Torino, Belotti: il cuore è di famiglia

Il fratello del gallo, Manuel: "Io e Andrea ci siamo tatuati una frase anni fa: mai mollare"
Torino, Belotti: il cuore è di famiglia© Marco Canoniero

TORINO - Li avevamo lasciati là, nel passato della nostra memoria, quando raccontarono a turno, prima uno e poi l’altro, il primo in tv e il secondo sul giornale, frammenti della loro infanzia. Negli anni scorsi: e parlavano di tempi ancor più lontani, Manuel e Andrea. Per la cronaca: i fratelli Belotti, di 31 e 26 anni. Poi, una mattina all’improvviso, per la precisione ieri mattina, li abbiamo ritrovati a distanza sullo schermo del nostro telefonino. Perché un altro Andrea, un tifoso del Toro con un figlio di 7 anni, Claudio, che se possibile è ancor più granata di lui, ci aveva appena inoltrato via Whatsapp 3 fotografie: la cucina e la mensa di un ospedale da campo, e il volto seminascosto dalla mascherina di volontario della Protezione civile. Al lavoro. Con un breve messaggio di accompagnamento, che ora potremmo riassumere facilmente così: «Guarda il fratello del Gallo a Bergamo, che bravo. E che bella storia, in mezzo a tutta questa tragedia». Già, proprio così: che bella storia, in mezzo a tutta questa tragedia. Come il dilucolo al fondo della notte, quando l’alba annuncia se stessa. Il dilucolo: il primo albore del giorno, il primo sottile filo di luce che si insinua tra le tenebre per squarciarle man mano. Il dilucolo: e quell’immagine così tanto evocativa, fin poetica, che si porta in grembo. Manuel e Andrea raccontavano, anni fa, cose così: «Mio fratello nel Toro sta segnando a raffica e ha raggiunto persino la Nazionale. In famiglia siamo fin commossi per questo momento magico di Andrea. Ogni volta che lo vedo far gol, mi viene la pelle d’oca. Il momento più brutto è stato quando da ragazzino, negli Allievi dell’Albinoleffe, stava in panchina e non giocava. Quando tornava a casa era sempre arrabbiato. Però non mollava mai già allora. E questa è una frase che ci ripetiamo da sempre. Infatti ce la siamo anche tatuata: never give up». Mai mollare. «Sono cresciuto in una famiglia bergamasca doc - raccontò un giorno il Gallo-. Papà lavorava in una tipografia, mamma in fabbrica. Una fabbrica in cui si producevano camicie: e lei si occupava di lavarle e stirarle. I miei sono sempre stati dei grandi lavoratori. Mio padre a 14 anni faceva il muratore, il piastrellista. Mio nonno morì presto e papà ha sempre lavorato tanto perché, essendo il più grande di 4 figli, toccava a lui prendersi in carico la famiglia. Anche mamma ha sempre lavorato tanto: e non portava a casa molti soldi. Tornava sempre stanca e io da ragazzino, quando rientravo dagli allenamenti, scaricavo sempre panni sporchi: una montagna. Ma anche mio fratello Manuel è un gran lavoratore: ama cucinare, è portato, difatti aveva iniziato presto a lavorare in una pizzeria. Poi, quando sono andato via da casa per andare a Palermo, sono finalmente riuscito a convincere mia mamma a smettere di lavorare. Potevo aiutarla io con i miei stipendi. Con papà invece è stato più difficile. Perché papà è la classica persona che in vacanza non sa stare fermo più di 3 giorni». E il Gallo aveva «persino paura che si offendessero», i suoi. A sentirsi dire: «Anche se siete ancora giovani, adesso vi aiuto io». Ha dovuto insistere a lungo, Andrea. [...]

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