Pagina 2 | "Il vero Toro che vorremmo: Il Fila, i valori, il Museo, la comunicazione, l’identità, l’amore, i tifosi uniti. E il cairismo"

Care lettrici e cari lettori, care tifose e cari tifosi granata, siamo felici di potervi offrire un resoconto di quanto è andato in scena l’altra sera nelle sale del Circolo dei Lettori, storica, splendida istituzione culturale torinese. Un resoconto (lo scriviamo subito) inevitabilmente incompleto, a fronte di una tavola rotonda sulla storia e i destini del Toro durata oltre 3 ore (!) e pregna di concetti profondi e sentimenti forti. L’evento, organizzato da Tuttosport per il 116° compleanno del Torino (3 dicembre 1906), ha avuto per protagonisti dieci Personaggi (doverosa l’iniziale maiuscola) anche diversissimi tra loro per età, esperienze personali e carriere artistiche e professionali, ma tutti accomunati dalla fede granata: una rappresentanza simbolica formata da “dieci piccoli (grandi) indiani”, per dirla un po’ con Agatha Christie e un altro po’ con Emiliano Mondonico. Con una penna in mano e davanti agli occhi un foglio bianco, come si sarebbe premesso un tempo, proveremo ora a far entrare un oceano nello spazio di un lago: ci assistano il calore e l’empatia. Sarà una summa, a metà strada tra uno zibaldone e un bignami: semi gettati nel terreno anche tra critiche dure (e condivisibili), significative testimonianze dei nostri invitati (che una volta di più ringraziamo), tematiche portanti emerse con spirito costruttivo, percorrendo i mille sentieri dell’amore per il Toro. Sul giornale di domani la seconda puntata.

Oskar: «Il mio più grande desiderio è che il popolo granata torni unito come un pugno. La cosa che più mi sta a cuore in questo momento è che si recuperino l’unità e la compattezza dei tifosi. Come Mods, circa 10 anni fa ci spostammo dalla curva Maratona alla Primavera perché da sempre rifiutiamo di fare la Tessera del Tifoso, documento che però, in quel periodo, era obbligatorio per sottoscrivere l’abbonamento. Eravamo obbligati a comprare il biglietto di partita in partita e rischiavamo di restare senza un posto fisso per noi e per lo striscione in Maratona, praticamente esaurita dagli abbonamenti. Ci spostammo quindi di là con tutti gli ultrà non tesserati, ai quali si aggiunsero, negli anni seguenti, anche altri tifosi storici in dissidio con la linea della Maratona di quel periodo».

Cassardo: «Certo, ricordo benissimo. E si arrivò poi agli esperimenti sociali, più avanti».

Pennisi: «Io abito a Roma, ma la divisione del tifo nel tempo si è allargata anche oltre il Piemonte, purtroppo».

Oskar: «La distanza creò incomprensioni tra alcuni appartenenti alle varie frange della tifoseria... non noi... che creò qualche spiacevole tensione. E all’esterno qualche male informato reputava che il motivo delle divergenze fosse soltanto la posizione pro o contro la proprietà del club».

Radice: «Hai ragione, Oskar. L’unità dei tifosi è uno dei primi obiettivi da raggiungere, è fondamentale per il nostro futuro».

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Oskar: «L’apice dell’ostilità nei confronti del nostro settore “non tesserato” si ebbe nel novembre 2019 in occasione delle partite contro Napoli e Inter, nelle quali la Questura... per loro stessa ammissione... decise di fare una sorta di “esperimento sociale”, lasciando entrare nel nostro settore gli ultrà di Napoli e Inter. Si crearono inevitabilmente tensioni e qualche scontro, causando grossi rischi di incolumità alle famiglie presenti e la diffida di centinaia di nostri tifosi. Una cosa del genere non è mai capitata in alcuno stadio italiano, né prima né dopo. La curva Primavera è ancora decimata dalle diffide, mentre la Maratona... nonostante abbia anch’essa un discreto numero di diffidati... sta tornando ai livelli del passato con tanto tifo e belle coreografie».

