Paton: dopo 50 anni, il primo modello stradale

Per chi ha iniziato a seguire le gare del motomondiale negli anni Ottanta, il nome Paton era legato alla classe 500 del motomondiale. Per chi guardava solo la classifica, la moto italiana dalla carena verde era una delle perdenti, di quelle che quasi non venivano riprese dalle telecamere "rapite" dai bolidi dei colossi giapponesi Yamaha, Honda, Suzuki e Kawasaki. Per i più romantici, invece, la Paton era frutto di una grande passione, di risultati importanti (soprattutto in ambito europeo e italiano) e di enormi sforzi economici e non fatti in oltre 30 anni di arrività da una piccola realtà lombarda con le corse nel sangue. 

Nata nel 1958 dalla passione di due tecnici del calibro di Giuseppe Pattoni e Lino Tonti (entrambi lasciati liberi dalla fallita Mondial, Casa di cui all'inizio utilizzano il materiale per costruire le prime moto), si fa strada prima nelle piccole cilindrate (con una Paton 125 corse anche un certo Mike "The Bike" Hailwood) e poi, dopo l'addio di Tonti e il proseguo dell'avventura solitaria di Pattoni, nelle classi 250 e 350 degli anni 60 con alcuni fortunati modelli bicilindrici. Gli anni d'oro arrivano con il debutto in 500 e la vittoria del titolo italiano con Bergamonti nel 1967 e alcuni piazzamenti da podio nel mondiale dal 1968 al 1970 con Stevens e Nelson. La storia della Casa verde prosegue con la realizzazione di un motore due tempi a quattro cilindri, portato in pista a metà degli anni Settanta da Virginio Ferrari e poi con i telai costruiti da Claudio Colombo, che fecero la fortuna delle moto Paton degli anni 80 e 90. Tra i piloti scesi in pista in quegli anni, Marcellino Lucchi, Marco Papa, Sebastien Gimbert, Paolo Tessari e Vittorio Scatola, autore tra l'altro di un terzo posto nell'europeo del 1988. Con la morte di Pattoni, datata 1999, inizia il declino dell'azienda, che due anni più tardi parteciperà al suo ultimo campionato mondiale e poi si ritirerà dalle scene agonistiche per volere del figlio di Giuseppe, Roberto.

In realtà, negli anni successivi, per Paton ci fu qualche apparizione (vittoriosa) nelle gare su strada come il Manx Grand Prix con una replica di una 500 bicilindrica del 1968. Alla fine del 2009, inoltre, la Casa italiana produsse in serie limitata una 500 Gran Premio, per uso pista, commercializzata l'anno successivo. A distanza di tredici anni dall'ultima apparizione sulle piste del motomondiale, la Paton è pronta a tornare sulle scene motociclistiche: stavolta non lo farà in pista ma… su strada, con un prodotto destinato al mercato. Si tratta della S1, un modello che nell'estetica richiama le Paton degli anni Sessanta ma con dotazioni assolutamente all'avanguardia. A prima vista, saltano all'occhio la classica colorazione "verde" con tanto di tabelle portanumero sui fianchi e sul frontale (un voluto richiamo alle gare), il piccolo doppio faro anteriore che non sporca la splendida linea retrò, il terminale di scarico a "sigaro" e una sella monoposto che non lascia dubbi sullo spirito sportivo di questa moto. Equipaggiata con il motore della Kawasaki ER-6N da 649 cc bicilindrico in linea, a quattro tempi, raffreddato a liquido e alimentato ad iniezione elettronica (potenza 53 Kw a 8.500 giri/min), vanta un cambio estraibile a 6 rapporti e una frizione multitisco. Interessante la scelta del telaio realizzato artigianalmente in tubi saldati in acciaio ad alta resistenza mentre per la ciclistica ci sono anche una forcella regolabile con steli da 43 mm e un doppio ammortizzatore posteriore Ohlins anch'esso regolabile. Per l'impianto frenante, invece, ci sono un doppio disco anteriore da 295 mm e un singolo posteriore da 220. La S1 pesa 158 kg a secco, ha un serbatoio carburante da 16 litri, può raggiungere la velocità massima di oltre 215 km/h e vanta un'accelerazione da 0 a 100 in 3,9 km/h. Mica male, per il ritorno sulla scena della gloriosa Paton…

© RIPRODUZIONE RISERVATATutte le news di Novita