«Quel titolo del ‘27 è del Torino: ecco perché!»

Lunardelli, autore del libro-indagine sullo scudetto ’27: «Processo fascista, prove inesistenti, contraddizioni»

TORINO - «Il Torino fa bene a rivendicare lo scudetto del 1927. Sono diversi i motivi per cui la Federcalcio potrebbe dargli ragione. E lo dico non per ragioni di tifo, ma per amor di giustizia». A parlare è Massimo Lunardelli, scrittore, bibliotecario, autore di “Indagine sullo scudetto revocato al Torino nel 1927” (Blu Edizioni, 2014): il lavoro migliore, più ricco e accurato, dedicato a quella controversa vicenda. Che è tornata per l’ennesima volta d’attualità, sull’onda dell’entusiasmo di Cairo: che vuole chiedere alla Ficg di riaprire la vicenda, nella speranza di farlo riassegnare al Toro, quel tricolore da 88 anni senza padroni. Proprio l’accurata opera di investigazione e ricerca di Lunardelli è oggetto di studio dei legali e dei collaboratori di Cairo. Perché nel libro si trovano le prime chiavi per capire cosa successe davvero. E per individuare dove e perché il Torino può avere ragione. Quello stesso Torino che fu accusato da Arpinati, presidente della Figc, potentissimo gerarca fascista, tifoso del Bologna arrivato secondo. «E che il Bologna fosse protetto era noto a tutti - dice Lunardelli -. Nel libro ho dimostrato anche come riuscirono incredibilmente a far rigiocare la partita col Torino, che i rossoblù avevano perso, poco tempo prima di quella strana vicenda della presunta corruzione del difensore juventino Allemandi, nel derby col Toro del giugno ‘27».

TESTIMONI DIRETTI: ZERO -  Non si può riassumere in un articolo un volume di quasi 200 pagine, espressione della sintesi di «un enorme lavoro di ricerca durato due anni», ricorda l’autore. Si possono dare delle pennellate fondamentali, questo sì. Allemandi si proclamerà sempre innocente. Chiederà di essere ascoltato, e (invano) di essere messo a confronto diretto col suo grande accusatore, Francesco Gaudioso, studente siciliano che a Torino viveva nella stessa pensione di Allemandi. Il difensore della Juve, accusato al termine dell’inchiesta quasi a sorpresa, sarà squalificato a vita. Ricorrerà al Coni, nel 1928 stilerà un memoriale, «in cui si possono facilmente individuare le grandi contraddizioni del processo, la necessità per i vertici fascisti di trovare a tutti i costi un colpevole, le faide tra i protagonisti, la non esistenza di prove materiali, conosciute». Allemandi scriverà in quel memoriale: «Sono stato giustiziato, non giudicato». Lunardelli: «E quante inesattezze sono state riportate in questi ultimi decenni. Anche da grandi giornalisti come Ghirelli e Brera. Alla gente viene fatto credere da 40 anni che Allemandi fu sentito da un giornalista, Renato Ferminelli, litigare con Gaudioso per avere altri soldi: un’invenzione. Cade così una delle prove: il testimone diretto»

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