La storia degli altri sette aerei dello stesso tipo di quello che trasportava il Grande Torino (il trimotore Fiat G.212), caduti in circostanze anche misteriose tra il 1948 e il 1954. L’incredibile scoperta che appena 25 giorni prima della tragedia di Superga (4 maggio 1949) uno di questi sette aerei era precipitato a Tor Sapienza, Roma: ed era già il secondo Fiat G.212 andato distrutto in appena 10 mesi prima della tragedia del Grande Torino (9 vittime, considerando anche il primo disastro aereo in Belgio nel 1948; quindi i 31 caduti di Superga).
E poi le inchieste e la sentenza in Tribunale sulla tragedia del Grande Torino: sparite, non più rintracciabili, incredibilmente svanite nel nulla. Sparita l’inchiesta civile condotta subito dopo la sciagura in appena un paio di giorni dal Registro Aeronautico Italiano. Sparita l’inchiesta militare, chiusa in due settimane. Sparita addirittura la sentenza del giudice istruttore (procedimento penale avviato d’ufficio dalla Procura di Torino). Sparita persino la relazione ministeriale in Parlamento sulla tragedia, i cui esiti furono presentati in Senato nel corso del 1949.
Qui di seguito, disponibile liberamente anche in Rete, vi presentiamo in forma integrale la seconda parte dell' inchiesta che abbiamo pubblicato in esclusiva nelle edizioni cartacee di Tuttosport del 25 e 26 aprile 2024 (inchieste frutto di mesi e mesi di studi e ricerche anche in archivi istituzionali), con a corredo le preziose testimonianze di Luigi Troiani, professore universitario di Relazioni Internazionali a Roma, e dello storico Stefano Radice. Uno squarcio nelle nubi di mistero che avvolgono la tragedia.
Il mistero delle carte scomparse
La prima puntata sulla tragedia di Superga (31 morti): sull’ultima ora di volo dell’aereo che trasportava il Grande Torino; sulle indagini e sulle possibili dinamiche dell’incidente, sulle tre inchieste svolte (civile, militare e giudiziaria); sulla sentenza del giudice istruttore (fascicolo aperto contro i due piloti dell’aereo: non luogo a procedere); sulla causa civile intentata dal Torino contro la compagnia aerea Ali-Flotte Riunite (l’Ali era stata costituita dalla Fiat negli Anni 20); sulla storia di quel modello di aereo, il G.212 (19 velivoli prodotti per usi civili e militari dalla Fiat Aviazione); sulla vita sfortunata di quel modello: 8 aerei caduti (40 morti più i feriti), distrutti o danneggiati in modo irreparabile tra il 1948 e il 1954 (tra cui uno militare a Roma appena 25 giorni prima di Superga), per ragioni anche molto differenti tra loro o per cause imprecisate; impossibile paragonare gli incidenti, dunque (fonti: gli autorevoli database di Asn, Stati Uniti, e Baaa, Svizzera). Nella puntata di ieri, pubblicata anche l’intervista allo storico Luigi Troiani (professore universitario, saggista, scrittore, giornalista), autore del romanzo «Il comandante restò sulla collina» sulla vita del comandante Pierluigi Meroni, uno dei due piloti dell’aereo del Grande Torino (libro nel quale Troiani accende la luce sulla serie di incidenti occorsi ai G.212). E adesso la seconda puntata.
A Torino non c'era il radar
Senato della Repubblica, seduta del 9 giugno 1949, 36 giorni dopo la tragedia di Superga. Interrogazione del senatore Giardina al presidente del Consiglio dei ministri De Gasperi: «Per sapere se non ritenga opportuno, a seguito del grave disastro aviatorio (…), procedere sollecitamente ad una rigorosa ispezione degli aeroporti, per esaminare se l’ubicazione ed i servizi di questi rispondano a norme di sicurezza e siano adeguati (…)». Anche il senatore Grisolia aveva presentato un’interrogazione: al ministro della Difesa Pacciardi, «per sapere se risponda a verità che le cosidette “procedure d’atterraggio” non esistono o, se esistono, non vengono osservate per la zona aeronautica di Torino, che pure è tra le zone più pericolose del mondo»: pericolose per l’atterraggio degli aerei, intende dire il senatore Grisolia. Il piccolo aeroporto dell’Aeritalia (della Fiat) a Collegno, ai confini con la città di Torino, tra il vicino arco collinare e le più lontane Alpi, non aveva il radar.
