Pobega esclusivo: "Juric, il Toro e la laurea sul Milan"

L'ex granata: "Ivan mi ha insegnato a essere sfrontato in campo, Pioli mi pone ogni giorno un nuovo obiettivo. La tesi in Economia sarà sulla Fondazione rossonera"
Pobega esclusivo: "Juric, il Toro e la laurea sul Milan"

CARNAGO - Ha scelto il numero 32 in onore della passionaccia che coltiva per il basket (sport praticato dal fratello Sebastiano) e, da ragazzino, aveva come modello Bastian Schweinsteiger. Gli occhiali da Clark Kent li usa quando è immerso sui libri di Economia, mentre in campo Tommaso Pobega è un Superman, come sanno bene i tifosi del Toro e stanno iniziando a imparare quelli del Milan. E Tommy, per gli amici e per Giulia, sua fidanzata da quando erano adolescenti, domenica vivrà al Grande Torino una notte da amarcord nella consapevolezza che, se è tornato a Milanello dalla porta principale, è soprattutto grazie alla stagione passata agli ordini di Ivan Juric. «Ho capito che sarei rimasto a fine estate parlando con i dirigenti e con l’allenatore - ci racconta Tommaso sotto un sole ancora estivo, seduto sotto il pergolato un tempo tanto caro a Fabio Capello -. Ci siamo trovati subito perché io volevo rimanere e loro tenermi. Essere al Milan è un ulteriore punto di partenza, una nuova tappa del mio percorso: ogni anno ho sempre alzato l’asticella ed è così anche adesso che sono qui». Tutto è iniziato a Trieste, terra profondamente rossonera: «Da bambino giocavo a calcio e a basket, ma i miei amici giocavano tutti a calcio e così ho scelto il pallone, mollando la pallacanestro. Il basket mi piace molto, ci gioca mio fratello Sebastiano, ma non so se sarei diventato professionista. Quando a 14 anni sono arrivato al Milan, il collegamento che la gente faceva era sempre quello, io da Trieste come Rocco e Maldini. La mia città è molto legata al Milan, loro sono miti che hanno fatto la storia del calcio e hanno portato il nome di Trieste in alto in Italia e nel mondo e così resta sempre un filo che unisce queste due realtà, la mia Trieste e il mio Milan».

Quanto è stato importante per la sua crescita il percorso che ha scelto di fare?
«Fondamentale. Rispetto ad altri compagni non ero maturo per un salto così importante dopo la Primavera ed era per me determinante poter crescere senza le pressioni che si vivono qui al Milan. Sono riuscito a migliorare anno dopo anno e mi sono meritato questa opportunità, arrivata al momento giusto».

Il volo ha iniziato a spiccarlo in Primavera con un certo Rino Gattuso come allenatore…
«È stato il primo e che non mi ha trattato da bambino e ragazzino, ma da adulto, facendomi capire che dovevo iniziare ad assumermi delle responsabilità».

Alla Ternana in C nel ’18- 19 tre allenatori, su tutti Luigi De Canio.
«Per lui userei la parola fiducia. Era il primo anno da professionista fuori dal settore giovanile del Milan, mi diede continuità anche dopo partite riuscite male, come una volta mi capitò proprio… a Trieste».

Con l’approdo in B a Pordenone ha trovato Attilio Tesser.
«Mi ha insegnato a essere pratico, mi ha dato concretezza e con lui ho iniziato a diventare più pericoloso sotto porta, segnando sei gol fra campionato e Coppa Italia».

La prima stagione in Serie A nel ’20-21, nello Spezia di Vincenzo Italiano.
«Ha lavorato molto sull’aspetto tecnico e tattico, mi ha migliorato anche nella postura, sul come ricevere il pallone e orientare il corpo. Mi ha dato davvero tanti consigli».

Quindi l’esplosione al Torino con Ivan Juric.
«Mi ha fatto capire che dovevo giocarmela faccia a faccia con tutti, essere più sfrontato e intraprendente».

Ed eccoci a Stefano Pioli.
«Lui, giorno dopo giorno, sta aggiungendo qualcosa grazie al suo modo di lavorare completamente diverso rispetto dagli altri. Inoltre devo confrontarmi per la prima volta con la Champions. Al Milan bisogna sapersi porre quotidianamente un obiettivo da raggiungere».

Torniamo al Toro. Tommaso, ci tolga una curiosità: Juric ècosì burbero come lo disegnano?
«Piuttosto direi che è un uomo molto diretto, uno vero. Non gli piace sviare: se deve dirti una cosa, te la dice in faccia. Le discussioni ci sono tutti i giorni, possono succedere, ma lui dice subito cosa pensa e, di conseguenza, la situazione è immediatamente chiara: impossibile avere fraintendimenti».

Noi lo conosciamo soprattutto per il furore che mette in conferenza stampa, com’è invece nello spogliatoio?
«Con noi parlava di campo, di allenamenti, della partita da preparare. Divideva l’aspetto mediatico da quello tecnico, non portava nello spogliatoio le problematiche con la società».

Già, ma quando ha visto il video della lite con Vagnati cosa ha pensato?
«È stato brutto che sia uscito quel video. Penso che discussioni di quel tipo ce ne siano molte, ma se accadono in un ufficio restano lì. Per me non è stata una cosa grave come è stata dipinta, quando si vogliono raggiungere degli obiettivi, esistono degli screzi e dei confronti più accesi».

