A quando il sogno di un Toro? Basterebbe volerlo

A quando il sogno di un Toro? Basterebbe volerlo© ANSA

La vicenda Blackstone – che dopo anni di contenziosi si è chiusa ieri con un accordo ragionevolmente oneroso tra il fondo statunitense e Urbano Cairo – è il perfetto, solare, inquietante paradigma di cosa sia diventato il Toro sotto la proprietà e la gestione, sportiva e sentimetale, del Torino Football Club. In qualsiasi altra piazza calcistica, infatti, i tifosi avrebbero vissuto come un incubo l’eventuale sconfitta giudiziaria del loro presidente, per le inevitabili ripercussioni che questa avrebbe avuto sulla squadra da loro amata. I cuori granata, invece, hanno in stragrande maggioranza tifato, gufato, pregato affinché un esito sfavorevole della querelle con gli americani devastasse le finanze dell’editore alessandrino (ricordiamo che c’era in ballo una causa da 600 milioni di dollari) al punto da costringerlo a privarsi anche della società calcistica di cui possiede il marchio (tuttora prestigioso, per nobiltà ereditata e meriti pregressi), determina le ambizioni (modestissime) e governa le politiche (demoralizzanti, controproducenti, sovente autolesionistiche) da ormai 17 anni. Insomma, uno scenario nefasto e destabilizzante era visto dalla tifoseria come un auspicio, nella speranza che portasse a una svolta purchessia ai vertici del Toro. E invece no. No perché Cairo è – o quantomeno è finora stato – un presidente (non un uomo) di calcio inadeguato, ma è un manager bravissimo; non solo per le sue capacità e intuizioni editoriali, ma anche per la sua scaltrezza imprenditoriale, l’ostinazione nel trovare sempre e comunque una soluzione che lo tenga a galla, l’astuzia di salvaguardare la propria immagine e presentabilità pubblica a prescindere dagli effettivi risultati da ostenta[1]re. E dunque va avanti, fregandosene delle critiche e dello scarso amore che suscita e raccoglie, rimbalzando proposte o suggestioni di vendita (da Rcs a La7 al Torino Fc), quasi godendo di questo suo disinvolto e imperturbabile galleggiare nel mare di un alto sgradimento.

Tanto che probabilmente nella sua testa coltiva anche l’obiettivo di battere alla presidenza granata il record di longevità del glorioso Pianelli; gli mancano un paio d’anni, cosa vuoi che siano, per lui. Che poi il commendator Orfeo nei suoi 19 di reggenza avesse vinto scudetto e Coppe Italia e derby a palate, portando il settore giovanile del Toro al suo massimo fulgore per successi sul campo e giocatori consegnati alla pri]ma squadra, cosa vuoi che sia pure quello. Dettagli, per Cairo, che continua a rivendicare con orgoglio due settimi posti e qualche parte sinistra della classifica, oltre a svariati scudetti del bilancio. Oggi, tuttavia, reduce da quattro bilanci in rosso consecutivi, nemmeno con le plusvalenze tecniche può più farsi bello. A realizzarle nuovamente potrebbe aiutarlo Juric, a patto però di seguire le dritte competenti dell’allenatore croato finalizzate a qualche investimento mirato e sostenibile. L’alternativa è continuare col profilo basso sul mercato e lo spera in Dio sul campo, nel deserto di una partecipazione popolare evaporata fra delusioni sportive, promesse disattese, manca[1]ta attenzione ai valori e alle istanze granata. Dove, ieri, è arrivata la prima risposta di questo luglio al cloroformio: prevedibilissima sconfitta contro l’Eintracht di Francoforte, la fotografia più o meno consapevole di molte carenze d’organico e troppe di qualità calcistica negl’interpreti a disposizione, l’attenzione dello sconforto nell’impianto di gioco sempre e comunque riconoscibile e apprezzabile con Juric in panchina, al di là del gap tecnico che poi determina i risultati. Guardandosi attorno, nel mondo del (nel) pallone, tempo e modi per rimediare ci sarebbero, anche se all’inizio del campionato manca ormai meno di un mese. Ivan il credibile non chiede la luna - lo dice la sua storia e lo ha ancora ricordato lui stesso qualche mese fa - ma tra il non pretendere e l’accontentarsi di qualsiasi cosa passi il convento ce ne passa, o almeno dovrebbe passarci la serenità operativa di Juric. Che ieri ha perso, ha rimuginato e non ha - significativamente - parlato. Ma prima o poi dovrà farlo. Sperando che, finito l’incubo di Cairo, rigermogli, se non proprio un Toro da sogno, il sogno di un Toro.

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