Risponde a entrambe le interrogazioni Pacciardi (nota per il lettore: stiamo citando stralci dagli atti ufficiali del Senato). Il ministro della Difesa: «Le particolari caratteristiche orografi che della zona circostante l’aeroporto e le limitate dimensioni del campo di atterraggio non permettono l’effettuazione di procedure per l’atterraggio strumentale. In considerazione di ciò, per l’aeroporto suddetto vige la procedura del “Forate le nubi” sino ad un limite di condizioni meteorologiche sull’aeroporto», poi elencate tecnicamente in dettaglio dal ministro (enumerate anche «le norme tassative» da seguire «in condizioni di scarsa visibilità»). Quindi, «in merito all’interrogazione del senatore Giardina: (…) le conclusioni alle quali è pervenuta la Commissione d’inchiesta per l’incidente di Superga hanno assodato che esso non è dovuto a difettoso funzionamento dell’organizzazione preposta all’assistenza al volo». Da terra, dalla torre di controllo, comunicazioni ripetute e corrette all’equipaggio. «È invece da ritenersi attendibile che il comandante l’aeromobile giudicasse la sua posizione più arretrata o più deviata rispetto alla posizione reale. Questo errore di valutazione può averlo indotto a condurre la navigazione senza la preoccupazione di poter urtare contro la collina di Superga. È anche da supporre, a giustifi cazione del comandante del velivolo, che i rilevamenti radiogoniometrici effettuati a bordo» per stabilire la posizione dell’aereo in condizioni di scarsa visibilità «non siano stati del tutto precisi a causa delle particolari condizioni atmosferiche (stati elettrici localizzati e temporali) ed abbiano portato (…) ad un errore di valutazione della posizione dell’aereo sia pure di misura limitata».
Quel cambio di destinazione da Malpensa
Sempre il ministro della Difesa: «L’aeroporto di Torino è ben vero che non è dotato di attrezzatura per l’atterraggio senza visibilità (il radar; ndr), ma era in condizioni di guidare al momento dell’atterraggio l’I-Elce (marche di quel G.212,
ndr), che comunque avrebbe avuto sull’aeroporto stesso visibilità orizzontale sufficiente per l’atterraggio a vista». Cogliamo dalle repliche del senatore Giardina: «La disgrazia di Torino era evitabile se l’aeroporto piemontese e l’apparecchio sfortunato fossero stati attrezzati alla stregua dei più recenti ritrovati e perfezionamenti della scienza e della tecnica. (…) L’ubicazione dell’aeroporto ha reso letale o più grave la disgrazia».
Le repliche di Grisolia, politicamente all’opposizione: «Il campo dell’Aeritalia (…) non è degno d’una grande e industre città come Torino». Poi il senatore sottolinea la necessità di una «urgente costruzione dell’aeroporto di Caselle», già da tempo nei programmi del Comune. «L’Amministrazione dell’Aeronautica, (…) prima di rilasciare la chiesta autorizzazione, avrebbe dovuto fra l’altro tenere presenti anche gli elementi da me brevemente indicati» in precedenza: un lungo discorso per dire che l’Aeronautica non avrebbe dovuto concedere l’autorizzazione ad atterrare a Torino (confermando il ritorno a Malpensa: aeroporto provvisto di radar). L’aereo, decollato da Malpensa il 1° maggio, sarebbe infatti dovuto lì tornare (si vedano i biglietti di viaggio ritrovati tra i rottami a Superga). Successivamente fu chiesto di rientrare a Torino.
Sul quotidiano Stampa Sera (edizione del 4 maggio, il giorno della tragedia), uno dei tre giornalisti deceduti, Luigi Cavallero (sull’aereo anche il fondatore di Tuttosport, Renato Casalbore, e Renato Tosatti, Gazzetta del Popolo), aveva scritto nel suo ultimo articolo trasmesso da Lisbona la sera prima: «Stamane (…) l’aereo spiccherà il volo per atterrare all’Aeronautica di Torino, tempo permettendo, verso le 17. Che le nubi e i venti ci siano propizi, e non facciano troppo ballare…», la conclusione del suo ultimo articolo. Cambio di destinazione deciso non certo durante il volo, insomma, ma ben prima. Alle 17 e 03, la tragedia. Sul Piemonte, da giorni, piogge torrenziali e inondazioni.
