TORINO - Sono le tre del mattino, è ormai il cinque maggio, lo scudetto è tornato come le rose, come nella canzone, sorrido ancora di una contentezza stupida e mi domando se di nuovo per mio padre stia passando la scritta con il risultato finale in sovrimpressione.
Si conclude così “Il Napoli e la terza stagione” (66thand2nd, 160 pagine, 16 euro), il libro di Gianni Montieri - poeta e appassionato di letteratura e sport, di cui scrive con bravura e competenza su siti e riviste online: due anni fa ha pubblicato, per la stessa casa editrice, “Andrés Iniesta, come una danza” - dedicato alla straordinaria cavalcata che ha portato allo scudetto. Il padre non c’è più e di lui Montieri parla già nel capitolo iniziale, nel quale rievoca il celeberrimo gol su punizione segnato da Diego Maradona alla Juventus nel piovoso pomeriggio del 3 novembre 1985, quando l’adolescente Gianni allo stadio non poteva andare e ascoltava la radiocronaca di Enrico Ameri a Tutto il calcio minuto per minuto mentre il padre, appassionato anomalo, fingeva distacco accontentandosi di vedere passare la scritta in sovraimpressione con gli aggiornamenti dei risultati durante le trasmissioni televisive della domenica. «C’è voluto tanto, sono passati moltissimi anni, ma abbiamo saputo aspettare. Il seme ha ritrovato acqua, ossigeno, terreno, ed ecco il germoglio, ed ecco il frutto, ed ecco - se preferite - il fiore. E per mio padre, ovunque si trovi, sta di nuovo passando la scritta in sovraimpressione», scrive Montieri, riuscendo a fondere in maniera ammirevole ciò che appartiene a tutti e le vicende del suo privato.
Per l’autore del libro il Napoli rappresenta un filo prezioso che lo riconduce all’infanzia e alla giovinezza, a quando viveva da quelle parti - è nato a Giugliano - prima di trasferirsi al Nord: ora sta a Venezia, «napoletano... ma no emigrante», per dirla col Massimo Troisi di “Ricomincio da tre”, tanto citato per questo terzo scudetto azzurro. In diciotto capitoli Montieri passa in rassegna le partite e i personaggi senza mai indulgere nella retorica, facendo iniziare questo campionato dalla strana estate del 2022, quando Koulibaly, Insigne e Mertens lasciarono il Napoli e «bisognava dimenticarsi l’affetto e ricominciare a programmare», operazioni che crearono non poco malumore verso De Laurentiis, «uomo che non brilla per simpatia, ma sicuramente capace di amministrare un patrimonio». Scava in profondità, Montieri, nella psiche dei protagonisti, come per esempio nel caso - forse più clamoroso, considerato quanto è successo nelle ultime settimane - dell’allenatore: «Spalletti ha avuto molti meriti e poche colpe, mi sono augurato che rimanesse (il riferimento è a un anno fa, n.d.r.), per fortuna è andata così, e la sua seconda stagione a Napoli è coincisa con quella che chiameremo da qui a sempre: la terza stagione. Eppure, anche se naturalmente oggi, saliti sul carro del vincitore Spalletti, negherebbero, in diversi volevano che andasse via (...) Un uomo che - riconosciamogli qui un ultimo talento, e non certo il meno significativo - ha capito la città senza diventarne ostaggio, senza esserne preda». Tanto da dire ok, va bene così, è stato bello, ma adesso ricordiamoci che «a volte per amore si lascia».
Già, lasciarsi e lasciare andare. C’è ancora e sempre Maradona nella testa di Montieri e di tutti i tifosi: «A gennaio ricomincia il campionato, Diego, e io credo che il Napoli possa vincerlo, che possa arrivare in fondo brillando come ha fatto fino ad ora. Insomma, ti chiedo di lasciarci andare, tu penserai - sorridendo, magari - che dovremmo essere noi a lasciare andare te. Hai ragione ma non ne siamo capaci, non del tutto».