Cassardo: «Avessi qui davanti a me Cairo, gli direi come nel film di Nanni Moretti su D’Alema: Cairo, fai qualcosa di granata. Che non significa necessariamente superacquisti, la Champions... gli aspetti strettamente legati al campo, ai risultati, sono importanti ma non sono decisivi per noi granata. Penso invece allo spostamento al Filadelfia del Museo del Grande Torino, creato da un gruppo di tifosi ma nei fatti ignorato se non osteggiato dalla società».

Willie Peyote: «E non si può continuare a giocare con la Primavera a Biella o a Vercelli!».

Cassardo: «Bisogna dare un’accelerata, ma pesante dopo 6 anni, alla realizzazione del centro sportivo per il vivaio, il Robaldo. Anche la creazione di una prima squadra femminile... il merchandising... i rapporti con la tifoseria... la cura delle nostre tradizioni... Insomma, Cairo, fai qualcosa di granata! Invece siamo qui col cairismo e con il clima che ha originato negli anni, assolutamente anaffettivo. Quando invece noi del Toro viviamo sia di sentimenti sia di fatti concreti e valori in cui credere. Eravamo abituati a presidenti che toccavano le corde di noi tifosi, fino a 25 anni fa. Ma poi...».

Pennisi: «Comunque io a Roma percepisco di continuo un grandissimo rispetto per il Toro, dettato dalla storia di questo club. Non è andata dispersa, nonostante la presidenza Cairo. A volte questa nostra frustrazione verso Cairo ci ha portato a ritenere che il Torino non fosse più il Torino, ma non è così. Vivendo a Roma, invece, ho percepito molto di più la nostra diversità».

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Ligabue: «Le persone che hanno meno di 40 anni ogni tanto mi chiedono: Marco, perché tifi per il Toro? Come fai? Oggi dobbiamo cercare una risposta che forse non abbiamo, o almeno non tutti».

Boosta: «Dal cielo su Torino al cielo sul Toro: e i tifosi meritano un cielo sereno, non continue nuvole da decenni e ogni tanto dei bei raggi di sole. In un Toro ideale, l’empatia dovrebbe unire di nuovo la società e il mondo dei tifosi. Quantomeno con Juric siamo tornati ad avere nuove speranze. Ci ha ridato orgoglio, spirito garibaldino, felicità dopo grandissime partite, anche vera sofferenza granata, quella giusta».

Ligabue: «Sì, è esattamente così, hai ragione. Da quando è arrivato Juric una luce nuova è nata per noi tifosi: vediamo giocatori che sputano sangue in campo, vediamo un progetto di gioco bello e ricco di potenzialità anche se ancora un po’ embrionale... E questo ha fatto tornare a tanti la voglia di tifare Toro. Io ho il cuore granata dal 1976, dallo scudetto, ero un bambino. E oggi ricordo come una delle mie esperienze più emozionanti l’aver suonato e cantato sul prato del Fila il giorno dell’inaugurazione, con tutto il popolo granata attorno, 5 anni fa».

Cassardo: «Prima di Juric, ci siamo attaccati tutti a Belotti e alla sua esultanza, forse l’unico vero punto di riferimento sul prato per anni, in un deserto simbolico. Anch’io quando vedo la gente giovane in Maratona penso: ma perché tifano Toro? Al di là del fatto che quasi sempre l’amore per il Toro si trasmette di padre in figlio, tanto più negli ultimi 25 anni così poveri di risultati sul prato».

Radice: «Certo, è una missione far crescere un figlio granata... ma la trovo sacrosanta se hai dentro i valori del Toro... La narrazione granata è poesia, tragedia e rinascita, è memoria per poter avere un futuro da sentire davvero nostro. Io mi occupo di storia, di filosofia, di memoria, sia quando insegno sia quando scrivo un libro: e il Toro è anche una filosofia meravigliosa, identitaria. I nostri valori granata, insomma».

