Torino, Bremer: "In Brasile vendevo gelati, ora sfido i più grandi"

Il difensore brasiliano si racconta in una lunga intervista sul canale ufficiale del club granata: "Un onore essere arrivato a indossare la fascia di capitano"
Torino, Bremer: "In Brasile vendevo gelati, ora sfido i più grandi"

TORINO - È il difensore brasiliano Gleison Bremer l'ultimo ospite di "A tu per tu con...", la rubrica di Torino Channel dedicata alla scoperta delle curiosità relative ai propri calciatori. Il giocatore si è raccontato, parlando del passato, del presente e del futuro: "La mia passione per il calcio è nata da piccolo. Mio papà giocava tra i dilettanti e tutti dicevano che era forte. Mi sono avvicinato così a questo sport. All'inizio giocavo solo nella mia città, poi per fare il salto di qualità mi sono dovuto trasferire a San Paolo. Ho compiuto questo passo all'età di 16 anni".

Il nome dedicato a Brehme

In realtà, il suo destino era già segnato nel momento della scelta del suo nome, ispirato all'ex calciatore tedesco Andreas Brehme: "Sì, mio padre mi ha raccontato che è stato un giocatore tedesco che ha anche giocato nell'Inter. Per questo mi ha dato questo nome, per ricordarlo". Prima di far diventare il calcio un mestiere, comunque, ha dovuto arrangiarsi: "Abitavo in un'altra città e quindi dovevo rimboccarmi le maniche. Vendevo i gelati e i soldi che incassavo li davo al mio allenatore, così che potesse pagare il trasporto per andare a giocare in trasferta. La scuola? Non mi piaceva. Ero uno da 6 o 6,5. Non volevo studiare tanto, ma sapevo che dovevo farlo. Mi piacevano storia e geografia, per conoscere i posti in giro per il mondo. Odiavo invece la matematica. Troppi calcoli e troppi numeri. Alla fine andavo a scuola più per giocare".

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Gli inizi in Brasile

La carriera calcistica è iniziata grazie al trasferimento a San Paolo: "Sono andato lì con mio fratello, poi mi ha dato una mano il Desportivo Brasil, una squadra che ha solo la selezione Primavera. Sono rimasto quasi due anni. Poi, sono andato al San Paolo e quindi all'Atletico Mineiro, con cui ho vinto la Coppa del Brasile Primavera. In quell'occasione il tecnico mi ha notato e mi ha dato delle ottime opportunità, anche perché in quel momento c'erano un po' infortuni in prima squadra. Ho imparato tanto in quei pochi anni. Il processo è stato molto rapido. L'esordio è avvenuto contro la Chapecoense, squadra che per la propria storia si lega al Torino. Anche in granata li ho affrontati in amichevole". Sul motivo della sua scelta di trasferirsi a Torino: "Il direttore sportivo Gianluca Petrachi mi voleva davvero. Mi ha detto che sarei cresciuto tanto sotto tutti i punti di vista. Era il momento giusto e ho accettato. Già conoscevo il Torino. C'erano già stati Casagrande e Leo Junior. Quando ho sentito Torino, ho cercato su Google e ho letto un po' della sua storia".

Il passaggio in Italia

Una scelta che a distanza di tempo non ha certamente rinnegato: "Il calcio italiano è molto interessante. Qualcuno prima di partire mi aveva detto che l'Italia è la miglior palestra per un difensore: a distanza di tempo dico che aveva ragione. La Serie A è il top per un difensore". E lui non disdegna nemmeno delle sortite offensive: "Segnare mi piace parecchio. Non c'è gioia migliore del gol. Amo difendere, ma andare a segno è tanta roba. In Brasile facevo anche gol in campo aperto perché c'erano più spazi. Il mister mi dice sempre di sfruttare lo spazio e se recupero palla in avanti devo provarci. Anche ai terzini dico di guardare in mezzo e di mettermi la palla giusta se sono in attacco perché voglio segnare".

