Possanzini, il Toro e il tifo per la Juve
Quanto le è rimasto dello spirito Toro?
"Ho cominciato da quel settore giovanile. Mio padre come premio per la promozione dalla quinta elementare mi regalò uno stage estivo a Cesenatico alla scuola calcio di Gigi Gabetto, il figlio di Guglielmo. Mi notarono gli osservatori ed entrai in un mondo magico. Ricordo il primo giorno al Filadelfia, anche se non era bello come oggi. C'era l'abitudine di passarsi le scarpe di pelle di anno in anno: presi quelle usate da Porfido e Bolognese, per me erano le più belle del mondo. Salire a Superga era ogni anno una grande emozione, con Sergio Vatta quel vivaio era un gioiellino e i derby con la Juve sentitissimi sin dai Giovani».
Il suo sogno si fermò in Primavera quando Claudio Sala le disse che non avrebbe mai potuto fare il professionista...
«Ci andava giù pesante, poi in quel periodo ebbi anche qualche problema fisico. Il percorso di un giocatore dipende anche da chi incroci, per quello cerco di avere sempre un certo tipo di rapporto con i miei ragazzi. Anche certe delusioni ti aiutano però a crescere e ad alzare l'asticella delle tue ambizioni. Certe cose poi ti tornano indietro: il giorno della finale playoff Brescia-Torino, che vinsi da capitano, io ero in campo e lui a fare l'opinionista in tv...».