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Pennisi: «Il Toro è l’araba fenice, è il nostro Dna. Ed è quanto oggi si rinnova ogni volta come un prodigio quando vediamo sempre nuovi bambini tifare Toro».

Cassardo: «Il Toro è anche identità adolescenziale, una forma di ribellione. Il genitore metaforicamente rappresenta la Juventus, il figlio invece è il Toro. Il Toro è la contrapposizione al genitore, che rappresenta l’autorità fra le mura domestiche. Il Toro è libertà, prima di tutto. E conquista di ideali che vorremmo puri».

Ligabue: «L’effetto Belotti ha fatto da traino per i tifosi per tanti anni, è vero, in un periodo in cui avevamo ben poco... Ha regalato alla gente un simbolo. Come se fosse una divinità, un eroe. Uno vede Belotti che segna tanti gol e automaticamente un bambino vuole diventare come il Gallo, per emulare il suo idolo. Belotti è stato l’ultimo vero grande traino del Torino, adesso ne attendiamo un altro, intanto ci teniamo stretti Juric. E speriamo che prolunghi il contratto e non voglia lasciarci in anticipo, già tra un anno, visto che il rischio c’è».

Oskar: «Di certo tantissimi di noi tifosi dobbiamo dire grazie ai papà e ai nonni se oggi siamo ancora in grado di amare Toro».

Willie Peyote: «Io per primo: devo dire grazie a mio padre. Oggi ci manca qualcuno che racconti il Toro. In società non c’è nessuna figura che si occupi di questo. I social, ad esempio, come vengono gestiti dalla società? Il Toro non racconta il Toro. Non solo per me, credo, è assurdo che Cairo, un uomo di comunicazione, un grande imprenditore proprio nella comunicazione, anche della pubblicità, non riesca a gestire questo aspetto: all’altezza della storia del Toro. E se non è nato tifoso del Toro, allora metta qualcuno in società che faccia il tifoso per lui. A Cairo invece frega poco o nulla di questi aspetti storici, sentimentali: così sembra».

Ligabue: «Cairo ha dimostrato di essere un eccellente imprenditore, ma nel Toro è a dir poco... approssimativo. L’esempio lampante è proprio Juric: lo prendi e poi non gli fai la squadra! Un anno fa, poi di nuovo la scorsa estate... Juric ha indicato delle priorità, ma poi è dovuto andare al duello con la società. Assurdo. La sensazione è che il Toro sia una vetrina di Cairo».

Quaregna: «Più un mezzo che un fine, insomma?».

Oskar: «Uno degli effetti del cairismo è anche stato l’aver sbriciolato la tifoseria: una cosa grave, mai successa prima».

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Quaregna: «Incontro tifosi del Toro dappertutto, anche controllori francesi sul Tgv... con la spilletta del Toro... Un patrimonio enorme, meraviglioso, da proteggere. Si respira una passione enorme intorno alla squadra in Europa e nel mondo: in parte viene a galla, si vede, in parte è soffocata sotto la cenere, sotto le braci, ma il fuoco c’è, ci sarebbe. Questi discorsi, come per esempio la realizzazione di una “Cittadella granata” tra il Filadelfia e lo stadio Grande Torino, non sono voli pindarici di noi tifosi. Sono state promesse di Cairo e delle istituzioni. Riprendiamo quella strada: anche le strutture sono importanti, come luogo di aggregazione per l’identità, l’orgoglio. Per far crescere nuovi tifosi in una culla riconoscibile». Pennisi: «E aggiungo una cosa: la storia del Grande Torino è magica, ci si commuove ancor oggi per qualcosa che non abbiamo mai visto».

