Torino, l’armistizio di Juric (fino alla prossima bordata)

Colloqui con Cairo e Vagnati, il caso derby è rientrato. La società esprime positività, ma i dubbi restano
Torino, l’armistizio di Juric (fino alla prossima bordata)© Marco Canoniero

TORINO - Già Leopardi parlò di «magnifiche sorti e progressive», quasi 200 anni fa. Nella lirica sulla ginestra, il fiore del deserto. Con dono profetico, pensava evidentemente al Torino: giacché in quei versi intendeva esprimere in realtà una gran forma dubitativa sulle sorti dell’umana genìa, del progresso. Si intersecano concetti filosofici e sottili venature di ironica poetica.

Torino, l'armistizio di Juric

La verità è che non è sufficiente evocare magnifiche sorti e progressive per tradurle in realtà sulle zolle che si calpestano. Troppo facile, troppo comodo. Troppo superficiale sarebbe anche ragionare così. Tiriamo una bella riga su tutto quello che è stato tra i vertici del Torino e Juric dal suo arrivo alla fine dello scorso luglio: un anno abbondante vissuto a elastico, tra spinte e controspinte. Superiamo anche certe risse austriache. Restiamo anche solo a quel che si può udire ufficialmente: alludiamo alle conferenze stampa del tecnico, aperte a tutti i media, con domande anche in libertà: dipende sempre da chi può porle. Da metà agosto, ciclicamente, Juric esprime parole di sfiducia, dubbi, amare confessioni, disillusioni, quando si trova a dover commentare il percorso che sta vivendo nel Torino all’interno del suo ciclo triennale, contratto alla mano (sino al 2024). Le parole pronunciate dopo il derby furono interpretate facilmente come una fotografia scattata da un uomo “triste, solitario y final”, per dirla con Soriano. «Non batterò più i pugni sul mercato, tanto è inutile. Ho già preso due schiaffi, per cui ho fatto tre passi indietro e penso solo ad allenare. E non so cosa succederà a maggio, cosa farò: è troppo presto per parlarne». Ma poi, tre giorni dopo, post vittoria in Coppa Italia con il Cittadella, una chiara marcia indietro con toni concilianti: «Ero molto depresso dopo la Juve, non dovete prendermi sempre sul serio. Stasera ho ricevuto cori positivi e il presidente negativi e mi spiace: non era mia intenzione andare contro qualcuno. Dopo il derby ero arrabbiato prima di tutto con me stesso, perché non riesco a dare quello che vorrei. Ma poi mi incazzo anche con tutti gli altri perché cerco colpevoli per provare a migliorare le cose e risolvere i problemi». Non esattamente il mr. Wolf di Pulp Fiction, se recitata così.

Torino, l'intervento di Cairo

Cairo era intervenuto il giorno prima durante un’intervista promozionale del Giro d’Italia, ai microfoni di Sky: non sia mai che affronti un ampio uditorio in una conferenza da Toro (o almeno da Torino Fc: battutina), sul Toro, in un luogo del Toro, con tutti i media che seguono sempre il Toro, chiaramente a Torino. Troppo complicato? Fastidioso? Poco utile? Insidioso? Su, dai: stiamo parlando di Urbano Cairo, mica possiamo pensare che abbia timori di sorta! «Le parole di Juric ci stanno, è normale che fosse dispiaciuto per aver perso un derby che aveva grande voglia di vincere. Era amareggiato e deluso: normale, come del resto anche io. Quello che ha detto era frutto della rabbia, perché lui è uno sempre combattivo, già pronto a ripartire». Domanda ai lettori: ricordate l’ultima volta di una conferenza stampa di Cairo sul Toro a Torino a 360 gradi con tutti i media seduti in platea? Esatto, risposta giusta: non ricordate quando, visto quanto tempo è trascorso dall’ultima.

