Leao: "Quando 50 incappucciati entrarono allo Sporting con cinture e spranghe"

L'attaccante del Milan racconta nel suo libro il drammatico episodio che, quando aveva 18 anni, ne segnò la carriera, inducendolo a lasciare Lisbona per LIlle. "Fra quelle persone inferocite riconobbi un ex compagno di scuola. Fu tremendo"
Leao: "Quando 50 incappucciati entrarono allo Sporting con cinture e spranghe"© Marco Canoniero

Leao ha scritto un libro. S'intitola "Smile, la mia vita tra calcio, musica e moda". La stella del Milan lo presenta a Milano, Mondadori Duomo, mercoledì 28 febbraio, ore 18. L'occasione per ritrovarsi a tu per tu con un calciatore che non ha firmato un'autobiografia, poiché sarebbe stato impossibile dati i suoi 24 anni. In realtà, è il racconto di un ragazzo che, passo dopo passo, dal Bairro da Jamaica, quartiere della zona di Seixtal, periferia di Lisbona, su su sino al Milan, si è incamminato lungo la strada del successo e della notorietà, rimanendo fedele al suo sorriso, divenuto il passaporto dell'anima, vidimato anche da esperienze drammatiche come quella vissuta la sera di domenica 13 maggio 2018. Il Maritimo batte lo Sporting, la squadra di Rafa, che non si qualifica per la Champions League e precipita la società in "una piccola tragedia sportiva che si sarebbe riversata sulle nostre carriere e su un mucchio di cessioni imminenti".

"A Das aprirono la testa"

Ciò che accade due giorni dopo la partita imprime una svolta radicale nella vita e sul futuro di Leao, che peraltro, contro il Maritimo non giocò nemmeno, "ma quando si è in campo, si è tutti insieme, dopo tutto. Ricevemmo una contestazione molto feroce dai nostri ultras, anche la Juventude Leonina - che è il principale gruppo dello Sporting - stavolta ci aveva voltato le spalle, manifestando la delusione evidente. Nessuno, però, preparato a quanto sarebbe successo il martedì successivo. Circa 50 persone, incappucciate e vestite di nero, entrarono nel nostro campo di allenamento, presero di mira l'allenatore Jorge Jesus, il suo assistente e i primi calciatori che trovarono a tiro, colpendoli con cinture e spranghe di ferro. Das ebbe la peggio: gli aprirono la testa e dovettero ricucirgliela con punti di sutura. Ma anche Rui Patricio e William vennero colpiti. Tutti giocatori che pensavo intoccabili, ridotti in quello stato. Eravamo tutti sotto shock, non avemmo neanche il tempo di reagire. Non avevo mai visto una cosa del genere, non ne avevo neanche mai sentito parlare. Nessuno riusciva a capire cosa stesse succedendo, nessuno aveva neanche lontanamente preso in considerazione una tale situazione. Anche al club non avevano capito la gravità della cosa, di conseguenza non avevano preso alcun provvedimento o misura di sicurezza. Non deve essere stata facile per nessuno, ma per me fu diverso, anche se nessuno mi aveva col pito, per me era molto peggio. L’Academy distava solo 25 minuti dal bairro, do potutto era stato uno dei motivi per cui ero andato a giocare allo Sporting, ma quella distanza non era breve solo per me, evidentemente, ma anche da chi aveva intenzioni molto diverse dalle mie".

"Li ho denunciati, sono stato minacciato"

"Tra le persone che fecero irruzione nel nostro spogliatoio infatti avevo riconosciuto alcuni dei miei ex compagni di scuola. Quando hai passato così tanto tempo con qualcuno non basta certo un cappuccio o un passamontagna a renderlo irriconoscibile. Tra gli ultras inferociti notai un mio ex compagno di scuola, stessa scuola, stesso quartiere, stesso gruppo di amici di una volta, lo riconobbi e tutto quello che riuscii a fare fu sorridergli, così da lasciargli intendere di averlo visto. Fu tremendo. Stentavo a crederci, quelli che consideravo come me, come noi, non si erano fatti scrupoli a venirci a picchiare perché, in fin dei conti, avevamo perso una partita. Non ho potuto però fare a meno di denunciarli: tutti noi calciatori siamo stati chiamati in tribunale e io avevo gli strumenti per fermarli. Potevo riconoscerli e non ho esitato a farlo. Da quel momento in poi la mia situazione si è decisamente aggravata: 9 persone sono state condannate a 5 anni di prigione, un’altra trentina ha ricevuto condanne minori. Quelle stesse persone però sapevano chi ero, sapevano dove abitavo e probabilmente conoscevano anche la mia famiglia. Mio padre mi mandò via, a Oporto, a casa di alcuni amici. Sia io sia la mia cerchia di amici e familiari avevamo notato minacce dirette sui social media. Iniziarono a circolare video e ricevevo messaggi parecchio difficili da digerire. Ancora oggi, a distanza di anni, se mi capita di commentare una foto dello Sporting o di qualche calciatore dello Sporting, mi ritrovo invaso da gente che mi insulta, mi offende e mi chiama traditore. Sono certo che se dovessi incontrare quelle persone in giro farebbero di tutto per rendermi la vita un inferno. Lo stesso inferno che avevo vissuto in quelle settimane". La domenica successiva , lo Sporting giocò la finale di Coppa con il Desportivo Alves, però Leao non era stato neanche convocato. "Perdemmo 2-1, ma io non ero già più un giocatore dello Sporting: rescissi unilateralmente il mio contratto dopo poche settimane, così come molti altri giocatori aggrediti. Avevo solo 18 anni e avrei dovuto lasciare la mia terra...".

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