Inchiesta ministeriale sparita nel nulla
Sempre il senatore Grisolia: «Il dire (…) che l’aeroporto di Torino ha regolarmente trasmesso tutte le informazioni che riguardavano le condizioni meteorologiche, e i dati relativi alla navigazione, non significa affatto che l’aereo li abbia regolarmente ricevuti», date la ridotta strumentazione a bordo (radio e radiogoniometro) e le condizioni meteo. «Mi risulta che, alle ore 16,20 (…), l’aereo (…) ha chiesto alcuni dati all’aeroporto; la radio del campo ha trasmesso i dati, ma l’aereo sembra che non li abbia ricevuti tanto che alle ore 16,26 ha insistentemente richiesto gli stessi dati. Il che significa che la radio di Torino, difettosa nelle trasmissioni per le condizioni ambientali, per le fabbriche che sono vicine, e per altre cause, ancora una volta non ha funzionato bene». Ancora una volta?
Il senatore chiede il deposito in Senato «dell’inchiesta ministeriale» per valutare la nomina di una Commissione parlamentare per «più accurate indagini. (…) Vi sono (…) famiglie delle vittime che attendono giustizia. (…) Nulla da eccepire sul comportamento del personale, sia quello di bordo che quello del campo Aeritalia; una responsabilità e gravissimava invece addossata unicamente all’Amministrazione dell’Aeronautica». Risposta finale del ministro della Difesa: «Desidero soltanto aggiungere che gli atti dell’inchiesta sono a disposizione di ogni senatore». Ma l’inchiesta è introvabile, oggi: dov’è mai finita? «In numerosi mesi costellati di ricerche e domande, non è stato possibile esaudire le mie richieste. Mi è stato riferito che alla Camera e al Senato non c’è traccia di nessun documento», è la testimonianza del professor Stefano Radice.
Gli esiti in una risposta parlamentare
Gli atti parlamentari del 15 novembre 1949 riportano poi un’interrogazione depositata dal senatore Bisori: «Al Ministro della Difesa, per conoscere le conclusioni dell’inchiesta (…) sul disastro aereo di Superga». Il ministro Pacciardi risponde il 21 dicembre: dalle inchieste svolte «si desume che il funzionamento di radio assistenza (…) appare essere stato completo sia in rapporto alle richieste dell’aereo, sia in riferimento alla supposta posizione dell’aereo stesso in base alla sua comunicazione di distanza. Dal fatto che il velivolo non ha mai comunicato di navigare in volo strumentale, si è potuto desumere che la navigazione si svolgeva in vista del terreno, e pertanto si deve dedurre che l’aereo abbia navigato dal cielo di Savona fino a breve distanza dal luogo dell’incidente con una visibilità del suolo continua, e probabilmente ridotta solamente nella sua ultima fase. Si deve altresì ritenere che il crinale delle colline torinesi si sia presentato aIl’improvviso coperto da nubi (…) in dipendenza di una situazione meteorologica estremamente mutevole (…). Conseguentemente l’aereo (…) dovette forzatamente cercare di superare lo sbarramento di nubi in volo strumentale, ma per cause non precisabili la quota assunta dal velivolo non ha tenuto il sufficiente margine di sicurezza necessario al superamento delle colline (…). Le minuziose indagini (…) inducono a ritenere che il sinistro sia da attribuire ad uno di quegli imponderabili fattori, che, purtroppo, incidono talora fatalmente sulla condotta del volo».
Tutto sparito: tre inchieste e la sentenza!
Non si trova l’inchiesta ministeriale, come detto. Ma, al giorno d’oggi, non si trovano più nemmeno le tre inchieste svolte dopo la tragedia (civile, militare e giudiziaria). E non si trova nemmeno la sentenza del giudice istruttore a seguito del fascicolo aperto a carico dei due piloti con l’ipotesi di reato di disastro aereo e omicidio colposo (non luogo a procedere per la morte degli imputati; presunti reati estinti). Di nuovo il professor Stefano Radice: «All’Archivio di Stato di Torino risulta un fascicolo di istruzione formale a carico dei due piloti Meroni e Bianciardi. Vi posso far sapere che il direttore dell’Archivio mi ha scritto via email ribadendo che il fascicolo citato, formalmente protocollato e archiviato, non si trova nella serie dei fascicoli del giudice istruttore, e pertanto non è stata possibile la consultazione. Anche la relazione ministeriale sembra svanita del vuoto. Ho cercato negli Archivi della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, invano. Così come nell’Archivio di Stato di Roma». In merito, anche le ricerche negli archivi istituzionali poste in essere dal professore universitario Luigi Troiani non hanno dato esito.
