Belotti, l’ex agente: “L’ho denunciato. Non è un leader, ma una delusione”

Intervista a Sergio Lancini: “Mi ha fatto uno scherzo da 5 milioni, ci sono due cause in tribunale. Ha lasciato scadere il contratto per andare via dal Torino”
Belotti, l’ex agente: “L’ho denunciato. Non è un leader, ma una delusione”© BARTOLETTI

Nella Roma, partita tra l’entusiasmo dei propri tifosi ma che oggi stenta a trovare la giusta quadratura, ci sono ancora molti personaggi in cerca d’autore: uno di questi è Andrea Belotti, sulla carta pezzo pregiato dell’ultimo mercato estivo, però ancora a secco in campionato. Per approfondire la controversa parabola del Gallo siamo andati a cercare chi lo ha accompagnato nel suo percorso di crescita fin da quando vestiva la maglia delle squadre giovanili dell’AlbinoLeffe. Ovvero il suo agente storico Sergio Lancini, con un passato da calciatore professionista in più squadre: Bologna, Spal, Siena, Modena…

Belotti a Roma contro il Torino: nostalgia o pentimento?

Lancini, quando nasce il rapporto con Belotti?

«Giocava ancora nelle giovanili dell’AlbinoLeffe e mi accorsi di lui come un attaccante di prospettiva e con grandi margini di miglioramento, per questo lo sostenni anche se in un primo momento il club bergamasco non sembrava intenzionato a puntarci».

Successivamente arriva l’esordio in Serie B.

«Fu una bella soddisfazione perché, dopo aver fatto molto bene in Primavera, segnò all’esordio a Livorno ed ebbi la consapevolezza di averci visto lungo, tanto che già dopo le prime gare di Serie B club più importanti iniziarono a chiedermi informazioni. La stagione successiva, in Serie C, servì a farlo crescere ancora tanto che si confermò un attaccante di grande prospettiva».

Quando collocherebbe il momento del salto?

«Certamente il passaggio al Palermo rappresentò l’indubbia consacrazione: Perinetti fece di tutto per ingaggiarlo perché lo riteneva pronto a far parte di un reparto che annoverava calibri quali Vazquez e Dybala. Ed ebbe ragione visto che Belotti si ritagliò uno spazio importante nei due anni in rosanero».

Cosa vi spinse a scegliere il Toro nel 2015?

«Il blasone della società e le caratteristiche del calciatore che si sposavano perfettamente con il Dna del tifoso granata e del club stesso. Anche in questo caso, le prestazioni hanno confermato la bontà della scelta».

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Che ricordi ha del periodo in granata?

«Furono subito due anni straordinari, in grande crescendo, che attirarono le attenzioni di grandissimi club come Atletico Madrid, Chelsea e Milan, che alla fine della stagione 2016-2017, quando Andrea aveva realizzato 26 reti, fecero importanti avances».

E perché non si concretizzò il trasferimento?

«Sono sincero: ancora non l’ho capito. Quello che posso dire è che, a fine stagione 2016- 2017, proprio mentre proponevo al calciatore e al Torino le soluzioni di cui abbiamo appena detto (il Milan era veramente arrivato ad un passo da Belotti!) che avrebbero determinato un sensibile miglioramento contrattuale, Andrea mi chiese di rivedere le condizioni del nostro rapporto. Dopo di che, improvvisamente e senza una ragione apparente, mi voltò le spalle a tal punto da non rispondermi più al telefono e non facendosi più trovare, neanche in occasione delle partite. Da quel momento, ricevetti un unico messaggio, tre mesi dopo, con cui mi chiese di non parlare più a suo nome: davvero deludente per un ragazzo che, da quando aveva 15 anni, ho trattato come un figlio e al quale ho dato pieno supporto sia sul piano personale che calcistico. Soltanto due anni dopo venni a sapere con stupore, da un’esclusiva di Tuttosport, che nell’agosto 2017 aveva rinnovato il contratto con il Toro senza dirmi nulla, nonostante fossi ancora il suo agente; avvenimento taciuto, per lungo tempo, anche ai tifosi e alla stampa. Ecco perché non mi stupisce il fatto che, dopo 7 stagioni al Toro, abbia lasciato il club senza nemmeno salutare adeguatamente chi lo ha sempre sostenuto e lo ha eletto come idolo della Maratona, ovvero i tifosi granata».

Quindi non condivise la scelta di restare al Toro nel 2017?