Juric ha la fama di migliorare i giocatori.
«Perché cerca di lavorare su tutti gli aspetti, tecnico, fisico e mentale. E’ bravo a trovare i punti di forza di un calciatore e a valorizzarli».

Ci tolga una curiosità: è vero che Juric le ha chiesto di rimanere al Torino?
«Sì: a fine stagione ha voluto capire se sarei rimasto. Io gli ho spiegato che avrei dovuto parlare prima con la dirigenza del Milan. Il mio obiettivo ogni estate, quando lasciavo Milanello per andare in prestito, era crescere, fare un nuovo step e tornare migliore per provare a rimanere. E questo obiettivo non è mai cambiato».

Facciamo un gioco: se alla fine dell’estate il Milan le avesse prospettato un ulteriore prestito, sarebbe tornato al Torino o avrebbe preferito provare un’esperienza diversa?
«Mi sono trovato bene in granata, conoscevo bene lo staff, quindi il ritorno poteva essere un’ipotesi».

Chi sente ancora tra i vecchi compagni?
«Buongiorno e Gemello, ma anche con Ricci e Pellegri che, per ragioni di età, sono anche stati miei compagni nelle varie nazionali giovanili».

Che Torino troverà il Milan?
«In salute, dopo la vittoria di Udine, con voglia di vincere, di mostrare che tutto il lavoro che fanno porta a un risultato. Il Toro è una squadra forte, arcigna, ci vorrà la massima attenzione e concentrazione: sarà una partita decisa da episodi e noi dovremo portarli dalla nostra parte».

A proposito di episodi: ad aprile avete incartato il Milan sullo 0-0…
«Di sicuro Juric ci avrà studiato molto, avrà lavorato sui nostri punti deboli, se li avrà trovati…».

Che ambiente si aspetta?
«Caldo come sempre. I tifosi vengono sospinti anche da un allenatore che chiede ai giocatori aggressività e intensità e vuole si combatta su ogni pallone».

Tommaso: se segna che fa, esulta?
«Penso di sì, perché credo sia sempre giusto farlo. Con grande rispetto verso i tifosi granata, anche per come mi hanno sostenuto. Però è giusto esultare per i sostenitori della mia squadra attuale».

Secondo lei cosa manca al Torino per ambire a un posto in Europa?
«Da fuori è difficile spiegare perché non si conoscono tutte le dinamiche interne. Posso dire che la stagione scorsa, fra fine gennaio e febbraio perdemmo punti in gare che potevamo fare nostre come quelle con Udinese, Venezia e Cagliari. E, quando inizi a perdere terreno e non rimani agganciato a un certo treno, è difficile poi rialzare la testa».

A proposito di Europa: lei era abituato a giocare solo il campionato. E’ difficile sapersi adattare ogni tre giorni a una competizione differente?
«Ci sono complicazioni sia fisiche sia mentali perché i viaggi e le partite stancano a tutti i livelli, c’è meno tempo per preparare la gara successiva e saper trovare ogni volta gli stimoli giusti per l’avversario di turno. Però è giusto che sia così a certi livelli».

A dicembre consegnerà la tesi in Economia e Commercio, indirizzo Economia aziendale. Ci dice qualcosa in più sull’argomento?
«Il titolo è “Responsabilità sociale dell’impresa, CSR” e approfondirò il caso Milan: dopo i primi due capitoli generici e di introduzione, verrà analizzato il lavoro del Milan che è stato fra i primi club a seguire un percorso del genere, anche con la Fondazione Milan e i suoi progetti».

Perché ha deciso di portare avanti gli studi?
«Il Milan è molto attento a queste cose e nel settore giovanile seguivano il nostro percorso di studi. Poi, quando ho raggiunto il diploma, il pensiero era concedermi un piano B nel caso non avessi avuto fortuna nel calcio, perché quando si esce dalla Primavera non si sa mai come può andare a finire. Inoltre al tempo stesso, perché non volevo rimanere confinato dentro a certi paletti a fine della carriera, che spero arrivi comunque fra più di dieci anni. Sono un ragazzo curioso e mi sono detto “Perché no?.Ci provo: mal che vada, abbandono”. Invece sono riuscito a conciliare le cose. Non so cosa farò dopo aver smesso, però avrò un’alternativa».

La sua parabola dovrebbe essere presa a esempio da molti ragazzi…
«Io cerco di essere un esempio positivo nei miei comportamenti e nel modo di lavorare. È stato importante per me vivere nel convitto del Milan: è stata una vera palestra di vita».

Com’è stato inserirsi nella spogliatoio della squadra campione d’Italia?
«Non ho trovato difficoltà, anche perché tanti compagni li conoscevo già avendo fatto i ritiri estivi sia nel 2020 che nel 2021. Conoscevo ovviamente l’ambiente, ma anche il modo di lavorare di Pioli, quindi è venuto tutto di conseguenza. Piuttosto, ci terrei a vincerlo anch’io lo scudetto anche perché sarebbe la seconda stella».

Dopo la laurea si farà chiamare dottor Pobega?
«Ma no, ora è importante che faccia bene le cose in campo». E giù una risata.

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