Willie Peyote: «Questo Torino, come società, non trasmette amore puro, non coltiva la storia granata. Dal Grande Torino a Meroni a Ferrini allo scudetto del ‘76 ad Amsterdam ci potresti fare dei film, o una serie che su Netflix avrebbe successo in tutta Europa. E anche così si potrebbero creare sempre nuovi tifosi, promuovendo la poesia del Toro. Ma siamo solo noi tifosi ad avere queste aspirazioni».

Cassardo: «Ho un amico che mi ha detto: quando vado da una ragazza e dico che sono del Toro mi sento figo. Lo capisco benissimo. Tornando a quella Coppa Uefa... Se per noi, per esempio, il rigore sbagliato da Belotti contro di noi a Roma resta un momento di godimento assoluto, Amsterdam è ancora un lutto che nessuno di noi è mai riuscito ad elaborare. Tutto si è consumato su quel legno colpito da Sordo».

Willie Peyote: «Siamo tutti figli dello stesso albero genealogico, noi del Toro. Quando ero bambino, a casa mia c’era l’embargo, potevano entrare solo cose del Toro! Mio papà mi ha fatto crescere nel mito del Grande Torino, di Ferrini, del tremendismo, della squadra operaia... Ma oggi è molto più difficile essere alternativi, in un modo tutto in streaming. Il Toro per come lo intendiamo noi tifosi è figo perché è una risposta a qualcosa. Alla stessa maniera, io iniziai a farerap proprio perché non lo faceva nessuno in Italia. E oggi invece è diventato il genere di eccellenza».

Caselli: «Prima dicevate: Cairo ha dimostrato di essere bravissimo come imprenditore in specie nel settore dell’informazione, vista la sua scalata, ma da presidente del Toro sembra un altro e una parte della tifoseria lo critica. Allora mi chiedo come possano coesistere due Cairo diversi nella stessa persona. Voglio dire che forse nel mondo del calcio c’è qualche fattore che lo frena. Fra le tante possibili ipotesi ne azzardo una. In questa città, essere presidente del Toro non è facile. Vi racconto un aneddoto di tanto tempo fa che la dice lunga. Emilio Pugno è stato un grande sindacalista e politico degli Anni 60 e 70 e a quel tempo la base operaia era tutta granata. Gli operai gli volevano molto bene, ma gli rimproveravano la sua spiccata simpatia per la Juve. Un giorno, due operai gli chiesero, polemizzando con affetto, perché li “tradisse”, allo stadio. E lui -si racconta - rispose: già per tutta la settimana devo battagliare col padrone, per cui vorrai mica che faccia il tifo per l’indotto alla domenica? Lasciatemi almeno la domenica, su! Ecco, così rispose. Dopo Superga (con la gloriosa parentesi di Giagnoni e Radice) il Toro è come condannato a essere appunto una specie di indotto. Sia chiaro, è una cosa che ci inorgoglisce, è il fascino di essere Davide contro Golia e di sapere che tutto quel che arriva è frutto di sacrificio e merito, non d’altro. Ma nello stesso tempo non si può non chiedersi se per casonon ci siano anche dei confini oltre i quali non si può andare, altrimenti c’è il rischio di venir travolti. Ed è la storia di alcune presidenze del Toro. Del resto la città aveva avuto tra gli Anni 60 e 80 non solo un Toro grande, ma anche una squadra di volley arrivata al vertice dell’Europa, una squadra di basket in prima fila in Italia, poi i successi del rugby, persino l’hockey che spopolava... Ma da tempo non c’è più nulla a quei livelli eccezionali, così splendidi. La Juve ha... insomma... accentrato tutto: e il resto ha finito per dover andare altrove! Per cui un oculato, attento imprenditore può anche porsi questi pensieri, questi dubbi. Perché da presidente del Torino deve affrontare, per l’appunto, anche il problema di un’egemonia sempre cercata dal mondo che gravita intorno alla Juve. Sia chiaro, è una presenza forte, una realtà che ha fatto anche del bene a Torino. Ma un presidente granata che accetti la sfida di mettersi in concorrenza con questa egemonia può darsi che in qualche misura finisca per tenerne conto, anche per il fatto obiettivo di aver un bilancio da “indotto”. E allora forse sta qui un’ipotesi di risposta alla domanda del perché Cairo, così brillante nell’editoria, non lo sia altrettanto nel calcio».