Ufficialmente, ciò che si sa oggi sulla tragedia può emergere dagli atti parlamentari citati, dalle informative del ministero della Difesa e dell’Aeronautica apparse sui quotidiani dell’epoca e dalla causa civile contro la compagnia aerea Ali-Flotte Riunite intentata dal Torino per cercare di ottenere un risarcimento. Causa civile, da cui adesso citiamo uno stralcio fondamentale: «Vero è che tanto il Pubblico Ministero, nelle sue conclusioni, quanto il giudice istruttore, nella sua sentenza, hanno voluto, con senso di umana gentilezza e quasi di cavalleresco riguardo verso i piloti caduti, astenersi da ogni pronuncia circa la colpevolezza del loro comportamento, accontentandosi di porre, e lasciare senza risposta, in tono manzoniano, l’interrogativo: “Fu tale manovra colpevole?”». Ciò che avete appena letto è scritto nella comparsa conclusionale della causa civile di secondo grado (ricorso alla Corte di Appello di Torino, 1951): oggi, si desumono da qui, trascritte e riassunte, le motivazioni della sentenza del giudice istruttore.
Nella sua causa civile, il Torino imputa ai piloti la responsabilità della tragedia (imprudenza e negligenza: analisi dei fatti e tesi accusatorie). Gli avvocati del club fanno riferimento anche agli esiti di quelle indagini che oggi sono introvabili, fino a prova contraria. In ogni caso, in Tribunale il Torino fu sconfitto quasi a priori: la legislazione dell’epoca non riconosceva risarcimenti in casi come questi. Il Torino, danneggiato patrimonialmente dalla tragedia, chiese il risarcimento dei danni fino al terzo grado di giudizio, ma la Corte di Cassazione nel 1953 glielo negò sulla scorta del fatto che il diritto leso era un diritto relativo (diritto della società alle prestazioni sportive dei suoi atleti) e non un diritto assoluto, così «escludendo il nesso di causalità immediata e diretta fra il danno lamentato dall’Associazione Calcio Torino ed il sinistro occorso all’aereo» (cfr. sent. n. 2085/1953). Oggi, ovviamente, non è più così, sotto il profilo legislativo.
«Le ho cercate, non si trovano»: l'intervista a Stefano Radice
Lo storico Stefano Radice, autore del saggio appena pubblicato “Solo il fato li vinse”, dedicato alle memorie e alla rappresentazione del Grande Torino dal 1949 a oggi, ha compiuto negli ultimi anni lunghe, laboriose e complesse ricerche per recuperare resoconti e documenti dell’epoca non solo di fonte giornalistica: anche le carte ufficiali, in primo luogo. In particolare, le tre inchieste svolte all’epoca (civile, militare e giudiziaria, cui fece seguito la sentenza del giudice istruttore), e la relazione ministeriale di cui si parla nella pagina di sinistra.
Professor Radice, in quale direzione si sono rivolte le sue ricerche dei documenti ufficiali?
«Cominciamo da un riepilogo. La tragedia di Superga diede vita a tre inchieste distinte. Oltre a quella militare, che valutò gli aspetti legati all’assistenza tecnica del volo, ci fu un’inchiesta civile condotta dal Registro Aeronautico Italiano, che prese in esame e non rilevò la presenza di avarie, malfunzionamenti o problemi strutturali del velivolo, e un’inchiesta della Magistratura volta a stabilire le eventuali responsabilità nel disastro aereo contemplati dagli articoli 449 (delitto colposo di danno) e 589 (omicidio colposo) del Codice Penale. In merito a quest’ultima, all’Archivio di Stato di Torino risulta un fascicolo di istruzione formale a carico dei due piloti Meroni e Bianciardi, avviato d’ufficio dalla Procura di Torino subito dopo l’incidente. Vi posso far sapere che il direttore dell’Archivio mi ha scritto via email ribadendo che il fascicolo citato, formalmente protocollato e archiviato, non si trova nella serie dei fascicoli del giudice istruttore, e pertanto non è stata possibile la consultazione».