Torino, le parole di Vagnati

Poi Vagnati, il giorno dopo: pochi minuti prima della partita con il Cittadella. Martedì sera, ai microfoni esclusivi di Mediaset (del dt ricordiamo invece molto bene la sua ultima conferenza stampa nel ventre dello stadio Grande Torino: a inizio settembre subito dopo la fine del mercato. E la ricordiamo bene proprio perché è stata l’unica, dopo innumerevoli mesi). Tra l’altro. Altra domanda ai lettori: rammentate forse una conferenza stampa di presentazione di tutti i nuovi giocatori presi dal Toro in estate? Anche solo per metterli in vetrina, come era giusto che fosse. Schuurs, Vlasic, Radonjic, Miranchuk, Ilkhan... Avete ragione: anche noi non ne ricordiamo manco una. Evidentemente dobbiamo cominciare a prendere tutti delle grandi pillole per la memoria, perché in alternativa significherebbe che la comunicazione del Torino Fc funziona in modo del tutto anomalo e curioso, rispetto al 99,9% degli altri club di Serie A. Ma torniamo al Vagnati di Mediaset: «Siamo tutti dispiaciuti per aver perso il derby, ma dobbiamo guardare avanti e non perdere entusiasmo. Io penso che Ivan sia un allenatore importante, vedo gli allenamenti e penso che sia gratificante averlo con noi. Ci sono ancora tante partite e la nostra squadra ha bisogno di tanta spinta». Squadra indubbiamente giovane: che deve crescere, maturare, solidificarsi attraverso risultati positivi, ma dimostrando di saper superare anche le forche caudine delle sconfitte più dolorose. Nessun dubbio: ci sono ancora margini di crescita, e anche ampi. D’altra parte quando smonti e rimonti una rosa ogni estate, occorre poi una quantità (spesso industriale) di tempo per trovare la nuova quadratura del cerchio. E quindi è naturale, fin giusto ostentare una grande fiducia per il futuro, se occupi i ruoli di Cairo e di Vagnati. O se, per mestiere, ne devi decantare le sorti: a quel punto magnifiche per definizione, ça va sans dire. Ma non basta descrivere il futuro (in senso lato) come roseo (in senso latissimo) per vederlo venire a galla davanti agli occhi con la colorazione di sicuro più gradita. Pensare positivo nello sport è fondamentale. Però poi Messi resta Messi. E Gojak? Gojak: tanto per fare un esempio di scuola, da non prendere alla lettera, ma solo per quello che rappresenta, che significa.

Torino, l'armistizio di Juric (fino alla prossima bordata)

Ci risulta che lo sfogo di Juric post derby ha prodotto nuove chiacchierate con i vertici societari: e ci mancherebbe che non fosse stato così! Ivan ha espresso a Cairo e Vagnati il proprio stato d’animo sovente in giostra: il suo carattere impetuoso lo si conosce bene, Ivan assomiglia a un puledro di razza spesso insofferente davanti a recinti altrui o di facciata. E quindi? Quindi tutto chiaro, carichi e positivi? Può darsi. Ma anche no: perché dipenderà proprio dalle sorti magnifiche e progressive. Quanto progressive lo dirà solo il tempo: l’attraversamento delicatissimo del mercato di gennaio, poi il punto fermo che verrà messo nero su bianco a fine campionato. Quanto magnifiche, invece, lo diranno i fatti. In campo, perché le aspettative societarie (ma anche dei tifosi) sono sempre alte. Nonché a tavolino: perché solo una società miope potrebbe continuare a non vedere quanto questa rosa sia incompleta per competere a certi livelli nella parte sinistra della classifica, con vista sulla prossima stagione senza dover di nuovo smontare il giocattolo a luglio (panchina compresa?).

La riflessione: stiamo vivendo le fasi di un nuovo armistizio, l’ennesimo. Fino, ovviamente, alla prossima bordata: chiaramente di Juric.

Come alla radio: “Ascolta, si fa sera”. Dal sacro al profano: bisogna aver fede occorre ripeterlo, evidentemente, ai chierichetti (e ce ne sono) che per mestiere devono sperare ciecamente nel Torino di Cairo. E quindi nel cairismo che ne consegue. Invece per tutto il resto (e per tutti gli altri) ci sono i fatti.

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