Dai derby umilianti a Segre: quei valori Toro non coltivati

I risultati fanno meno male delle promesse disattese e della disattenzione per i sentimenti dei tifosi: che non ne possono più
Dai derby umilianti a Segre: quei valori Toro non coltivati© www.imagephotoagency.it

TORINO - Il problema non è il Segre in sé, riflette il tifoso granata, ma il vuoto di Toro in me. Se un giovane e bel giocatore - sicuramente un bravo ragazzo, anzi an braü fieul, come si dice nella città che lo ha visto nascere, crescere, tifare e ora giocare - arriva al punto di non pensare che sta facendo una cosa sbagliata, o quantomeno inopportuna, lasciandosi fotografare sorridente con la maglia di un giocatore della Juve dopo il miliardesimo derby perso male, significa che la situazione è grave ma non è seria. Al di là del fatto che fosse stato pensato come uno scatto privato, come un gesto in buona fede, e che qualcuno di cui si fidava lo abbia tradito diffondendo in rete quell’incauto invio, con un clic diventato la goccia che ha fatto traboccare il vaso della contestazione repressa. Lo ha detto anche Pulici, la più pregiata icona vivente del sentire granata, riassumendo con poche e mirate parole («da troppi anni al Toro nessuno insegna e trasmette più i valori granata: ai miei tempi non sarebbe successo, o comunque il ragazzo avrebbe dovuto fare i conti con lo spogliatoio») il senso amaro di questa vicenda, nonché migliaia di post di tifosi increduli e furenti.

Il vaso è colmo

Una stupidaggine che mai avrebbe conosciuto un risalto simile se non arrivasse a coronamento di troppi anni di niente. Un niente laddove i risultati penosi sono insieme il primo - perché, chiaro, fungono da detonatore della rabbia - ma anche l’ultimo dei problemi. L’ultimo perché un simile senso di sfinimento nella tifoseria del Toro non si è provato e avvertito nemmeno nelle stagioni di serie B. E una carenza così forte, e avvilente, di senso d’appartenenza da parte della società e della squadra e dell’intero ambiente non si era sofferta neppure nei giorni devastanti del fallimento del glorioso Torino Calcio, dissolto e consegnato all’oblio da Cimminelli e dai suoi complici/nemici (non tutti in seno al club granata). Tante, perfin troppe cose sono già state dette e qui scritte, raccontate, sviscerate, e non è neanche il caso adesso di andare a rivangarle, a rianalizzarle, a rigiudicarle, a risoppesarle. Non fosse perché ormai le hanno assimilate (purtroppo) e mandate a memoria perfino gli ottimisti a oltranza, i buonisti di professione, gli speranzosi per disperazione, i sodali a prescindere di chi regge il timone. Se in tempi di pandemia mondiale trecento persone - quasi tutte mascherinate e perfino composte, a modo loro: ma in un contesto di normalità sarebbero state almeno tremila - hanno trovato in un gelido giorno festivo la voglia e soprattutto la forza di staccarsi dai social e scendere in strada per andare a urlare “basta, non ne possiamo più”, riunendo perfino fazioni di pensiero via via sbriciolatesi dall’antica unità granata nel quindicennio targato Cairo, è perché la misura è davvero colma. [...]

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