Un'altra opera d'arte di Conte il serial winner: le specialità del tecnico dei miracoli

I giocatori-simbolo di una stagione incredibile del Napoli piegano il Cagliari e sublimano il capolavoro di Antonio, al 5° scudetto con 3 squadre differenti

E, sì, è vero, il Napoli ha voluto, sempre voluto, fortissimamente voluto il titolo, ma l’Inter lo ha un po’ buttato via. Lo ha buttato via a Bologna (dove sembra vivere una maledizione), lo ha buttato via a Parma, ma volendo anche contro il Milan e la Roma a San Siro o a Firenze o, a voler essere perversi, contro la Juventus a San Siro, quando quella folle sfida è scivolata dal possibile 5-2 per l’Inter al 4-4 di Yildiz in pochissimi minuti. Quando perdi lo scudetto per un punto, puoi sbizzarrirti nello scegliere il momento esatto in cui hai gettato al vento la partita fatale. E sì, l’Inter ha avuto una stagione massacrante, con quella di ieri ha disputato 58 partite (e gli resta la finale di Champions e almeno tre del Mondiale per club), il Napoli ne ha giocate 41, quasi un girone in meno e pesa, pesa maledettamente nel corso di una stagione.

Inzaghi più da Coppa che da Scudetto

Ma l’Inter ha perso per un punto, un misero punticino e, nonostante ne abbia persi tanti per stanchezza, una manciata li ha sprecati per superficialità, supponenza, incapacità di gestire le situazioni favorevoli e, forse, per una certa sindrome da pancia piena che ha visto spesso l’Inter snobbare il campionato pensando di più alla Champions. Simone Inzaghi è un allenatore formidabile e sarebbe una follia discuterne le qualità, anche dovesse finire la stagione senza titoli, ma è il secondo campionato che si fa soffiare (il primo quello del Milan del 2022), non una prova, ma quantomeno l’indizio che è un allenatore da Coppa più che da campionato.

© RIPRODUZIONE RISERVATATutte le news di Napoli

Conte fenomeno dei campionati

Antonio Conte è, invece, il più fenomenale vincitori di campionati che esista in Europa: 3 con la Juventus, 1 con l’Inter, 1 con il Chelsea, 1 con il Napoli, per un totale di sei, almeno tre dei quali sono imprese nelle quali ha resuscitato una squadra e l’ha portata a trionfare. Il successo del Napoli nasce dall’energia e dalla convinzione che riesce a sprigionare e infondere nella squadra che allena. Intorno al sole di Conte ruotano i pianeti della galassia azzurra: McTominay è il simbolo dello scudetto, ma Di Lorenzo, Anguissa, Rrahmani, Lobokta, Politano, resuscitati dopo la balorda annata dei tre allenatori, hanno dimostrato che il capolavoro del 2023 non era un caso, non era un miracolo neppure quello, ma il frutto di un progetto tecnico e una squadra che ha scritto una pagina importante della storia del calcio italiano.  

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Juve, Chelsea e Inter: unico al mondo

Se volete trovargli dei difetti non fate neanche troppa fatica, perché Antonio Conte ne ha. Ma se volete trovare uno come lui, uno in grado di compiere le imprese in cui riesce lui, allora sì che diventa difficile, forse impossibile, perché Conte è unico al mondo. Ha preso la Juventus deragliata nel post Calciopoli, senz’anima e senza gioco, l’ha rimessa in piedi e ha vinto lo scudetto al primo colpo (conquistandone poi altri due). Ha preso il Chelsea che veniva dalla controversa stagione del ritorno di Mourinho e al primo colpo ha vinto il titolo di Premier League (tuttora l’ultimo che ha vinto il Chelsea). Ha preso l’Inter che non vinceva niente da dieci anni (dieci anni grigio scuro, peraltro) e in due anni ha vinto lo scudetto, ponendo le basi per i successi degli anni dopo.

