Cairo e Juric: Toro, senza dialogo non c'è soluzione

Addentrarsi nelle spire della crisi granata è esercizio complicato, a meno che lo si voglia affrontare in maniera banale e superficiale
Cairo e Juric: Toro, senza dialogo non c'è soluzione© LAPRESSE

L’insostenibile leggerezza del Toro non ha nulla di felicemente calviniano, ma appare semmai calvinista, nel senso che sembra tutto predeterminato da una forza superiore, un destino di fronte al quale tanto vale abbassare il capo in segno di rassegnazione o addirittura resa. Il che è surreale nel momento in cui illustri esperti di cose granata sostengono convinti che questa squadra sia più forte delle passate stagioni - per qualcuno addirittura la più forte dell’era Cairo - e che abbia di conseguenza il dovere di lottare per il posto in Europa che a una società con questa storia spetterebbe quasi di diritto e invece appare da troppo tempo un miraggio.

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La crisi del Torino

Per questa ragione addentrarsi nelle spire della crisi granata è esercizio complicato, a meno che lo si voglia affrontare in maniera banale e superficiale. Il Toro merita molto di più della banalità e della superficialità. E i tifosi del Toro meritano molto di più di un gruppo che ha perso la furia agonistica (il «fanatismo», come lo ha ribattezzato Juric, non con precisione lessicale ma con efficace inventiva) e che si scioglie alla prima difficoltà: e infatti sabato sera hanno espresso il proprio disappunto con i cori classici di queste situazioni.

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Gli infortuni di Schuurs e Buongiorno

Non può essere un caso, per esempio, che gli infortuni di Buongiorno contro la Lazio e Schuurs contro l’Inter siano coincisi con l’inizio della fine: la squadra che fino a quel momento si era espressa in maniera almeno sufficiente d’improvviso è svanita, consegnandosi docilmente alla superiorità avversaria. Se si esclude la bella e produttiva reazione allo svantaggio contro la Roma, in questa stagione non si è visto nulla del Toro di Juric, diventato l’idolo del popolo granata proprio perché sapeva trasmettere una determinazione tale da supplire al gap dei valori tecnici.

Il Torino merita questa classifica

Quando Cairo parla di «sfiga», lo fa - presumiamo, speriamo - per tagliare corto, perché lui per primo sa che non è solo questione di sfortuna (fortuna ce n’è stata poca, è vero, ma non è la spiegazione della deficitaria situazione): probabilmente è anche un modo per proteggere Juric dalle critiche. Giusto, però la mancanza di dialogo tra presidente e allenatore, più volte evidenziata da Cairo negli ultimi tempi, non giova a nessuno, tanto più in una società esageratamente snella come quella granata. La compattezza della squadra dipende dalla compattezza di chi comanda. E chi comanda ha il dovere di farsi sentire, a ogni livello. Il Toro di questo inizio di stagione merita questa classifica. La storia del Toro no. 

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L’insostenibile leggerezza del Toro non ha nulla di felicemente calviniano, ma appare semmai calvinista, nel senso che sembra tutto predeterminato da una forza superiore, un destino di fronte al quale tanto vale abbassare il capo in segno di rassegnazione o addirittura resa. Il che è surreale nel momento in cui illustri esperti di cose granata sostengono convinti che questa squadra sia più forte delle passate stagioni - per qualcuno addirittura la più forte dell’era Cairo - e che abbia di conseguenza il dovere di lottare per il posto in Europa che a una società con questa storia spetterebbe quasi di diritto e invece appare da troppo tempo un miraggio.

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Per questa ragione addentrarsi nelle spire della crisi granata è esercizio complicato, a meno che lo si voglia affrontare in maniera banale e superficiale. Il Toro merita molto di più della banalità e della superficialità. E i tifosi del Toro meritano molto di più di un gruppo che ha perso la furia agonistica (il «fanatismo», come lo ha ribattezzato Juric, non con precisione lessicale ma con efficace inventiva) e che si scioglie alla prima difficoltà: e infatti sabato sera hanno espresso il proprio disappunto con i cori classici di queste situazioni.

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