“Già a maggio trattavo Dzeko”. La ‘confessione’ di Petrachi a Roma dà ragione a Cairo

L'ex ds del Toro ammette di aver lavorato per il club giallorosso quando ancora era sotto contratto col Torino: il presidente granata gongola. Il caso Nkoulou e non solo: quanti veleni
“Già a maggio trattavo Dzeko”. La ‘confessione’ di Petrachi a Roma dà ragione a Cairo© LaPresse

TORINO - Ha deciso di non farsi mancare proprio niente, Gianluca Petrachi. Nemmeno la confessione. Di aver lavorato da ds per la Roma quando ancora lo era - almeno contrattualmente - del Torino. Confessione un po’ anomala, va da sé, come anomalo è lui nella gestione dei compiti mediatici, delle urgenze dialettiche e degli affari diplomatici: cose dalle quali, non a caso, nei suoi quasi dieci anni di Toro si era sempre tenuto il più possibile alla larga, riuscendoci benissimo (o malissimo, a seconda dei punti di vista) e soprattutto volentieri. Non gli piace parlare, è a disagio sui palcoscenici, fatica - quand’è in diretta e non può tergiversare, né studiare una strategia autoprotettiva - a mettersi d’accordo con la parte verace di se stesso: quella che non sa mentire, o quantomeno non lo sa fare (a differenza di altri professionisti dell’eloquio) spacciando le bugie per verità.

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Le parole di Petrachi a margine della presentazione di Mkhitaryan

Senonché, a Roma, dove la definizione di direttore sportivo comporta precise deleghe anche di rappresentanza, la ritrosia che sempre lo ha contraddistinto alla corte di Cairo - al quale peraltro faceva comodo - Petrachi non se la può permettere. E così ieri l’altro, a margine della presentazione di Mkhitaryan, quello che per i tifosi giallorossi è subito diventato «armeno tu nell’universo», il dirigente pugliese a una domanda su Dzeko se n’è uscito trullo trullo. «Quando io la prima volta a maggio ho incontrato l’Inter ho posto il mio prezzo per Edin, poi quel prezzo non è mai arrivato dall’Inter». Così, lettera più virgola meno, hanno riportato tutti i quotidiani e i siti d’informazione sportiva. Difficile che decine di giornalisti si siano inventati contemporaneamente una dichiarazione tanto precisa; ancor più difficile dunque che Petrachi o la Roma stessa - magari con un comunicato - possano smentire un autogol del genere, come invece avevano tentato di fare per rattoppare la vicenda Nkoulou. Vicenda che peraltro nemmeno s’è ancora chiusa, anzi; malgrado la seconda, stizzita, vagamente allusiva replica di Petrachi alla lettera-sfogo del camerunese a L’Équipe e ai rimproveri di Cairo per avere destabilizzato il difensore con profferte di mercato. «Riguardo le dichiarazioni del presidente Cairo, desidero precisare che il sottoscritto non ha mai promesso al calciatore Nkoulou né tantomeno al suo agente Maxim Nanà una eventuale cessione nell’anno in corso». E, come se non bastasse, la postilla sibillina: «Cairo sa perfettamente come siano andate le cose, e lo sanno anche i diretti interessati viste anche le dichiarazioni dello stesso calciatore. Mi auguro di non essere più tirato in ballo per quanto concerne il Torino Calcio, a cui auguro le migliori fortune per il prosieguo della stagione». Come a dire: boccaccia mia statti zitta.

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TORINO - Ha deciso di non farsi mancare proprio niente, Gianluca Petrachi. Nemmeno la confessione. Di aver lavorato da ds per la Roma quando ancora lo era - almeno contrattualmente - del Torino. Confessione un po’ anomala, va da sé, come anomalo è lui nella gestione dei compiti mediatici, delle urgenze dialettiche e degli affari diplomatici: cose dalle quali, non a caso, nei suoi quasi dieci anni di Toro si era sempre tenuto il più possibile alla larga, riuscendoci benissimo (o malissimo, a seconda dei punti di vista) e soprattutto volentieri. Non gli piace parlare, è a disagio sui palcoscenici, fatica - quand’è in diretta e non può tergiversare, né studiare una strategia autoprotettiva - a mettersi d’accordo con la parte verace di se stesso: quella che non sa mentire, o quantomeno non lo sa fare (a differenza di altri professionisti dell’eloquio) spacciando le bugie per verità.

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