© LAPRESSE"Il Toro è sempre nel mio cuore, come in un cassettino. Quando si apre e lo vedo, sorrido. Ma il più delle volte rimane chiuso e questo mi fa molto male". Perché rimane chiuso, Ferrante? "Il cassettino nel cuore? Per i risultati brutti della squadra. E perché vedo la contestazione, la delusione dei tifosi, i problemi mai risolti del tutto... Poche luci, pochi spiragli. Per carità, Cairo in 20 anni ha mantenuto la categoria, a parte quei 3 anni pesantissimi in B dopo la retrocessione del 2009. Ma se fa 30, non fa mai 31. Conosciamo bene la passionalità dei tifosi del Toro, ma anche il valore del brand e la profondità, l’unicità della storia del Toro. Il mondo ammira il Grande Torino. Ma il mondo sa che cos’è il Torino di Cairo, oggi? Le generazioni cambiano, i giovani del Toro vorrebbero affacciarsi in Europa, almeno in Conference. In Europa vanno altre squadre che sanno far sognare, emozionare i tifosi, senza essere delle big. Non c’è volontà di costruire una squadra all’altezza. Anche una società all’altezza. E il tifoso è stufo. È profondamente stufo. Si sente oppresso in un labirinto, ormai".
Anni fa un ex giocatore granata sentenziò: "Cairo sostituisce, non costruisce".
Chi lo disse? "Forse io?".
Ferrante e il modello Atalanta
Lei, sì. "Guardate l’Atalanta: ha uno scouting fantastico. Talenti sconosciuti comprati a poco e rivenduti a 50 volte tanto... Ogni anno guadagna e si rinforza, cresce... Ha costruito un centro sportivo meraviglioso, poi ha rifatto lo stadio... Ha una proprietà lungimirante e appassionata: penso ai Percassi, ora accompagnati anche da soci statunitensi... Ha una struttura dirigenziale straordinaria, amplia, forte, radicata... Anche il Bologna ormai è passato davanti al Torino, anche la Fiorentina... Sono tutte società che guardano meglio al futuro, con passione e strategie a lungo termine, con progetti di crescita continua... Con grandi ambizioni... Invece il Toro di Cairo è terribilmente provinciale... Cairo è uno degli imprenditori più potenti in Italia, in Europa è uno dei maggiori editori, ma come presidente di calcio è provinciale, tanto provinciale... E i tifosi soffrono. Perché sanno che cosa potrebbe essere il Toro, cos’era, e poi vedono la realtà: provinciale, provincialissima. Il Toro ormai fa crescere i giocatori per le altre squadre come la stessa Atalanta, questa è la verità. E se va bene, galleggia al 10° posto. Evidentemente questo vuole Cairo, non altro. Se no avrebbe fatto altre scelte, in 20 anni: come Percassi, per esempio".
Ci racconta bene di quando portò Gasperini da Cairo? "Diciamola meglio: quando portai Cairo da Gasperini. Era il 2011. Cairo cercava un allenatore e Gasp era libero. Mesi prima era stato esonerato dal Genoa. E doveva ancora andare all’Inter. Il giorno prima, insieme a un altro intermediario, incontrai Cairo a Milano. E pianificammo l’incontro con Gasperini, che io conoscevo bene: da tempo avevamo ottimi rapporti, lo stimavo già moltissimo. Il giorno dopo ci ritrovammo tutti da Gasp a Genova. E il colloquio tra lui e Cairo fu molto, molto positivo. Ma poi Cairo cambiò idea. Oppure gli fecero cambiare idea. E prese Ventura, già il giorno dopo. Gasp e io rimanemmo di sale, spiazzati, increduli. Era fatta, serviva solo un altro incontro per stendere e firmare il contratto... A Bergamo, Gasp sarebbe andato solo 5 anni dopo, figurarsi!".