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Radice: «E allora, giudice, in cosa si può sperare, se questa egemonia rappresenta così un limite, un problema per un presidente del Toro, chiunque esso sia? Potrà mai arrivare un giorno un nuovo patron innamorato capace di imporsi?».

Caselli: «Premesso che tutto sommato Cairo va ancora bene, non sono qualificato a rispondere a questa domanda: per deformazione professionale io giudico il passato, non prevedo il futuro. E poi... lasciatemi fare una battuta... io sono anche un tifoso impresentabile! Quando si tratta del Toro non sono freddo. E lo sa bene chi mi ha visto allo stadio! Gli amici che mi devono accompagnare dappertutto per obblighi di servizio, di scorta, in questi decenni qualche volta mi hanno detto (un po’ per scherzo, ma anche no…) che i momenti più pericolosi sono quelli allo stadio... Per una certa mia tendenza a una rissosità dialettica, diciamo così!».

Quaregna: «Prima Parigi, poi da decenni vivo a Roma... Insomma, lasciai Torino tanti anni fa. E l’egemonia della Juve, ahimè, la percepiamo anche da lontano. Così come i problemi del tifo granata, frammentato in questi ultimi lustri. Ma mi viene in mente che noi granata viviamo anche di attimi bellissimi: puri attimi soltanto granata. Un gesto a Superga, una vittoria in rimonta, un simbolo sul prato, un ricordo commovente...».

Caselli: «Noi granata viviamo di attimi: bellissima definizione!».

Boosta: «Sarebbe bello però se si unissero di nuovo, tutti questi attimi. E diventassero un fiume».

Caselli: «Attimi... torrenti... fiumi... La mia vita è piena di esperienze. E una parte di queste mie esperienze è proprio il Toro. E quindi è una parte della mia vita di cui sono anche molto felice e orgoglioso. Mi ha formato, forgiato e continua ad appassionarmi e a riempire il cuore».

Della Casa: «Io dico anche: attenzioni a certi sceicchi o presunti imprenditori appassionati che poi fanno dei disastri... Non è tutto oro ciò che luccica in certe altre società... Io non tifo per lo scudetto del bilancio, io tifo per il Toro e i suoi valori e cosa ha rappresentato nella mia vita... però... a maggior ragione di questi tempi, pensando pure a cosa sta succedendo alla Juve... dico che comunque la solidità societaria è un caposaldo fondamentale. Aggiungo: è giustissimo contestare un presidente quando sbaglia, ma sono contrarissimo a farlo durante una partita, magari col Toro che sta pure soffrendo per portare in porto una vittoria».

Boosta: «Certo. Tutto doppiamente importante, oggi. Proprio perché in questi tempi tutto corre velocissimo e difendere, promuovere la memoria è sempre più difficile e complicato. Oggi la vita scorre così veloce da divorare le generazioni molto più rapidamente di 30 anni fa. E comunque le ultime generazioni, probabilmente, vivono meno di memoria, rispetto a chi è nato prima degli Anni 90. Oggi la massa dei giovani ragiona in modo bidimensionale quasi su tutto, viviamo dentro a una perenne sinusoide. La piazza va, la piazza si ritira: di continuo. Nel mio cuore la memoria, e non solo il futuro, mi emoziona sempre. Vivo di racconti, mi sento anche un menestrello di storie. E poi mi faccio fin tenerezza allo stadio, sono interprete di una mia favola quando inizia la partita e sul prato compaiono le maglie granata». Prima uno, poi un altro, poi un altro ancora, fino quasi a un coro: «Perché non scriviamo una sorta di manifesto granata?».

