Marengo: “Toro, la salvezza è tornare Toro”

L’ex presidente e quel tumore: “Essere granata mi aiuta”. Il numero 1 del club prima di Cairo: non solo i timori del contagio: “Già operato: medici ottimisti. Sono un toro: combatto”
Marengo: “Toro, la salvezza è tornare Toro”

TORINO - La nostra chiacchierata con l’avvocato Marengo raggiunge, a un certo punto, un bivio strettamente personale per lui. E ovviamente molto delicato. E’ come se la telefonata si arrestasse improvvisamente sul posto, dopo tanto correre. Ma per ripartire quasi subito. Perché riprende presto a parlare, Marengo: lui, il presidente del Torino prima di Cairo. Il “lodista” Marengo: che nel 2005, con al fianco una quindicina di anime profondamente del Toro come lui, fece rinascere il club dopo il fallimento cimminelliano. Ben prima, cioè, che Cairo comparisse. Non bisogna mai dimenticarlo: se i “lodisti” non avessero subito alzato il braccio davanti alla Federcalcio, impegnandosi in prima persona a fronte di innumerevoli sacrifici, il Toro non sarebbe mai risorto senza abbandonare il pianeta professionistico e mantenendo accesa quella fiammella nata ufficialmente il 3 dicembre del 1906. Ecco con chi stiamo parlando: non scordiamocelo mai, se amiamo il Toro. Ma parlavamo di un bivio, all’inizio.

«Massì dai, diciamolo pure anche pubblicamente: non è un problema se lo verranno a sapere tutti. D’altra parte, nell’ottica che ci siamo detti, effettivamente anche la mia storia personale può avere un significato positivo per altre persone. Di speranza, di fiducia, di lotta. A maggior ragione oggi, in questi tempi tanto drammatici. Per cui scriviamo pure ciò che mi è successo. A fine gennaio sono stato sottoposto a un intervento chirurgico piuttosto importante, ovviamente con vari strascichi successivi. Che ora, inevitabilmente, mi pongono tra i soggetti più a rischio di contagio da coronavirus. Mi hanno asportato un pezzo di intestino con all’interno la bestia: un tumore, purtroppo. Al colon. Ma per fortuna i medici mi hanno detto che l’operazione è andata molto bene. E di conseguenza loro sono ottimisti. Per cui non posso che esser ottimista anch’io, oltreché combattivo. Ma combattivo lo sarei stato comunque». «Da diverse settimane sono tornato a casa, per fortuna. Negli ultimi 15 giorni sono uscito una sola volta: per sottopormi a un esame in ospedale, alle Molinette. E dovrò fare altri esami periodici anche in futuro. Il reparto oncologico non può certo fermarsi per via della diffusione del coronavirus. E la gratitudine non solo mia ma di tutti noi per i medici, gli infermieri e tutti coloro che nella Sanità sono in prima linea dev’essere fin sacra. Per fortuna, comunque, in questo momento non devo sottopormi a cure particolari. Però, come potete immaginare, non è esattamente il massimo dover lottare proprio adesso contro un tumore o contro una sua possibile nuova insorgenza. Resta il fatto che anche tutto ciò non ha minimamente modificato il mio modo di essere. Il mio spirito. Anche se, ovviamente, il pericolo del contagio non può che risultare ancor più spaventoso per me, nella mia condizione di soggetto a rischio. Difatti le mie paure sono cresciute, certo. Ma non ho mai piegato la testa. Tant’è che da casa, non appena è stato possibile, ho ricominciato subito a lavorare in smart working. E anche a essere di nuovo presente sui social nel dibattito sul Toro. Beh, mi auguro che tutta questa mia energia possa in qualche modo raggiungere anche altre persone che stanno vivendo un’esperienza simile alla mia: e magari adesso stanno leggendo questa intervista. Positività, speranza, altruismo, impegno civico e senso di responsabilità: con questi strumenti bisogna combattere».

Leggi l’intervista completa sull’edizione odierna di Tuttosport

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