De Rossi: "Dalla Roma nessuna chiamata. Io un giorno tecnico giallorosso"

L'ex capitano giallorosso: "Non ho scelto io di lasciare la mia squadra, ho preso decisioni che non avrei voluto prendere. Inizierò il percorso da allenatore perché penso di poterlo fare. Al Boca ho imparato tantissimo dal punto di vista umano"
De Rossi: "Dalla Roma nessuna chiamata. Io un giorno tecnico giallorosso"© Marco Canoniero

ROMA - Daniele De Rossi si è raccontato senza filtri ai microfoni di Sky Sport, toccando tantissimi temi, dall'addio alla Roma al desiderio di allenarla quando sarà diventato un "bravo allenatore", fino all'esperienza in Argentina col Boca Juniors. “Ho fatto un percorso da calciatore non unico ma raro. Giocare vent’anni in una squadra non capita tutti i giorni - esordisce l'ex Capitan Futuro - Non potrà accadere quando diventerò allenatore, non esiste un allenatore che duri così tanto in una squadra, soprattutto a Roma. Ma lo ribadisco: un giorno mi piacerebbe allenare la Roma, ma prima devo diventare allenatore. Oltre ai corsi, c’è un percorso di crescita di cui tutti gli allenatori giovani hanno bisogno. Mi sono trasformato in pochi giorni da un calciatore vecchio a un allenatore giovane: vedo le cose con più tranquillità e calma. Mi piacerebbe sedermi un giorno su quella panchina, ma non è detto che abbia questa fretta di farlo accadere domani. Potrà succedere tra cinque anni, tra dieci anni tra vent’anni. Spero che un giorno accada, ma soltanto se sarò un bravo allenatore, se porterò qualcosa alla squadra a cui tengo tanto e non perché sono stato tanti anni un giocatore della Roma. Inizierò questo percorso non solo perché mi piacerebbe fare l’allenatore, ma perché penso di poterlo fare. Mi è sempre stato riconosciuto questo ruolo di leader. Sarò un pochino avvantaggiato, ma l’allenatore è anche altro: prendere delle decisioni, mettere una squadra in campo, scegliere lo staff e subire quelle pressioni che mi sono sempre caricato le spalle. Ma da allenatore sarei da solo contro tutti. Quando perdi sei da solo, mentre quando vinci sono bravi i giocatori: è una cosa che ho sempre sentito quando giocavo”.

DDR torna a parlare della sua partita d'addio: “L'ho vissuta con grande serenità. Non ho finto neanche per un secondo, anche se mi sono emozionato in alcuni momenti. Ci sono stati dei momenti di vuoto durante la partita: un infortunio o una sostituzione, mi giravo verso gli spalti e ho pensato: “Io da questa prospettiva non vedrò più lo stadio”. Mi è venuto un po’ di magone. Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato quel momento, fa male a chiunque e senti un senso di malinconia. Ma era importante far vedere anche alla mia famiglia che non era una tragedia. Ho voluto anche far vedere ai tifosi la mia felicità per quello che mi avevano dato. Discorso ai compagni? Io non preparo mai niente, ci penso trenta secondi prima di farlo. I miei compagni di squadra mi applaudivano anche quando passavo il pallone in allenamento, nei giorni prima dell’addio. Non doveva essere una partita dell’addio, ma dovevo giocare facendo le mie scivolate, giocando come sempre. Peccato che sia finita zero a zero”. L'addio ai colori giallorossi non è stato scelto da lui, e questo De Rossi non si stancherà mai di ripeterlo: "Non ho scelto io di lasciare la Roma, ma ho deciso di dire addio al calcio. Sono stati due momenti difficili. Ho dovuto prendere decisioni che non avrei voluto prendere: la prima volta perché qualcuno ha scelto per me, l’altra perché ci entrava la mia famiglia. Non ho sentito dirigenti della Roma, ho incontrato De Sanctis. L’altro giorno ho sentito un dirigente della Roma, ma per sapere come stavo. Non mi ha chiamato nessuno per lavori futuri, e io non chiamerò”. De Rossi parla poi di Marchisio, un altro giocatore che ha legato la sua carriera quasi esclusivamente alla squadra del cuore, la Juve: "Claudio è un ragazzo serio. Ha gli attributi e la mente per fare certi discorsi. Lo incontrai la prima volta in un Roma-Empoli, con lui e Giovinco che ci misero in una difficoltà imbarazzante. Si è inventato mediano, per me il ruolo che avrebbe fatto benissimo, poi alcuni infortuni lo hanno bloccato".

Sulla moglie Sarah: “Il suo solo difetto è di essere molto social. Ogni tanto mi giro e vengo ripreso in primo piano. Dal punto di vista umano è stata fondamentale. Mi ha migliorato molto, compreso lo stile di vita. Abbiamo creato una famiglia allargata. È stata fondamentale per le mie decisioni: mi ha detto di scegliere, e che mi avrebbe seguito. Magari voleva anche andare in altri posti, ma si è innamorata dell’Argentina forse anche prima di me. Era dispiaciuta inizialmente di andarsene da Buenos Aires, le manca molto perché era diventata una casa”. Sulla scelta di chiudere la carriera al Boca Juniors: “L’ho scelto da ragazzino, guardando i filmati che mi entusiasmavano, guardando Maradona che è stato uno dei miei idoli. Anche se non ha mai giocato con la Roma. Hanno come tifoseria qualcosa di diverso. Ho imparato tantissimo dal punto di vista umano. Mi sono reso conto di quanto talento, senza organizzazione, può andare sprecato. Gallardo ad esempio c’è riuscito lì, ha dei calciatori fortissimi e li fa interagire bene. Lui ha fatto quello che dovrebbe fare l’Argentina come nazionale”.

Il discorso si sposta poi sul trionfo al Mondiale 2006: “Ovviamente Lippi è stato importante. Quella era una nazionale mostruosa offensivamente. Non era però la nazionale più forte, Brasile, Francia e Spagna forse erano più forti. Abbiamo vinto perché abbiamo lottato e perché dal primo giorno il ct ha creato un rapporto tale e quale a quello di una squadra di club. Lippi ha formato un gruppo di amici e poi l’ha gestita benissimo tecnicamente e tatticamente. Se non ci fossero stati quei sessanta minuti in finale e quel rigore avrei assaporato tutto in maniera minore. Ho sentito sempre la sua fiducia, anche quando era incazzatissimo con me dopo l’espulsione. Sentivo che mi avrebbe buttato dentro se ci sarebbe stata la possibilità. Prima della finale Peruzzi mi disse che Lippi si era ammattito e che mi avrebbe fatto giocare in finale. E’ il ricordo più memorabile della mia carriera”. De Rossi conclude così: “Andrò a vedere mille allenatori, perché mi serve. Un bambino in piedi non riesce a vedere come un anziano seduto. Io sono un bambino in questo momento. Se avrò l’opportunità, penso partirò da Guardiola. Ci sono tanti allenatori bravi in Italia come Gattuso e De Zerbi, che mi fa impazzire. Saranno dei viaggi professionali ma anche divertenti, perché questo mondo mi piace molto. Voglio contattare , allenatori di altri sport come Pozzecco.

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