«In quel momento, il trasferimento sarebbe stata la scelta più giusta, per la sua crescita ma anche per quella del club che, con il ricavato, avrebbe potuto alzare di molto l’asticella. Rimase a malincuore e forse questo ne ha condizionato comportamenti e prestazioni negli anni successivi: personalmente mi spiace non avere avuto la possibilità di aiutarlo in quel periodo, come sempre avevo fatto in passato; forse chi gli è vicino non è stato un buon consigliere e ha finito per non fare il suo bene come calciatore. Presa la scelta di restare in granata, gli avrei certamente suggerito di sposare la maglia fino al termine della carriera, diventando una bandiera della società. Così invece, lasciando il Toro a parametro zero, ha dimostrato di essere forse un trascinatore in campo ma non certo un leader dentro e fuori dal terreno di gioco, tale da rendere fieri gli Invincibili di Superga».

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E non vi siete più sentiti?

«Purtroppo, adesso e dal 2018 parlano gli avvocati: infatti, non avevo mai ricevuto alcun compenso per l’attività svolta dall’approdo al Torino in poi, per questo sono stato costretto a rivolgermi all’autorità giudiziaria, che da quattro anni si sta occupando del caso. Recentemente ho deciso di farmi assistere dall’avvocato Mattia Grassani di Bologna, poiché, nei primi gradi di giudizio, i precedenti legali milanesi da me incaricati non mi avevano soddisfatto».

E su cosa verte il contenzioso?

«Al momento pendono addirittura due giudizi: il primo riguardante il risarcimento per la revoca di fatto del mandato, che mi impedì di partecipare sia alle trattative per un eventuale trasferimento sia al rinnovo con il Torino in seguito negoziato senza il mio coinvolgimento; il secondo, invece, ha a oggetto la violazione del contratto con il quale ero stato incaricato di gestire i diritti d’immagine del giocatore, gestione dalla quale sono stato immotivatamente estromesso. Insomma, alla fine uno “scherzo” da quasi 5 milioni, ma deciderà il giudice».

Ma dei diritti di immagine non se ne occupava SoBe di Gianluca Voulaz? Così si diceva a Torino.

«È emerso questo: a una riunione con un possibile nuovo sponsor, lo stesso Belotti riferì ai presenti, tra cui il sottoscritto, che bisognava parlare con la SoBe Sport, società alla quale aveva da poco affidato la gestione dei suoi diritti di immagine, a totale insaputa mia che ero stato incaricato, in via esclusiva, e ripeto, via esclusiva, nel 2016. Anche in questa occasione, quindi, venivo completamente estromesso da qualsiasi attività, come accaduto con il rinnovo di contratto con il Torino e con la cessione dei diritti di immagine del suo matrimonio alla rivista Chi». 

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Nella Roma, partita tra l’entusiasmo dei propri tifosi ma che oggi stenta a trovare la giusta quadratura, ci sono ancora molti personaggi in cerca d’autore: uno di questi è Andrea Belotti, sulla carta pezzo pregiato dell’ultimo mercato estivo, però ancora a secco in campionato. Per approfondire la controversa parabola del Gallo siamo andati a cercare chi lo ha accompagnato nel suo percorso di crescita fin da quando vestiva la maglia delle squadre giovanili dell’AlbinoLeffe. Ovvero il suo agente storico Sergio Lancini, con un passato da calciatore professionista in più squadre: Bologna, Spal, Siena, Modena…

Belotti a Roma contro il Torino: nostalgia o pentimento?

Lancini, quando nasce il rapporto con Belotti?

«Giocava ancora nelle giovanili dell’AlbinoLeffe e mi accorsi di lui come un attaccante di prospettiva e con grandi margini di miglioramento, per questo lo sostenni anche se in un primo momento il club bergamasco non sembrava intenzionato a puntarci».

Successivamente arriva l’esordio in Serie B.

«Fu una bella soddisfazione perché, dopo aver fatto molto bene in Primavera, segnò all’esordio a Livorno ed ebbi la consapevolezza di averci visto lungo, tanto che già dopo le prime gare di Serie B club più importanti iniziarono a chiedermi informazioni. La stagione successiva, in Serie C, servì a farlo crescere ancora tanto che si confermò un attaccante di grande prospettiva».

Quando collocherebbe il momento del salto?

«Certamente il passaggio al Palermo rappresentò l’indubbia consacrazione: Perinetti fece di tutto per ingaggiarlo perché lo riteneva pronto a far parte di un reparto che annoverava calibri quali Vazquez e Dybala. Ed ebbe ragione visto che Belotti si ritagliò uno spazio importante nei due anni in rosanero».

Cosa vi spinse a scegliere il Toro nel 2015?

«Il blasone della società e le caratteristiche del calciatore che si sposavano perfettamente con il Dna del tifoso granata e del club stesso. Anche in questo caso, le prestazioni hanno confermato la bontà della scelta».

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