Dall’ultima volta in cui fu intervistato da Tuttosport, si era nell’aprile del 2020 quindi in piena pandemia, nella vita di Pietro Arese tanto è cambiato: il mezzofondista italiano, torinese e torinista, è diventato professionista passando dalla Sa.Fa. Atletica alle Fiamme Gialle, ha conquistato un bronzo nei 1500 agli Europei di Roma, e quindi l’ottavo posto nella medesima specialità alle Olimpiadi di Parigi (sempre nel 2024). Il centro di gravità permanente, oltre alla pratica della mindfulness (esercizi di meditazione) mai abbandonata, è il tifo per il Toro.
Partiamo dall’atletica: è migliorabile, e nel caso fin dove, l’ottavo posto della finale olimpica?
«Negli ultimi anni, assieme ai miei allenatori, ci siamo posti obiettivi non irraggiungibili, ma tali da stimolarmi ad alzare l’asticella. Vincere le Olimpiadi sarebbe stato utopistico, ma non mi sarei potuto accontentare di arrivare primo ai campionati regionali. Abbiamo cercato di traguardare la migliore delle ipotesi e ci siamo riusciti. Volevo una medaglia agli Europei e la finale olimpica e ho raggiunto entrambe. Cosa è andato al di là delle aspettative è stato il tempo sui 1500: venivo da un 3’32”13 e pensavo di poter arrivare eventualmente a un 3’31’50».
E invece a Parigi ha chiuso con un clamoroso 3’30”74: si è sorpreso?
«Parigi mi ha dato qualcosa in più, non pensavo di poter migliorare tanto il record italiano. Tra l’8° e il 3° posto c’è tanto, ma anche da qui alle prossime Olimpiadi di Los Angeles c’è tanto tempo. Fin qui ho avuto una progressione che mi ha permesso di scendere di circa 3 secondi l’anno, se da qui al 2028 calerò il tempo di un secondo l’anno potrò puntare a una medaglia olimpica».
Ci dà l’assist per passare al Toro: i modesti risultati dipendono anche dall’assenza di obiettivi ambiziosi?
«Il nostro problema è che le partite hanno i minuti di recupero, nei quali noi siamo specialisti nel buttare via punti. È una battuta... molto granata, ma a parte gli scherzi non si capisce bene perché a turno Bologna o Atalanta, Fiorentina o Lazio, quindi club analoghi al Toro, debbano avere soddisfazioni che a noi sono negate. Non si è creato un circolo virtuoso: la mia generazione, che a Parigi ha vinto tanto, ha avuto l’esempio di Tokyo dove conquistammo 5 ori, nell’atletica. Il Torino ha provato ad alzare l’asticella nell’ultimo anno di Mazzarri, ma non ci è riuscito».
E si è arrivati all’ultima estate, quella della cessione di Buongiorno - digerita - e di Bellanova, che invece ha scatenato una contestazione verso Cairo senza precedenti. Come l’ha vissuta, da tifoso granata?
«Ci sono rimasto male. Non entro nelle dinamiche finanziarie di una società, visto che anche nell’atletica si creano dissapori, causati da ragioni economiche, nel passaggio di un atleta da una società a un’altra, però mi è dispiaciuto. Un’emozione particolare me l’ha procurata la cessione di Buongiorno: la comprendo considerato che il club ha incassato una bella cifra e che Alessandro è andato a giocare per lo scudetto, ma è chiaro che lui fosse il nostro riferimento».
Vista pure la contestazione in atto, con la Maratona che chiede di disertare lo stadio durante il primo tempo della sfida col Monza, è opportuno un cambio di proprietà?
«Penso sia il momento giusto. Il cambiamento in certi frangenti è importante, mantenere lo stato delle cose quando ciò è palese non va bene».
Cosa pensa dei primi mesi di Vanoli al Toro?
«Mi è piaciuto da subito il modo con il quale si è posto. In campo ha cuore caldo, fuori da esso la sua moderazione è un valore».
In stagione c’è stato un prima e dopo Zapata.
«Manca perché è forte e fa gol. È un singolo dentro un collettivo, ma un singolo decisivo. Una cosa però voglio dirla: la settimana con il Toro primo è stata la più bella della mia vita...».
Da un atleta a un gruppo di atleti: come si affronta una crisi?
«A me basta poco, nel senso che se sbaglio una gara la dimentico e il giorno dopo torno in pista a lavorare. Il Torino ha perso sei delle ultime sette partite di campionato, ma il passato non conta. Per come la vedo io i granata hanno perso una partita, il derby, e adesso devono soltanto guardare al futuro».
Che ai granata riserverà, appunto, la sfida contro il Monza ultimo.
«Una sfida tanto, tanto importante. Anche perché, scherzando ma non troppo, con i miei amici tifosi diciamo questo: le avversarie forti ci battono perché sono tali, mentre con quelle meno attrezzate perdiamo perché sbagliamo atteggiamento. Questa volta il Toro dovrà essere focalizzato sull’impegno: per il momento in cui arriva, la partita è davvero molto delicata».