Toro e Marmotta, rieccoci qui: vivacchiare non è vivere

Tutti gli anni, nel corso della stagione, ci sono momenti in cui ci si illude che sia davvero l’anno buono
Toro e Marmotta, rieccoci qui: vivacchiare non è vivere© LAPRESSE

Il Toro e, soprattutto, il suo popolo sono intrappolati in un loro personalissimo Giorno della Marmotta da dieci anni. E così chi racconta il Toro è incastrato nel medesimo destino di raccontare sempre la solita storia, aggrappandosi - invano - alle solite speranze. Proprio come Bill Murray nell’omonimo film in cui ricominciava da capo sempre lo stesso giorno, la cosa può trasformarsi in un incubo. Ogni stagione del Toro inizia con la speranza e la sbandierata convinzione che possa essere l’anno buono per il salto di qualità, ovvero per abbandonare la limacciosa palude del decimo posto e dintorni.

Il Torino e le illusioni

E tutti gli anni, nel corso della stagione, ci sono momenti in cui ci si illude che sia davvero l’anno buono, magari dopo una serie positiva un po’ più lunghetta, poi, con implacabile regolarità, arrivano le partite che impallinano i sogni, abbattendoli. L’addio al “salto di qualità” è la somma di una serie di “arrivederci al salto di qualità”, che si accumulano durante la stagione, fino alla malinconico finale nella solita malinconica palude di cui sopra, per poi ricominciare tutto daccapo dopo l’estate, imprigionati nella stagione della marmotta granata. Ne deve aver avuto la sensazione anche Ivan Juric che ha azzeccato in modo chirurgico il verbo con cui descrivere il modo cui il Torino Football Club affronta il suo destino: «vivacchiare». Il Torino di Cairo non è facile da criticare se ci si ferma alla gelida visione contabile di un bilancio in bolla e al concetto, ancora meno sexy, di essere «sempre in Serie A».

Vivere, non vivacchiare

Perché nessun club e, men che meno il Toro, può essere gestito con una tale carenza di trasporto emotivo e, visto che parliamo di un club che non alza un trofeo da trentun’anni, gli unici carburanti che il tifoso chiede per alimentare il motorino del suo cuore sono l’amore, la passione e una via d’uscita dall’incubo. Vivere, non vivacchiare. Costruire qualcosa di più granata dell’esaltarsi solo di allungare la striscia di permanenza in Serie A. Il tifoso del Torino guarda con malinconico rimpianto l’Atalanta, il Bologna, la Fiorentina, la Lazio. Bacini di utenza non tanto più grandi (se non più piccoli) di quello granata, dove la passione e il coraggio delle proprietà ha ucciso (metaforicamente) la marmotta e ha regalato qualcosa di memorabile. Che poi è per quello che esistono le squadre di calcio, altrimenti la gente tiferebbe per gli studi dei commercialisti, tipo: «Hai visto che F24! Boja Fauss!».

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