I derby e l'Inter
Sandro ama raccontare di quando entrava in campo prima dei derby di suo padre a breve distanza dal figlio di Depetrini. «Camminavamo tenuti per mano dai due capitani, i nostri papà. E io lo guardavo in cagnesco, sempre. Mi sentivo di dover vivere anch’io il derby. E lo potevo giocare solo così, a 4, 5, 6 anni. E pure lui mi guardava male. Intanto i tifosi del Toro applaudivano… E mi sentivo un eroe anch’io. E col figlio di Gabetto mi scambiavo sorrisi di approvazione… Poi mi sedevo a bordocampo e iniziava la partita. E mio padre e i suoi compagni vincevano… E a me scoppiava il cuore di felicità e di orgoglio». E sorride, sorride di gusto, Sandro. Ridacchia persino: alla sua maniera, davvero… sotto i baffi. «Per me la Juve rappresenta da sempre una sana, grandissima rivalità sportiva. Volevo sempre vincere, anche a costo di lasciarci le penne».
«Certo, sono diventato una bandiera nerazzurra, ne sono orgoglioso, l’Inter è stata e sarà per sempre la mia vita. Ma anche il Torino, per via di papà, occuperà per sempre una parte del mio cuore. Se non fosse morto, sarei diventato un giocatore del Torino. È sicuro. È vero che lo voleva l’Inter e che lui era tentato, me lo hanno raccontato, ma io penso che al momento della decisione finale, sì o no, dopo aver parlato col presidente Novo, non se la sarebbe sentita di lasciare il Torino, l’avrebbe visto come un tradimento… E sarebbe rimasto, a costo di guadagnare molto meno. E così io avrei iniziato a giocare nel vivaio granata. E poi magari sarei diventato anch’io una bandiera del Toro, chissà… Quando giocavo al Fila, mi sembrava di vivere in un mondo fantastico. Speravo di diventare un calciatore del Torino come papà, un giorno. Pardon, del Toro».
«Poi c’è stato quel breve periodo da ds nel Torino di Cimminelli e Romero. Mi chiamarono. Dissi di sì perché era il Torino che mi chiamava. E mi pareva di non poter dire no, al Torino. Ma se fosse stata un’altra squadra… no, grazie… c’è solo l’Inter».