceduta. Qui poco interessano le concioni autoreferenziali, le analisi sociopsicanalitiche, le intemperanze twittarole su dati di ascolto, testi delle canzoni, qualità e abbigliamento degli interpreti, raffronti dell’Amadeus 2 con l’Amadeus 1, evoluzione artistica di Fiorello il Mattatore. Qui importa rimarcare il lato sportivo dell’evento, fortemente accentuato da Amedeo Umberto Rita Sebastiani, conduttore con la pazienza di Giobbe e la professionalità assoluta che permettono di sopportare le quotidiane iniezioni di acido praticategli da gufi e invidiosi. Qui si elogia la partecipazione di Zlatan Ibrahimovic al Festival, così come la ribalta offerta ad Alex Schwazer, Cristiana Girelli e stasera Federica Pellegrini.

Certamente, dato anche il numero maggiore di presenze, è il fuoriclasse svedese a stagliarsi sul Gruppo Sportivo Sanremo. Che amasse gigioneggiare era risaputo e pure che giocasse sul suo Ego debordante, motteggiando, ma anche no e Amadeus ne ha fatto consapevolmente le spese per amore di copione. Ma la Regola di Ibra o Lezione di Zlatan che dir si voglia, è andata ben oltre l’ambito ludico-goliardico-festivaliero, sublimato dall’autostop sulla A7, dalla corsa in moto con l’esterrefatto centauro milanista e il video subito virale in Rete; l’esibizione degli Abbadeus con fiorelliano assembramento per cantare insieme «Io vagabondo»; l’amarcord con Mihajlovic dei bei tempi in cui si davano testate, base di un’amicizia sempre più forte, resa di cemento armato dalla malattia di Sinisa che, quando Ibra ne viene a conoscenza, trova il colosso svedese basito e recalcitrante persino nel chiamare l’amico non sapendo che cosa dirgli, tanto è scioccato. Ibra è andato oltre. Citare Edoardo Bennato s’impone: «Ma che ci volete fare/ Non vi sembrerò normale/ Ma è l’istinto che mi fa volare/ Non c’è gioco né finzione/ Perché l’unica illusione/ È quella della realtà/ Della ragione».

No, non sono solo canzonette le parole del milanista quando esalta il coraggio di Mihajlovic o destina in beneficenza i 200 mila euro del cachet o palleggia con Donato Grande che mostra a milioni di telespettatori che cosa sia il calcio in carrozzina, altrimenti noto come Powerchair Football. Donato, centravanti della Nazionale, non può camminare da quando è nato, a causa di una malattia degenerativa, eppure non si è mai arreso. «Volevo giocare a calcio per divertirmi e divertire», ha raccontato sul palco dell’Ariston girando lo spot più efficace che il Comitato Italiano Paralimpico potesse desiderare. Donato milanista di Trani che dice: «Lo sport salva la vita». Amadeus che denuncia le barriere architettoniche e i parchi giochi non a misura dei disabili; l’arroganza e la maleducazione di chi impedisce a ragazzi come Donato di vivere la vita che devono vivere.

Ibra annuisce, lui che in Svezia e in Inghilterra è stato sostenitore di numerose iniziative solidali e, il 13 marzo di un anno fa, a pandemia appena scoppiata, affermava: «L’Italia mi ha sempre dato tanto; devo e voglio fare qualcosa di concreto per aiutare un Paese che amo. Ho deciso di creare una raccolta fondi per gli ospedali Humanitas e di sfruttare la mia visibilità per diffondere il messaggio a più persone possibile. Conto sulla generosità dei miei colleghi, di tutti gli sportivi professionisti e di chi ha voglia di dare un piccolo o grande contributo in base alle proprie possibilità, per dare un calcio a questo virus. Insieme possiamo aiutare gli ospedali, i medici, gli infermieri e chi lavora ogni giorno senza sosta per salvarci la vita». Chissà come si dice grazie Zlatan, in svedese.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Loading...

Milan, i migliori video