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Gli insegnamenti di Mazzarri

Per facilitare il suo inserimento ha anche accelerato nello studio della lingua italiana: "Sì, perché devi capire. La tattica poi l'apprendi. Mazzarri mi ha dato una grossa mano. Lui vuole la marcatura a uomo che in Brasile non esiste. Mi diceva sempre che in area si deve marcare e bisogna mettersi bene con il corpo. E poi il suo collaboratore Claudio Nitti mi diceva che non giocavo il pallone velocemente. Mi ha fatto migliorare tanto e mi sono fermato spesso al Filadelfia per apprendere i segreti. Inizialmente non giocavo, Mazzarri mi diceva sempre di avere pazienza. Aveva ragione lui perché ho seminato tanto e ora sto raccogliendo". Tanto da indossare anche la fascia di capitano: "Il capitano è Belotti, ma è tanta roba mettere la fascia. Ogni tanto penso: il primo anno qui non giocavo mai, ora dopo quattro anni sono diventato il secondo o terzo capitano. Si tratta di un grandissimo onore". Anche la presenza di Sirigu è stata importante per la sua crescita: "Lui è stato bravissimo con me. Sempre dopo l'allenamento andavamo in palestra per allenarci. E mi tranquillizzava perché aveva visto che non mi ero montato la testa e mi allenavo tanto. Ora sogno di giocare con la Nazionale. Mi sto allenando bene. Sto facendo il massimo e vorrei il Mondiale in Qatar. Sto aspettando il mio momento e non voglio farmelo passare".

Hobby e curiosità

Poi si passa alle curiosità: "In passato ho praticato boxe nel tempo libero. Mi è servito molto. Mi ha migliorato in velocità e in rapidità mentale. Il mio idolo? Lucio. Ma da bambino era Robinho, perché volevo fare gol. Tra gli sport mi piace soprattutto il basket. Amavo l'approccio alla gara di Michael Jordan e Kobe Bryant. Nella boxe Anthony Joshua mi piace tanto". Per quanto riguarda il tempo libero: "Lo passo con la famiglia, a casa. Ora sto tanto con la mia bimba. Vado al parco e in giro. Non vivo in centro, sono in collina e posso passeggiare. Non amo troppo il casino e mi ricorda la fattoria paterna. Torino ci piace, mia moglie esce spesso con la bimba. Per noi è solo un po' fredda. Mi mancano il sole, il mare e le spiagge del Brasile. Non andare in Brasile per due anni a causa del Covid non è stato facile". Ed è legato al Brasile anche il suo piatto preferito: "La grigliata brasiliana". Ecco perché in futuro si vede di nuovo nel suo Paese: "Ma non sai mai cosa può accadere da qui a dieci anni. Devo rimanere in Europa e restare con mia figlia. Prima volevo un maschietto, ma da quando c'è Agatha penso che la mia speranza era sbagliata. Sono felicissimo di stare ogni giorno con lei".

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TORINO - È il difensore brasiliano Gleison Bremer l'ultimo ospite di "A tu per tu con...", la rubrica di Torino Channel dedicata alla scoperta delle curiosità relative ai propri calciatori. Il giocatore si è raccontato, parlando del passato, del presente e del futuro: "La mia passione per il calcio è nata da piccolo. Mio papà giocava tra i dilettanti e tutti dicevano che era forte. Mi sono avvicinato così a questo sport. All'inizio giocavo solo nella mia città, poi per fare il salto di qualità mi sono dovuto trasferire a San Paolo. Ho compiuto questo passo all'età di 16 anni".

Il nome dedicato a Brehme

In realtà, il suo destino era già segnato nel momento della scelta del suo nome, ispirato all'ex calciatore tedesco Andreas Brehme: "Sì, mio padre mi ha raccontato che è stato un giocatore tedesco che ha anche giocato nell'Inter. Per questo mi ha dato questo nome, per ricordarlo". Prima di far diventare il calcio un mestiere, comunque, ha dovuto arrangiarsi: "Abitavo in un'altra città e quindi dovevo rimboccarmi le maniche. Vendevo i gelati e i soldi che incassavo li davo al mio allenatore, così che potesse pagare il trasporto per andare a giocare in trasferta. La scuola? Non mi piaceva. Ero uno da 6 o 6,5. Non volevo studiare tanto, ma sapevo che dovevo farlo. Mi piacevano storia e geografia, per conoscere i posti in giro per il mondo. Odiavo invece la matematica. Troppi calcoli e troppi numeri. Alla fine andavo a scuola più per giocare".

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