Torino, paradosso Bremer: incedibile ma anche no

Venderlo sarebbe una follia, però è l’unico granata che in questi mesi è diventato una grossa plusvalenza per Cairo e che con Belotti è molto richiesto sul mercato
Torino, paradosso Bremer: incedibile ma anche no© www.imagephotoagency.it

TORINO - Se Belotti è paradigmatico per il Toro in quanto unico campione assodato nell’organico e soprattutto simbolo eccezionale (nel senso che rappresenta un’eccezione) di valori granata ancora condivisibili con la tifoseria, Gleison Bremer è paradossale. Per il Toro, sempre. Lo è perché ha conquistato la titolarità scrollando si faticosamente, disciplinatamente, ostinatamente, definitivamente di dosso in due anni da subalterno l’etichetta - a seconda dei gusti e del sarcasmo - di ripiego, di pacco, di invenzione dell’ex ds Petrachi. Il quale lo scovò nel 2018 nell’Atletico Mineiro per rattoppare la difesa (e secondo molti per indorare la pillola alla piazza) dopo l’estenuante e fallimentare trattativa per l’altro centrale brasiliano Verissimo. In ogni caso, sempre e comunque riserva di ruolo, anche quando giocava al fianco di Izzo e Nkoulou. Lui, professionista esemplare, soldato di Dio come Ansaldi, abituato a pregare con l’argentino e pure con il connazionale e ora compagno di retroguardia Lyanco, non ha mai fatto storie o rotto le scatole: ha affinato le sue doti tecniche, ha lavorato sulla disciplina tattica, è cresciuto atleticamente lavorando sempre con serietà e applicazione al Filadelfia.

Gli obiettivi

Sognando di diventare più bravo e simile al suo idolo Lucio, l’ex gigante interista del Triplete mourinhiano, ma tenendo ben presente nella mente anche il proposito di aprire una scuola calcio in Brasile a fine carriera. Ha messo su famiglia, sposando Deborah con la quale ha festeggiato due mesi fa la nascita di Agatha che lo ha reso padre a ventitré anni. Ha atteso le sue occasioni con Mazzarri, se le è giocate come ha potuto - a volte bene, altre così così - in relazione alla scarsa esperienza sua e anche agli sbandamenti di chi avrebbe dovuto aiutarlo, finché ha dimostrato di meritarsi un posto fisso alla povera tavola granata: con Longo prima, con Giampaolo adesso. [...]

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