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Il Napoli rigenerato

Ha preso il Napoli che tutti dichiaravano a fine ciclo, senza speranze e, al massimo, con l’obiettivo di riaffacciarsi in Champions e ha vinto lo scudetto al primo colpo. Non ha vinto con la Nazionale italiana, compiendo però un miracolo quando è riuscito a portarla ai quarti dell’Europeo di Francia nel 2016 (uscendo con quei rocamboleschi rigori contro la Germania) e non ha vinto con il Tottenham che, tuttavia, ha riportato in Champions League che mancava da tre stagioni. Conte è unico nella sua efficacia nel rigenerare lo spirito di squadra, nel dare consapevolezza al gruppo, nel valorizzare ogni grammo di talento presente nella rosa (e a volte di moltiplicare quei grammi con le sue idee e il suo impatto psicologico).

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Conte, la Juve ha bisogno di te

Conte fa risorgere le squadre, moltiplicandone le forze e la sicurezza. Ce ne sono pochi come lui, perché è pieno di allenatori bravi, ce n’è un gruppetto di molti bravi e una manciata di eccellenti, ma nessuno, neanche nell’ultimo gruppo, è in grado di prendere una squadra allo sbando e vincere al primo colpo. Questo tipo di impresa, oggi, riesce solo a Conte e non a caso, quando l’eco della grande festa napoletana andrà a esaurirsi, rimbomberanno le domande sul suo futuro, perché la Juventus avrebbe maledettamente bisogno di uno come lui, di un costruttore da zero, di un valorizzatore di rose malconce. Il suo lavoro con il Napoli di questa stagione è strepitoso. Pensate alla forza con cui è riuscito a trattenere Di Lorenzo, rimettendolo al centro della squadra e dello spogliatoio, rigenerando non solo il terzino, ma soprattutto il leader.

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Da Raspa a McTominay: il potere della didattica

Oppure al modo in cui ha capito McTominay e lo ha trasformato in uno dei centrocampisti più letali del campionato (quanto vale oggi lo scozzese?). Alla sapienza con cui ha saputo sfruttare Raspadori nei momenti critici della stagione. Alla capacità di reagire (e far reagire la squadra) dopo un mercato di gennaio che aveva visto partire uno dei talenti più brillanti, senza un degno sostituto in entrata. La forza di Conte è una didattica micidiale grazie alla quale inculca le sue idee in tempi molto brevi, una capacità psicologica superirore con cui entra nelle teste dei suoi giocatori comprendendone gli umori e pompandone la fiducia, un’abilità machiavellica nella gestione dell’ambiente con sfoghi, silenzi, uscite apparentemente spericolate ma sempre calcolate al millimetro. Sì, poi ha anche dei difetti, non c’è dubbio, ma chi si è fidato dei suoi pregi, finora, non si è mai pentito. 

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E, sì, è vero, il Napoli ha voluto, sempre voluto, fortissimamente voluto il titolo, ma l’Inter lo ha un po’ buttato via. Lo ha buttato via a Bologna (dove sembra vivere una maledizione), lo ha buttato via a Parma, ma volendo anche contro il Milan e la Roma a San Siro o a Firenze o, a voler essere perversi, contro la Juventus a San Siro, quando quella folle sfida è scivolata dal possibile 5-2 per l’Inter al 4-4 di Yildiz in pochissimi minuti. Quando perdi lo scudetto per un punto, puoi sbizzarrirti nello scegliere il momento esatto in cui hai gettato al vento la partita fatale. E sì, l’Inter ha avuto una stagione massacrante, con quella di ieri ha disputato 58 partite (e gli resta la finale di Champions e almeno tre del Mondiale per club), il Napoli ne ha giocate 41, quasi un girone in meno e pesa, pesa maledettamente nel corso di una stagione.

Inzaghi più da Coppa che da Scudetto

Ma l’Inter ha perso per un punto, un misero punticino e, nonostante ne abbia persi tanti per stanchezza, una manciata li ha sprecati per superficialità, supponenza, incapacità di gestire le situazioni favorevoli e, forse, per una certa sindrome da pancia piena che ha visto spesso l’Inter snobbare il campionato pensando di più alla Champions. Simone Inzaghi è un allenatore formidabile e sarebbe una follia discuterne le qualità, anche dovesse finire la stagione senza titoli, ma è il secondo campionato che si fa soffiare (il primo quello del Milan del 2022), non una prova, ma quantomeno l’indizio che è un allenatore da Coppa più che da campionato.

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