Gianni Agnelli, Platini: "Classe e intelligenza, una fetta della mia vita"

«Mi parlò sempre in francese, fin dalla prima telefonata. Gli regalai uno dei miei Palloni d’Oro e in cambio me ne diede uno di platino. Fu un’amicizia vera e rispettosa»
Gianni Agnelli, Platini: "Classe e intelligenza, una fetta della mia vita"

La storia ebbe inizio la sera di martedì ventitré febbraio del millenovecentoottantadue. Parigi, stadio Parco dei Principi. L’Italia di Enzo Bearzot, quella stessa che avrebbe vinto il mondiale di Spagna, cinque mesi dopo, gioca in amichevole contro la Francia. Gli azzurri scendono in campo con questa formazione: Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali,Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Pruzzo,Dossena, Graziani. Michel Hidalgo risponde con: Baratelli, Amoros, Janvion,Tigana, Lopez, Tresor, Soler, Giresse, Lacombe, Platini, Six. Sempre per la cronaca, l’arbitro è il tedesco dell’ovest Eschweiler. Finisce 2 a 0 per i francesi: Bravo segna il raddoppio a sei dalla fine, ma è quello che accade dopo diciannove minuti a cambiare la storia della Juventus. Michel Platini segna il gol del vantaggio, gioca una partita magistrale, pur essendo marcato da Marco Tardelli. Il particolare non sfugge a chi sta seguendo l’amichevole in tivvù. Gianni Agnelli intuisce che il numero dieci della nazionale francese è di un’altra categoria, chiede informazioni sullo stesso, contatta al telefono il direttore de l’Equipe, Edouard Seidler. Platini era a fine contratto con il Saint Etienne, fu la risposta. Qui comincia l’avventura. Agnelli telefona a Boniperti, è quasi notte ormai, gli dice di spedire in Francia un emissario che definisca la trattativa, sul volo privato parte Franco Barettini illustre figura, grande diplomatico, amico del presidente juventino. Platini ha un procuratore, Bernard Genestar, è lo stesso che cura gli affari di numerosi artisti francesi, tra questi Johnny Halliday. Si procede, si definisce, Gianni Agnelli porta alla Juventus il campione.

E poi?
«E poi, una volta in sede, erano proprio le ultime ore del calciomercato, Boniperti mi passa al telefono l’Avvocato. L’Avvocato? Per me non era nessuno, non sapevo chi fosse, per me gli avvocati erano già presenti per la stesura del contratto. Avvocato Agnelli, mi spiega Boniperti. E l’Avvocato mi parla in francese, perfetto, e da quel momento per sempre si è rivolto nella “mia” lingua. Forse non vedeva l’ora di poter parlare francese liberamente, e non di affari, con qualcuno».

Che cosa le disse?
«Benvenuto. Sappia che vogliamo vincere la Coppa dei Campioni. Boeuff, risposi, ci provo».

Forse lei in Francia, tra Nancy e Saint Etienne, non era abituato a frequentare personaggi e personalità del genere
«Ah sì? Perché Jean Luc Lagardère o Jacques Georges non lo erano? E Fernand Sastre che era stato il presidente del Nancy Lorraine, la squadra di cui mio padre era il capitano, lo stesso Sastre che diventò capo del calcio francese, raddoppiando il numero di tesserati e arrivando a essere il presidente del comitato organizzatore dei mondiali del 1998?»

Avevano la stessa passione di Agnelli?
«La stessa discrezione, lo stesso rispetto, lo stesso interesse verso i tifosi»

Come Agnelli?
«L’Avvocato aveva una eleganza di modi, di comportamento. Non invadeva mai la vita altrui, non interveniva in eventuali discussioni, conservava lo stesso equilibrio sempre, a Villar Perosa, allo stadio, negli spogliatoi, accompagnando, a volte, i silenzi e gli sguardi con una battuta pronta».


Famosa quella rivolta a Tacconi
«Beh, Dino Zoff era passato alla Nazionale Olimpica, la sua esperienza era stata decisiva, in campo e da allenatore dei portieri. Agnelli domandò a Stefano come si sentisse: “Mi manca molto Zoff”, replicò e l’Avvocato, al volo: “Sapesse quanto manca a noi”. Fulminante».

Torniamo a Gianni Agnelli. A parte i ricordi di affetto, che cosa conserva di quegli anni?
«Un orologio con la sua firma ma lo donò a tutta la squadra. Un Pallone di platino che mi regalò quasi come risposta al mio “gol”. Per i suoi settant’anni gli offrii il mio primo Pallone d’oro, con un bigliettino: questa è l’unica cosa che Lei non potrà mai avere».

E la sua risposta?
«E tutto d’oro davvero? No, gli dissi, se fosse stato tutto d’oro non glielo avrei regalato».

Quale fu l’occasione del regalo?
«L’Avvocato invitò i suoi più cari amici da Maxim’s a Parigi. C’ero anche io, forse l’unico del calcio. Ricordo Henry Kissinger e la figlia di Pablo Picasso e altre personalità italiane».

Sa dove si trovi quel Pallone d’oro?
«Nella casa di Parigi. Me l’ha detto John, John Elkann».

Nessun altro oggetto?
«Mi regalò un cane, un Husky, si chiamava Duff, era bellissimo. Ne avevo visto una cucciolata nella villa di Torino, l’Avvocato mi fece una promessa e così fu. Duff, però, era cittadino, alla prima nevicata a Nancy se la svignò davanti al camino».

Se non ricordo male anche una Ferrari
«Non ricorda del tutto bene. Una Ferrari Mondial, mi fece lo sconto ma la pagai regolarmente».

L’amicizia non si fermò allo spogliatoio
«No, quando passava, con la sua barca, dalle parti di Cassis, mi telefonava e mi invitava a bordo, andavo a trovarlo per parlare di calcio, di futuro».

Un rapporto unico, quasi esclusivo
«Un’amicizia rispettosa, una fetta della mia vita e della mia carriera che non potrò mai dimenticare. Se ho giocato con la Juventus lo devo a quella sera di Parigi, a quel gol all’Italia, a quella telefonata notturna». In francese, ça va sans dire.

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