Torino, quei rattoppi di Cairo peggiori dei buchi

È davvero stupefacente la capacità - facciamo anche la pervicacia, va’ - che Urbano Cairo ha di dire sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato, ma pure la cosa insulsa nel momento grave. Oppure nell’evitare di dire quella giusta - tipo, chessò: «Ho sbagliato» - rifugiandosi nel consueto campionario di scuse, vecchio di 17 anni, se non nel silenzio quando proprio non sa cosa dire perché non si è preparato in tempo (tipo sabato sera dopo il derby mentre andava in onda il miliardesimo, sconcertante sfogo di Juric). In compenso, quando c’è l’opportunità di pavoneggiarsi, alé: dove sono telecamere e microfoni? L’ultima concione pubblica risaliva al post Torino-Lecce, dopo la terza vittoria su una neopromossa. La bella classifica - oltre a illudere un po’ i tifosi - aveva consentito al proprietario/presidente di pontificare da grande intenditore di calcio esaltando le virtù dei vari Vlasic e Miranchuk e finanche di Demba Seck, autore - secondo lui - di una «partita straordinaria contro l’Atalanta»: uau, addirittura. Adesso che la classifica fa di nuovo pena - per la gente granata e per noi: per Cairo rientra nel target - il patron dei 21 derby persi su 27 si è preso un paio di giorni per elaborare alcuni concetti, secondo lui evidentemente pregnanti, da consegnare a Sky, già che doveva farsi bello per promuovere il Giro d’Italia (altrimenti, col cavolo).

Torino, ecco cosa dovrebbe spiegare Cairo

Parole che dovrebbero - sempre secondo lui, il quale davvero deve avere una bassa considerazione del proprio uditorio - spiegare l’umiliazione dell’invereconda partita contro la Juve. Spiegare lo scoramento, quasi la rassegnazione di Juric, i suoi riferimenti agli «schiaffi presi» che gli hanno fatto passare la voglia di chiedere rinforzi, i dubbi sull’intenzione di rimanere a fine stagione. Spiegare l’inadeguatezza clamorosa, quasi parossistica dell’organico, e di una squadra che non ha un giocatore (uno qualsiasi, ma di ruolo) che sia in condizione di adempiere al requisito base del gioco del calcio: fare gol. Ma farlo per mestiere, non per grazia di Dio improvvisandosi finto centravanti o riciclandosi trequartista o medianaccio goleador. Il guaio è che invece non le spiega, queste cose, o non le affronta: perché per farlo dovrebbe assumersi le proprie responsabilità. Così dice delle robe un tanto al chilo, convinto che funzionino (magari ha ragione lui, eh?) invece di presentarsi come il solito rattoppo peggio del buco.

Da Belotti a Pellegri: il pensiero di Cairo

Per dire. «Era un derby da zero a zero», postulato seguito da tutta una serie di corollari su tiri più o meno presunti in porta, sull’annotazione che i portieri parano e sul presupposto che se mia nonna avesse avuto le ruote sarebbe stata una carriola. Ecco, già qui c’è tutto. Tutto il nulla. Sì, Cairo: era un derby da zero a zero, in quanto è il massimo che con quella prestazione, quei giocatori e quell’atteggiamento si potesse ambire. Ma no Cairo: non sarebbe dovuto essere un derby da zero a zero. Sarebbe dovuto essere il derby per fare per la prima volta davvero male alla Juve più dimessa degli ultimi decenni e dare finalmente un senso all’essere Toro: quello che il Torino Fc non è, non riesce a essere, probabilmente nemmeno vuole essere. «Consideriamo poi l’assenza di Sanabria» (come se fosse un bomber) e che «Pellegri non era al meglio». Non è che non fosse al meglio Pellegri, Cairo: è che ha 21 anni ed è sempre infortunato («ha delle vecchie cicatrici che lo bloccano dai tempi di Monaco», la sconfortante diagnosi pre-partita di Juric). Non è colpa del ragazzo, chiaro, ma nemmeno questa cronica inaffidabilità fisica può essere spacciata quale inconveniente occasionale. E quindi: manca un centravanti alla Belotti? No, secondo Cairo, le cui disattese promesse e insussistenti ambizioni calcistiche hanno determinato l’addio del Gallo, «è che manca il contributo di esterni e centrocampisti come gol».

Cairo, i rimpianti Pobega-Mandragora e le parole su Juric

In effetti: centrocampisti come Pobega che aveva preso (e poi ovviamente perso) in prestito senza diritto alcuno di riscatto; oppure di Mandragora, lasciato alla Fiorentina. O magari di quel Lukic che era diventato giocatore di livello e degno capitano prima di essere indotto - a fronte delle solite promesse mancate - a un inaudito ammutinamento, con conseguente calo di rendimento e desiderio di cambiare quanto prima aria. In quanto agli esterni, un anno fa dopo dieci giornate di reti non ne avevano fatta mezza. «Non è questione di trequartisti che non riescono a segnare», spiega senza minimamente addentrarsi nell’assenza di un attaccante vero. I trequartisti che segnavano, peraltro, li aveva: a uno, Brekalo, è venuta voglia di andar via in meno di un anno; un altro, Praet, che magari non faceva tanti gol ma di molti creava i presupposti, sarebbe tornato al Torino a piedi ma il Leicester ha aspettato invano il rilancio di un’offerta all’altezza. Dopodiché, il gran finale su Juric: «Le sue parole? Ci stanno. È normale che sia dispiaciuto per avere perso un derby che aveva una grande voglia di vincere. Era amareggiato e deluso come è normale che sia. E come del resto ero anche io. Ciò che ha detto era frutto della rabbia perché lui è uno sempre combattivo. Credo siano state parole dettate dalla delusione per la sconfitta. Ma è già pronto a ripartire». Insomma, Juric aveva voglia di vincere (lui), non ne è stato capace, colpa sua dunque, che ha deluso anche il presidente, il quale pure gli avrebbe messo a disposizione ingenti mezzi per riuscirci. Sui motivi della sconcertante rassegnazione, sugli schiaffi, sui pensieri di fuga, niente. «È già pronto a ripartire». E certo, gli dà due milioni l’anno apposta. Per adeguarsi a questo strazio. In quanto ai rinforzi necessari, «le sue parole sul mercato e il futuro? Di mercato adesso ha poco senso parlare». Ma ovvio, figuriamoci. Del futuro, poi, per carità di Dio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Loading...