E l’inchiesta militare? E quella civile?
«Introvabili anch’esse, nelle sedi istituzionali. Aggiungo: gli esiti dell’inchiesta militare e di quella civile diedero vita a una relazione ministeriale i cui esiti furono presentati al Senato dal ministro della Difesa Pacciardi durante due interrogazioni parlamentari. Tuttavia viene da credere che tale relazione non sia mai stata depositata presso la presidenza del Senato, per cui venne negata ai deputati la possibilità di leggere e approfondire le indagini, pregiudicando di fatto l’istituzione di una Commissione di inchiesta parlamentare che avrebbe potuto avviare nuove indagini su quanto accaduto. Ancora nel novembre del 1949 il senatore Bisori presentò un’ultima interrogazione al ministro nella quale ribadiva l’importanza per ogni parlamentare di avere a disposizione i risultati dell’inchiesta. Ma la relazione ministeriale sembra svanita nel vuoto: com’è possibile? Ripeto: viene davvero da pensare che non sia stata depositata».
Incredibile. Una tragedia così grave... lutto nazionale, tutta l’Italia in lacrime, echi enormi nel mondo... Eppure, oggi: introvabili le inchieste, la relazione ministeriale e la sentenza del giudice istruttore.
«Proprio così. Ho cercato invano anche negli Archivi della Camera dei Deputati e del Senato, oltreché nell’Archivio di Stato di Roma. Tutto quello che noi oggi sappiamo sull’incidente, oltre alla ricostruzione che viene fuori dal dibattito parlamentare, proviene dalle informative del ministero della Difesa e dell’Aeronautica apparse sui quotidiani dell’epoca e dalla causa civile intentata dal Torino negli Anni 50 contro la compagnia aerea, di cui si può leggere la documentazione».
E quanto alla tempistiche delle inchieste?
«Con gli occhi di oggi può sembrare inconcepibile, ma non deve sorprendere che l’inchiesta civile e quella militare siano state rispettivamente chiuse nel giro di pochi giorni e di due settimane, senza una spiegazione che possiamo considerare soddisfacente».

Allarghiamo lo sguardo, allora.
«Per la sua drammatica unicità, la morte del Grande Torino fu un avvenimento di cui la politica cercò di appropriarsi. Toccò agli attori istituzionali fornire un’interpretazione della tragedia, in una fase storica di complessa transizione politica e sociale. Il mondo cattolico, in particolare, intuì meglio di altri l’importanza della tragedia sportiva per la mobilitazione degli italiani. Il trauma di Superga fu costruito ricorrendo alle risorse della tradizione: stili, rituali e codici commemorativi tanto semplici quanto densi di risonanze simboliche, di natura patriottico-romantica e religiosa. Ci si affidò alla retorica del culto dei caduti, sintesi tra il linguaggio laico del patriottismo e quello cristiano dell’espiazione sacrificale. Si parlò dei giocatori del Grande Torino come di soldati morti in battaglia, di eroi immortali in trasferta. Venne proclamato il lutto nazionale, cui seguirono funerali solenni, senza precedenti. Per giorni stampa e periodici riempirono le loro pagine con le notizie e le foto dei rottami, consegnando il Grande Torino al mito e gli aspetti più macabri dell’incidente ai lettori, affamati di particolari. Nulla venne risparmiato della vita e del dolore privato delle famiglie delle vittime, in mostra sui fogli patinati dei rotocalchi a grande diffusione. E alla fine del maggio 1949 la gara della solidarietà a Torino tra il River Plate e il “Torino Simbolo” mostrò ulteriormente anche la dimensione mondiale del lutto».
Però poi la memoria diffusa del Grande Torino ha conosciuto mutazioni, nel corso di 75 anni. Lo spiega bene nel suo libro.
