Il sessismo negli esports: a che punto siamo?

Gli esport sono una delle competizioni più democratiche esistenti: un uomo e una donna possono competere allo stesso livello eppure esistono i tornei femminili e fanno ancora discutere.
Il sessismo negli esports: a che punto siamo?

I tornei di videogiochi sono aperti a tutti: nei regolamenti solitamente non esiste un’indicazione relativa al genere dei partecipanti. Chiunque, indipendentemente quindi dall’essere nato uomo o donna, può iscriversi ai maggiori tornei professionistici, partecipare e competere ad armi pari per i cospicui premi messi in palio. Ad esempio, nei tornei di Dota2, un Moba sviluppato da Valve, sono stati distribuiti circa 235 milioni di dollari; eppure, come ha rilevato Esportsmag.it, solo lo 0.002 percento è andato in tasca a donne, 6300 dollari totali. Se si guardasse ad altri titoli, incredibilmente, non finirebbe neanche così bene: alcuni videogiochi non hanno mai avuto sul podio una donna in tutta la storia delle loro competizioni.

Il sessismo c'è

Il movimento esport è sempre stato pervaso da un maschilismo tossico ed è raramente avvicinabile dal genere femminile: sui server gli episodi di sessismo sono all’ordine del giorno e molte giocatrici preferiscono celarsi dietro avatar e nickname maschili per essere prese maggiormente sul serio dai propri oltranzisti colleghi. Recentemente la polemica si è infiammata intorno alla creazione di tornei dove, per regolamento, possono partecipare solo appartenenti al genere femminile: la community online, spesso e purtroppo con la partecipazione di eminenti voci maschili, riduce l’esistenza di questi eventi ad un contro senso negativo per il movimento.

Uomini e donne non sono uguali?

In termini di abilità mentali sui videogiochi non sussistono basi scientifiche per dividere maschi e femmine in differenti categorie. La critica più rilanciata, infatti, è la seguente: se l’esport è il massimo dell’uguaglianza di genere, perché non si dovrebbe giocare sempre insieme per promuovere l’inclusività? A chi afferma quanto appena scritto andrebbe spiegato che esiste un’altra disciplina, un ex sport olimpico, col quale una donna ed un uomo possono partecipare allo stesso livello.

Gli scacchi come esempio virtuoso

Stiamo parlando ovviamente degli scacchi, gioco i cui primi tornei organizzati esistono dalla metà del diciannovesimo secolo, ed erano ovviamente dedicati solamente agli uomini anche per motivi storici e culturali. Dagli anni ‘50, però, le donne hanno cominciato ad avere tornei a loro esclusivamente dedicati, fino alla proclamazione di Lyudimla Rudenko come prima campionessa mondiale nel 1950. L’esistenza di questi eventi ha permesso ed accelerato un processo di professionalizzazione delle giocatrici non solo teorico. L’ELO delle scacchiste, un sistema per calcolare i livelli di abilità relativi, ha avuto un’impennata dagli anni 60 in poi, proprio dopo la creazione di un circuito professionistico femminile.

Più iniziative

A ridurre questo gap di abilità sono state le possibilità di carriera ed economiche messe a disposizione dall’esistenza di tornei e di premi. Nell’esport non c’è alcuna ragione per pensare ad un output differente e ogni iniziativa volta a rendere più brillante la stella delle giocatrici dovrebbe essere accolta con entusiasmo da tutta la community. Perché da un esport realmente più inclusivo c’è solo da guadagnare: aumenterebbero spettatori, investimenti e soprattutto il grado di civiltà.

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