La vita è perfetta se c'è Messi

Con la sua biografia dedicata al fuoriclasse argentino Fabrizio Gabrielli scava in profondità nell'uomo e nel campione
La vita è perfetta se c'è Messi© Getty Images

TORINO - Ci vorrà poi un capitolo aggiornato all’avventura americana, ma intanto Fabrizio Gabrielli con la nuova edizione di “Messi” (66thand2nd, 316 pagine, 18 euro) ha scritto un punto fermo nella storia del fuoriclasse di Rosario, arrivando a celebrare quel titolo mondiale in Qatar che ha cancellato - o reso meno pesanti dentro la sua anima - le tante delusioni raccolte con la maglia dell’Argentina. La bravura di Gabrielli non consiste soltanto nell’accuratissima ricerca nella memoria e negli archivi per sezionare in ogni dettaglio la storia del più grande calciatore contemporaneo. C’è di più. C’è l’abilità di scavare nell’uomo e nel campione con una sottigliezza psicologica sopraffina, importante in qualsiasi biografia ma certamente fondamentale di fronte alla fragilità direttamente proporzionale alla bravura della Pulce. Una base culturale non indifferente rappresenta lo stimolante filo conduttore che attraversa la filosofia e l’architettura, la letteratura e il cinema, la storia con la esse maiuscola e la storia con la esse minuscola.

Esistono delle parole chiave che aiutano Gabrielli a indagare nella fenomenologia di Messi. La prima, facilmente immaginabile, è rapidità. «Messi, soprattutto il primissimo Messi, è un cloridrato di rapidina. Di lui colpisce la velocità, anzi, meglio: la rapidità. Di movimento, di pensiero. Nel calcio moderno, la velocità è un prerequisito indispensabile. Ma la velocità, si sa, porta spesso alla collisione. Messi, alla velocità, univa, unisce, ha sempre unito, la capacità di compiere la scelta giusta». Si ricollega, in maniera del tutto naturale, alla seconda: la capacità decisionale. «Il genio di Lionel Messi è tutto nella sua capacità decisionale. Il calcio, nella sua essenza più profonda, è un gioco fatto di decisioni. Se guardi un video in cui Messi ha il pallone, come suggerisce di fare Guardiola, e metti pausa, e analizzi le varie scelte: quando tornerai a spingere il tasto play vedrai che Lionel Messi avrà fatto la più giusta». La terza parola chiave è - come dire... - coraggiosa ma illuminante: cane. «Non è un caso che uno dei saggi più centrati su questo atteggiamento di Leo sia quello che Hernán Casciari ha intitolato “Messi es un perro”. Messi è un cane. Un cane perché non riesce a distogliere il pensiero dalla rincorsa della palla: il suo è un vero e proprio riflesso pavloviano. Un cane perché non riesce a distinguere la sua vita dalla rincorsa della palla».

Avanti con un’altra parola chiave: silenzio. «John Carlin, un giornalista inglese, nel 2009 ebbe il privilegio di intervistare Messi due volte, poi assicurò che se gli avessero offerto una terza possibilità, l’avrebbe gentilmente declinata. Nel suo eclissarsi, nel suo rifuggire i protagonismi, Messi è - nel panorama calcistico di alto livello - un’eccezione: il suo però è anche un gesto politico, poiché finisce per assumere i connotati di un rifiuto dell’idolatria, smentendo il concetto - molto argentino invero - che senza un caudillo non si vada da nessuna parte. “Dolcezza di non aver nulla da dire, diritto di non aver nulla da dire: è questa la condizione perché si formi qualdosa di raro o di rarefatto che meriti, per poco che sia, di essere detto”, ha scritto Deleuze». Ci sono anche le parole, ovvio, e ci sono le sconfitte che rendono Lio umano troppo umano. E ci sono le vittorie. C’è la Vittoria, quella assoluta, quella del titolo mondiale: «Era questo, il finale che meritava Leo. Ma era ancor di più questo il finale che meritava la letteratura. Il calcio sa essere spietato, crudele, disumano. Ma vedere Leo sulle ginocchia per la gioia significa pensare, almeno per un momento, che la vita può essere perfetta».

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