«Riassumo sinteticamente. Presto il ricordo si affievolì fino quasi a scomparire, relegando i campioni a un oblio conservativo, in quella sorta di oscurità provvisoria che passa tra la celebrità del vivente e il balzo nel pantheon. Il dolore era stato troppo grande, l’incidente aveva fatto emergere i ritardi del Paese nella sicurezza degli aeroporti, la carenza del diritto del lavoro in ambito sportivo e la crisi del sistema calcistico. Inoltre il mito di quel Torino si era presto rivelato non più funzionale, nel corso degli Anni 50, alla visione politica di un’Italia protesa verso il benessere economico. Le istituzioni delegarono alle parti lese - il Torino, le famiglie dei defunti, i tifosi - il compito di ricordare per tutti: e così alla nazionalizzazione del dolore seguì la sua privatizzazione, la riduzione del fatto storico collettivo a una questione che riguardava i diretti interessati».
Prosegua nel calendario della storia.
«Un significativo risveglio della memoria pubblica avvenne verso la fine degli Anni 60, con l’inserimento della tragedia di Superga nel panorama della storia nazionale anche sull’onda emotiva della morte, nel ‘67, del giovane campione Gigi Meroni, nuovo martire dell’epica granata. Ma fu in specie nel decennio successivo, con il ritorno di un Torino finalmente grande sul palcoscenico del calcio nazionale, con lo scudetto del 1976 e l’inevitabile paragone con gli eroi scomparsi 27 anni prima, che la stagione del ricordo compì un salto qualitativo. Però quel nuovo Toro da sogno durò pochi anni. Nell’eterno presente degli Anni 80 lo sviluppo della cultura del ricordo del Grande Torino subì una nuova contrazione, in parte spiegabile anche con il mutamento della sensibilità degli italiani nei confronti di un passato ampiamente enfatizzato nel decennio precedente. Fu a partire dalla seconda metà degli Anni 90 che si verificò un nuovo rilancio della memoria pubblica del Grande Torino, segnata dalla necessità dei tifosi di proteggere i tanto cari “valori granata”, che il progressivo declino sportivo del club e la distruzione del glorioso Filadelfia sembravano minacciare».
Saltiamo all’oggi.
«Oggi la memoria del Grande Torino sembra entrata in una nuova fase, quella della sua istituzionalizzazione. Il presidente Mattarella ha riconosciuto di recente nella tragedia una pagina indelebile della storia della nostra Repubblica, mentre alla Camera dei Deputati è stato presentato un disegno di legge per l’istituzione della “Giornata nazionale dedicata alla memoria dei caduti del Grande Torino”, lavoro portato a termine già da anni dalla Regione Piemonte e dalla Città di Torino».
La storia degli altri sette aerei dello stesso tipo di quello che trasportava il Grande Torino (il trimotore Fiat G.212), caduti in circostanze anche misteriose tra il 1948 e il 1954. L’incredibile scoperta che appena 25 giorni prima della tragedia di Superga (4 maggio 1949) uno di questi sette aerei era precipitato a Tor Sapienza, Roma: ed era già il secondo Fiat G.212 andato distrutto in appena 10 mesi prima della tragedia del Grande Torino (9 vittime, considerando anche il primo disastro aereo in Belgio nel 1948; quindi i 31 caduti di Superga).
E poi le inchieste e la sentenza in Tribunale sulla tragedia del Grande Torino: sparite, non più rintracciabili, incredibilmente svanite nel nulla. Sparita l’inchiesta civile condotta subito dopo la sciagura in appena un paio di giorni dal Registro Aeronautico Italiano. Sparita l’inchiesta militare, chiusa in due settimane. Sparita addirittura la sentenza del giudice istruttore (procedimento penale avviato d’ufficio dalla Procura di Torino). Sparita persino la relazione ministeriale in Parlamento sulla tragedia, i cui esiti furono presentati in Senato nel corso del 1949.
Qui di seguito, disponibile liberamente anche in Rete, vi presentiamo in forma integrale la seconda parte dell' inchiesta che abbiamo pubblicato in esclusiva nelle edizioni cartacee di Tuttosport del 25 e 26 aprile 2024 (inchieste frutto di mesi e mesi di studi e ricerche anche in archivi istituzionali), con a corredo le preziose testimonianze di Luigi Troiani, professore universitario di Relazioni Internazionali a Roma, e dello storico Stefano Radice. Uno squarcio nelle nubi di mistero che avvolgono la tragedia.