Binotto-Ferrari, da Elkann a Leclerc: tutti i motivi dell’addio

Il team principal ha deciso di dimettersi: impossibile andare avanti senza avere piena fiducia
Binotto-Ferrari, da Elkann a Leclerc: tutti i motivi dell’addio© Getty Images

Dopo la vittoria di Charles Leclerc in Australia (terza gara della stagione, secondo centro del ferrarista dopo il successo nella prova inaugurale in Bahrain) nessuno avrebbe pensato - o forse nemmeno avrebbe potuto pensare - che a fine stagione si scatenasse l’inferno a Maranello. Né che Mattia Binotto, l’uomo che - pur con varie difficoltà - aveva traghettato la Ferrari dalle secche del post-Vettel sino al secondo posto del Mondiale, si sedesse alla scrivania per scrivere la lettera di dimissioni. Invece è accaduto. La stagione è proseguita sino a metà estate con una appassionante testa a testa tra il pilota monegasco e Max Verstappen, ma alla fine il pilota olandese e la Red Bull sono riusciti a prevalere senza se e senza ma. Il che ha dato la stura ai malumori.

Le dimissioni una strada obbligata

Leclerc deluso

Attenzione: non si parla di qualche mal di pancia serpeggiante dentro alla Ferrari (ci lavorano centinaia di persone, è naturale che qualcuno non sia contento), ma del senso di delusione che si è impadronito di Charles Leclerc. Deluso, il monegasco, per non avere avuto un’auto competitiva lungo tutto il campionato e deluso soprattutto del fatto di non essere mai riuscito a ottenere lo status di prima guida. Non nel contratto (normale, non c’è mai una clausola di questo tipo), ma nemmeno in pista. A parte questo, ha pesato una certa distanza - più o meno reale, comunque percepita come tale da Binotto - da parte dei vertici aziendali, a cominciare dal presidente John Elkann. Quando quest’insieme di voci, illazioni e pettegolezzi è sfociato in una tempesta mediatica che s’è abbattuta tra il GP del Brasile e quello di Abu Dhabi, la Ferrari se l’è cavata con la smentita formale di qualsiasi ipotesi di siluramento di Binotto. Il minimo sindacale, diciamo.

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Le dimissioni di Binotto

Sarebbe stato diverso se il presidente avesse scelto di esporsi in pubblico, cosa che non ha fatto. O se l’amministratore delegato Benedetto Vigna, senza mai intervenire nel merito della questione, non avesse dichiarato in un’intervista televisiva (non rilasciata ieri, né dopo le voci sulle dimissioni, ma quattro giorni fa) che «il secondo è il primo degli sconfitti»: una frase cara a Enzo Ferrari e consegnata alle biografie sul Fondatore. In questo contesto, di strade da percorrere non ce n’erano molte. O scegliere di ignorare la questione, con il rischio di finire sulla graticola già a inizio della stagione 2023. Oppure dimettersi. Ed è stata la scelta del Team Principal.

Il problema che preoccupa Leclerc e Sainz

Binotto, cala il sipario

Binotto è legato alla Ferrari con un contratto valido sino alla fine del 2023 e come sempre avviene in questi casi si tratta sulla risoluzione consensuale. Ma vista che la sua volontà è precisa ed esplicita e quella della Ferrari, pur implicita, è altrettanto precisa, non sarà difficile trovare una soluzione. Certo, esiste sempre l’opzione “dimissioni respinte”. Ma non sembra questa l’aria che tira sull’asse tra Torino e Maranello, anche perché darebbe l’idea di una situazione rabberciata. Ormai il dado è tratto, sull’era Binotto è calato il sipario.

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Dopo la vittoria di Charles Leclerc in Australia (terza gara della stagione, secondo centro del ferrarista dopo il successo nella prova inaugurale in Bahrain) nessuno avrebbe pensato - o forse nemmeno avrebbe potuto pensare - che a fine stagione si scatenasse l’inferno a Maranello. Né che Mattia Binotto, l’uomo che - pur con varie difficoltà - aveva traghettato la Ferrari dalle secche del post-Vettel sino al secondo posto del Mondiale, si sedesse alla scrivania per scrivere la lettera di dimissioni. Invece è accaduto. La stagione è proseguita sino a metà estate con una appassionante testa a testa tra il pilota monegasco e Max Verstappen, ma alla fine il pilota olandese e la Red Bull sono riusciti a prevalere senza se e senza ma. Il che ha dato la stura ai malumori.

Le dimissioni una strada obbligata

Leclerc deluso

Attenzione: non si parla di qualche mal di pancia serpeggiante dentro alla Ferrari (ci lavorano centinaia di persone, è naturale che qualcuno non sia contento), ma del senso di delusione che si è impadronito di Charles Leclerc. Deluso, il monegasco, per non avere avuto un’auto competitiva lungo tutto il campionato e deluso soprattutto del fatto di non essere mai riuscito a ottenere lo status di prima guida. Non nel contratto (normale, non c’è mai una clausola di questo tipo), ma nemmeno in pista. A parte questo, ha pesato una certa distanza - più o meno reale, comunque percepita come tale da Binotto - da parte dei vertici aziendali, a cominciare dal presidente John Elkann. Quando quest’insieme di voci, illazioni e pettegolezzi è sfociato in una tempesta mediatica che s’è abbattuta tra il GP del Brasile e quello di Abu Dhabi, la Ferrari se l’è cavata con la smentita formale di qualsiasi ipotesi di siluramento di Binotto. Il minimo sindacale, diciamo.

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