Pennisi: «Una lettera aperta, sì. Un manifesto in cui riassumiamo tutti questi nostri sentimenti. Coinvolgendo la tifoseria granata, per unirci anche così. E poi da presentare a Cairo. Per dirgli, ancora una volta: ascoltaci!».

Quaregna: «E poi magari per coinvolgere anche il sindaco... Proviamo a verificare se le istituzioni sono presenti, se ci possono aiutare a cambiare le cose. Anche per creare un movimento di pensiero. Ascoltando i tifosi, facendo parlare il cuore e la ragione».

Willie Peyote: «Dobbiamo farlo anche per la Generazione Z, è un fatto di cultura e impegno sociale: il Toro rappresenta dei valori di umanità, solidarietà, lotta contro le ingiustizie, rinascita che devono essere spiegati, promossi, trasmessi, raccontati. E difesi».

Radice: «Sì, è quanto sta emergendo da questa nostra chiacchierata. Dobbiamo farlo, sì. Perché difendere la memoria è costruire il futuro. E noi dobbiamo recuperare i nostri valori appieno, abbiamo bisogno di ideali granata in cui credere anche per il futuro, non solo coniugati al passato. Proviamo allora a fare una sintesi, adesso. Dunque, io direi che...»

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Oskar: «L’apice dell’ostilità nei confronti del nostro settore “non tesserato” si ebbe nel novembre 2019 in occasione delle partite contro Napoli e Inter, nelle quali la Questura... per loro stessa ammissione... decise di fare una sorta di “esperimento sociale”, lasciando entrare nel nostro settore gli ultrà di Napoli e Inter. Si crearono inevitabilmente tensioni e qualche scontro, causando grossi rischi di incolumità alle famiglie presenti e la diffida di centinaia di nostri tifosi. Una cosa del genere non è mai capitata in alcuno stadio italiano, né prima né dopo. La curva Primavera è ancora decimata dalle diffide, mentre la Maratona... nonostante abbia anch’essa un discreto numero di diffidati... sta tornando ai livelli del passato con tanto tifo e belle coreografie».

Cassardo: «Avessi qui davanti a me Cairo, gli direi come nel film di Nanni Moretti su D’Alema: Cairo, fai qualcosa di granata. Che non significa necessariamente superacquisti, la Champions... gli aspetti strettamente legati al campo, ai risultati, sono importanti ma non sono decisivi per noi granata. Penso invece allo spostamento al Filadelfia del Museo del Grande Torino, creato da un gruppo di tifosi ma nei fatti ignorato se non osteggiato dalla società».

Willie Peyote: «E non si può continuare a giocare con la Primavera a Biella o a Vercelli!».

Cassardo: «Bisogna dare un’accelerata, ma pesante dopo 6 anni, alla realizzazione del centro sportivo per il vivaio, il Robaldo. Anche la creazione di una prima squadra femminile... il merchandising... i rapporti con la tifoseria... la cura delle nostre tradizioni... Insomma, Cairo, fai qualcosa di granata! Invece siamo qui col cairismo e con il clima che ha originato negli anni, assolutamente anaffettivo. Quando invece noi del Toro viviamo sia di sentimenti sia di fatti concreti e valori in cui credere. Eravamo abituati a presidenti che toccavano le corde di noi tifosi, fino a 25 anni fa. Ma poi...».

Pennisi: «Comunque io a Roma percepisco di continuo un grandissimo rispetto per il Toro, dettato dalla storia di questo club. Non è andata dispersa, nonostante la presidenza Cairo. A volte questa nostra frustrazione verso Cairo ci ha portato a ritenere che il Torino non fosse più il Torino, ma non è così. Vivendo a Roma, invece, ho percepito molto di più la nostra diversità».

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