© Marco CanonieroTORINO - Non poteva passare inosservata, e difatti non è affatto passata inosservata, la dicotomia di pensiero (e di parole, toni, prospettive) esibita da Cairo l’altro ieri nella sua intervista a Radio Montecarlo, disquisendo prima di Mazzarri e poi di Petrachi: 24 ore prima della sparata del ds, ieri sera all’Ansa. Restiamo al tecnico, qui. «Stiamo disputando un ottimo girone di ritorno - aveva detto in sostanza il presidente, martedì pomeriggio -. Stiamo facendo cose eccellenti, da una difesa super a Belotti che ha ripreso a segnare. Da 27 anni non facevamo così bene. Mazzarri ha fatto e sta facendo un lavoro splendido. Ha creato una squadra molto compatta. I risultati si vedono. Sono molto contento di lui». Il tutto, declamato con voce allegra, serena. Con la forza della soddisfazione. E con l’energia delle speranze, a cominciare dal rush finale in campionato con vista sull’Europa. Tutta un’altra musica, tutta un’altra aria, invece, si era respirata quando a Cairo avevano chiesto di Petrachi, sempre l’altro ieri. Via la gioiosa serenità. Piuttosto, un gelido avvertimento, da parte del presidente. Ma anche un nuovo segnale che già suonava come l’ennesima conferma di quanto si scrive da diverse settimane su queste colonne. Ovvero che il ds è destinato a partire, dopo 10 anni. E la sparata di Petrachi, ieri sera, ha chiuso un cerchio, nei fatti. Ma torniamo a Mazzarri, adesso. Il Toro è gradualmente entrato nella pelle di WM, dal gennaio dello scorso anno a oggi. Il tecnico si sta legando sempre più (e così anche i suoi collaboratori) ai colori e ai valori granata, ai destini e alle ambizioni del club, al mondo Toro globalmente inteso. Parla sempre con grande rispetto delle tradizioni. E disquisisce di futuro con la medesima forza evocativa che si può cogliere in Cairo. Stesse speranze di crescita. Stessa voglia di aprire un Euro-ciclo. Stesse motivazioni fortissime.
