Le ambizioni Toro: Cairo, quando lei stava in B Napoli era in C!

Il problema non sono i quattro gol presi, né il bacino d'utenza, né la ricchezza della città
Le ambizioni Toro: Cairo, quando lei stava in B Napoli era in C!

Il problema non è che il Torino abbia perso con il Napoli. Il Napoli, questo Napoli, batte in Italia tutte le squadre della Serie A e in Europa tutte quelle di Champions, che a giugno potrebbe anche andare a conquistare. Nè che il Torino ieri abbia preso quattro pappine, le stesse che - per dire - aveva beccato anche il Liverpool. Il problema è che il Torino negli ultimi 11 campionati - cioè da quando è salito dalla B dove con Cairo proprietario, presidente e factotum era retrocesso e rimasto a languire per tre penose stagioni, quelle che nei suoi consuntivi di salvezze e decimi posti l’editore di Masio si dimentica sempre di citare – su 22 confronti col Napoli ne abbia persi 16, pareggiati 5 e vinto uno, nell’anno di quasi grazia 2015, quello di Bilbao (sedicesimi di Europa League, eh, non finale di Champions) e dell’unico derby concesso da una Juve già campione d’Italia e con la testa altrove.

Il problema è che in queste 22 sfide abbia subito 47 gol (oltre 2 a partita), segnandone appena 18 (manco uno a partita) e subendo alcune tra le scoppole più umilianti della sua storia recente pur di umiliazioni ricca. Ma il vero problema, quello per cui più di ogni altro Cairo e i suoi sodali dovrebbero riflettere e magari un poco vergognarsi, è dove stava il Napoli quando Cairo rilevò praticamente gratis il Torino fallito. In Serie C, stava. Lì lo prese De Laurentiis. Era un club allo sbando, più del Torino. Ora, per favore, non parliamo di bacini d’utenza: perché il Torino, quando era Toro, non aveva meno tifosi del Napoli; e poi perché, al netto dei cali generalizzati di presenze negli stadi e dei disastri da Covid, il numero, la passione e la partecipazione dei tifosi conseguono da quanto una società semina e una squadra raccoglie, non sono un angelo caduto dal cielo; tanto che negli anni difficili la pressione della tifoseria partenopea a molti sembrava più una zavorra che un volano. Non parliamo di ricchezza della città, perché Napoli rispetto a Torino non è certo il paese della cuccagna. Non parliamo di eredità del passato: perché il Torino storicamente non è mai stato in media inferiore al Napoli; e quando lo è stato, per dire negli anni di Maradona, al Napoli faceva trovare sempre lungo, a volte lo batteva. E poi perché entrambe quell’eredità l’avevano dissipata, ripartendo da zero. Anzi, il Napoli un gradino sotto lo zero. Solo che il Napoli ha trovato De Laurentiis, il Torino ha trovato Cairo.

De Laurentiis è ricco, certo, ma non è Agnelli o Moratti o Berlusconi; e Cairo non è un imprenditorino di provincia, un garzone di bottega. Però De Laurentiis è ambizioso anche calcisticamente, non solo per vendere film e affini; Cairo è ambizioso per vendere giornali e pubblicità, e basta. De Laurentiis ha costruito una società forte e organizzata, con dirigenti competenti nei ruoli chiave, Cairo no. De Laurentiis l’orgoglio e la passione della piazza li ha coltivati, con mosse di mercato anche coraggiose e prese di posizione magari discutibili ma roboanti, trascinanti per i tifosi e il loro senso di appartenenza, che percepiscono condiviso; Cairo l’orgoglio e la passione granata li ha prosciugati. Non c’è più un tifoso che lo ami, che gli creda, che si tratti del grottesco Robaldo o dell’acquisizione dello stadio, dove pure qualche parola la sta spendendo; del museo o del Filadelfia, delle prospettive altalenanti e modeste della prima squadra o del peregrinare mortificante della Primavera. Al massimo c’è chi lo sopporta e se ne fa una mesta ragione in base alla filosofia del meno peggio. Intanto da ieri, in uno stadio che si chiama Grande Torino ma pareva il Maradona (parliamo anche di questo, magari), la squadra di Juric - che non a caso sta pensando di levare le tende, ma non quelle del Fila – è undicesima. Nemmeno nella parte sinistra della classifica, che torna a essere obiettivo allettante per Cairo, da linguetta dell’acquolina. Del resto è il suo mantra, il 10° posto.

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