Il Torino di Cairo e la mediocrità delle ambizioni

Oltre la forza del Napoli, le colpe dei giocatori granata e i limiti di Juric: la terza sconfitta di fila riconsegna il Toro alla sua dimensione di classifica e di pensiero societario. La stessa e lo stesso da 17 anni: galleggiare, confidando su scommesse e miracoli
Il Torino di Cairo e la mediocrità delle ambizioni

TORINO - Il problema del Torino “moderno” targato Urbano Cairo – moderno tra virgolette perché ormai campa, più o meno male, da diciassette anni e quindi da una vita, calcisticamente parlando – non è tanto il fatto che abbia perso a Napoli, contro una squadra oggettivamente superiore, e non solo al Torino. Anche se si tratta delle terza sconfitta consecutiva, cosa che ai granata non accadeva dai tempi deprimenti di Giampaolo. Anche se andare sotto 3-0 così pronti via non sarebbe accettabile nemmeno contro il Real Madrid. Il problema non è nemmeno se i gol stupidi li prenda alla fine, come troppe volte è accaduto, oppure all’inizio come stavolta, regalando a giocatori già di un’altra categoria tre contropiede uno contro uno, cioè un suicidio tattico oltre che tecnico considerati gli errori esecutivi che tali ripartenze hanno innescato. Il problema non è nemmeno un allenatore, Juric, che è bravissimo nel costruire un impianto di gioco e nell’adattare calciatori non eccelsi a interpretarlo, ma meno bravo allorché si tratta di cambiare lo spartito, adeguandolo alla caratura e alle caratteristiche dell’avversario, per poi sbroccare di frustrazione contro l’arbitro - al di là del fatto che nel caso specifico avesse ragione a protestare - quando vede che non riesce a cavare un ragno dal buco. Un allenatore che peraltro - stando alle sue ultime dichiarazioni (“basta parlare di cose tristi”; poi quel riferimento al suo precedente di Verona, dove mollò dopo due anni per i programmi non adeguati alle sue aspirazioni) e al linguaggio del corpo nelle conferenze stampa - comincia a sembrare quasi rassegnato a questo stato di cose. E se molla lui, l’unico a ridestare un certo granatismo nell’ambiente negli ultimi due anni, addio.

La parte sinistra

Il problema vero, del Torino di Cairo, è l’essersi condannato – per scelta precisa e probabilmente irreversibile della sua purtroppo ormai antichissima e radicatissima proprietà – alla mediocrità di pensiero e dunque di obiettivi; di ambizioni nemmeno ha senso parlare. Altrimenti il presidente/proprietario di un club un tempo glorioso sul campo - e rispettato fuori, perché a prescindere dai risultati che raccoglieva coltivava comunque precisi, indentificativi valori sportivi e morali – nei mesi scorsi avrebbe capito di avere finalmente l’opportunità di consegnare a questo allenatore, e soprattutto a questi tifosi sempre più mortificati, un organico tale da poter ambire a qualcosa (un posto in Europa, mica lo scudetto o la Champions, eh) degno della tradizione e della piazza. Sarebbe bastato reinvestire anche solo una parte dei quaranta e passa milioni presi (dalla Juve: aggravante, agli occhi dei tifosi) per la vendita di Bremer, e fornire a Juric – magari prima che perdesse la calma e si azzuffasse con Vagnati - il centrocampista fisico che non ha più (dopo aver perso Pobega e Mandragora) e un attaccante di mestiere con una decorosa propensione al gol (dopo aver perso Belotti). Non fosse che per dare un segnale di discontinuità, dimostrando di voler riconquistare un minimo di credibilità e di considerazione presso una tifoseria dove nessuno (eufemismo) lo ama; del resto, per farsi amare non ha mai fatto nulla. A livello extracalcistico, anche; anzi, soprattutto.

Parole tante, fatti pochi

Ma non è il caso, hic et nunc, di stare a rivangare questioni irrisolte o addirittura mai affrontate (il Filadelfia, il Museo, il centro per le giovanili, lo stadio) che ormai fanno la muffa e per cambiare le quali la gente granata, sfinita e svilita, non ha strumenti concreti a disposizione né probabilmente energie residue per crederci. Ritrasferiamoci alla squadra, al campo, alla classifica. Subito tornata, dopo un breve periodo di illusione, quella classica del Torino “moderno”. Quella di mezzo, il limbo, la mediocrità appunto. La dimensione che a Cairo potrà anche non piacere – lui vorrebbe primeggiare sempre, ma a costo quasi zero, in virtù delle sue competenze, intuizioni e scommesse che però nel calcio hanno abbondantemente dimostrato di non funzionare – ma che di sicuro gli basta, per continuare a usare il Toro (presunto) come biglietto da visita nei vari salotti cui partecipa e che spesso presiede, calandosi con disinvoltura nei panni del maître a penser. Bilanci a posto, la capacità di far credere che mantenere e gestire il Torino FC - rilevato nel 2005 sulle ceneri del fallimento per una cifra irrisoria – comporti per lui enormi sacrifici mal ripagati (chissà come mai non ha mai manifestato la minima disponibilità a cederlo), la parte sinistra della classifica quale target da rivendicare, l’eleggere a modelli virtuosi cui aspirare club come l’Atalanta, poi il Sassuolo, tra un po’ magari toccherà all’Udinese, realtà oggi per lui e da lui distanti anni luce ma che la gente granata – che prima di Cairo guardava lo stesso Napoli senza complessi di inferiorità, anzi - comprensibilmente rifiuta di considerare quali punti di riferimento assoluti. Infatti allo stadio non ci va più: un po' per disillusione, un po' per disaffezione da sfinimento, un po' per non dare soldi al presidente. Ché poi Cairo li imitasse davvero – l’Atalanta, il Sassuolo, l’Udinese, tutte degne di massimo rispetto e ammirazione – nella progettazione, costruzione e organizzazione di una vera società strutturata, con le competenze giuste nei posti e nei ruoli necessari.

Capri espiatori

Certo, a Napoli hanno perso i giocatori – svagati e poco sul pezzo - e anche Juric, non Cairo. Non perde mai, Cairo. Le sconfitte e le responsabilità – da Mihajlovic a Mazzarri, da Petrachi agli arbitri, da Verdi a Zaza, da Lotito alla Lega al Governo - sono sempre degli altri; lui al massimo si prende i decimi posti e le classifiche di mezzo, quando non si trova costretto a celebrare una salvezza in extremis. Il prossimo colpevole chi sarà: Juric? Forse. Auguri, Toro. Incredibilmente, esisti e resisti ancora.

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