Dakar e Perlini, camion italiano che dominò gli Anni '90

I successi di Perlini tra lattine di tonno e la pipì insieme al gasolio. Tutto è nato da Regazzoni
Dakar e Perlini, camion italiano che dominò gli Anni '90

La storia di Perlini alla Dakar è piena di curiosità: in primis per il periodo in cui è andata in scena, da fine anni Ottanta ai primi anni Novanta, quando la rete iniziava a farsi largo solo tra i nerd, ma forse anche perché dietro non c’era nessun personaggio da copertina e nessun colosso automotive con montagne di denaro da investire.

Nonostante ciò Perlini, uno dei più importanti player mondiali nel settore del dumper fuoristrada, ha conquistato quattro successi consecutivi nella categoria camion tra il 1990 e il 1993: un poker risucito solo a Mercedes-Benz negli anni Ottanta (con il successo italiano nel 1986 firmato Giacomo Vismara e Giulio Minelli) e ai russi Kamaz tra il 2002 e il 2006. In quegli anni l’azienda di San Bonifacio ha fatto conoscere al mondo quello stile italiano fatto di pazzia, genialità e incoscienza, sia in termini meccanici sia di spirito.

Sortunatamente l'azienda Perlini ha dichiarato fallimento lo scorso aprile ma visto il know-how e le imprese realizzate, non solo sportive ma soprattutto nel settore edile (dalla Diga di Gezhouba al secondo ponte sul Bosforo), alcuni nuovi soci stanno cercando di rimettere in piedi l'azienda fondata nel 1957 da Roberto Perlini con il nome di "Officine Meccaniche Costruzioni Perlini": la scelta di puntare alle competizioni sportive risale ai primi anni Ottanta con l’obiettivo dichiarato di mettere definitivamente alla prova i propri mezzi e componenti in condizioni esasperate.

Vien da sé la decisione di affrontare la gara più affascinante e massacrante, la Dakar, allora ancora Parigi-Dakar. Dalle esperienze nella produzione di veicoli "all-terrain" e mezzi speciali, in particolare dei modelli 131 e 105 F, nasce dunque il truck Perlini. L’esordio del Perlini 105F 4x4 alla Dakar avviene nel 1988, con il quarto posto assoluto firmato Jacques Houssat, Thierry de Saulieu e Danilo Bottaro, primi nella categoria camion di serie. La vittoria è dietro l’angolo e arriva al Rally dei Faraoni del 1988 seguita dall’epopea d’oro alla Parigi-Dakar e il successo alla Parigi-Mosca-Pechino del 1993.

Dietro le vittorie ci sono molti uomini in gara ma anche tanti dietro le quinte: tra loro Francesco Perlini, il figlio del fondatore Maurizio e due volte vincitore nel 1992 e nel 1993 con la collaborazione del fido scudiero Giorgio Albiero, sedici Dakar da pilota e copilota a partire dal 1989, passando per Claudio Vinante, unico denominatore comune di quella squadra Perlini che nel 1990 coglie il primo storico successo insieme a Giorgio Villa e Giorgio Delfino.

Era il 1987 quando, insieme al padre Roberto, Maurizio disegna un camion per partecipare alla Dakar su richiesta di Clay Regazzoni: l’ex pilota di F1, dopo la paralisi in seguito all’incidente del 1980 a Long Beach, decise di mettersi alla prova nelle numerose e massacranti "maratone" africane a bordo di auto o anche di truck. Tutto era ormai pronto ma all’ultimo, Regazzoni si ritira dal progetto Dakar e allora sul bestione da 12 tonnellate sale Francesco: a 27 anni prende parte al Rally dei Faraoni del 1988 e lo vince iniziando la sua carriera nei rally raid. Non fosse stato per Clay...

Sembra un paradosso ma la Dakar è anche questa. Perdere (o anche vincere) per una sicurezza eccessiva. Dipende a cosa si fa riferimento. Nel caso di Francesco Perlini, il 1991, avrebbe potuto rappresentare la prima vittoria personale alla Dakar (e forse la terza, ndr): l’equipaggio è in testa con 16 ore di vantaggio sul secondo a tre tappe dal traguardo ma un misto di incoscienza e supponenza manda tutto all’aria: per dimostrare che i mezzi Perlini non si rompono mai, Francesco aveva infatti deciso di non portare pezzi di ricambio. La rottura di una sospensione, tra i danni più comuni alla Dakar, fa calare il sipario - momentaneamente - sui suoi sogni di gloria.

Chiamarsi Perlini e vincere la Dakar con un mezzo Perlini è un’impresa già di per sé epica nel panorama mondiale ma mettersi dietro i costruttori specialisti del settore, per di più su auto, rappresenta una soddisfazione enorme. Una cosa che non è sfuggita a Jean Todt quando era a capo del motorsport di Peugeot-Citroen - dominatori di quegli anni - e svelata proprio da Francesco durante un incontro organizzato dal Panathlon Padova: “Chapeau monsieur Perlini, noi spendiamo 15 miliardi all’anno (di lire o di franchi, ndr) per sviluppare i nostri motori e poi ci arriva davanti il suo camion”. In effetti vedere la classifica del 1992, la penultima che ragguppava sia auto che camion, in cui i due mezzi Perlini precedono il fuoristrada Peugeot P4 di Maurice Chomat e Jacky Rocher fa un certo effetto.

Fino al 1992 la Parigi-Dakar è andata avanti senza GPS. Piloti e team viaggiavano con mappe e bussole e spesso rimanevano soli durante la notte perché l’organizzazione non riusciva a raggiungerli. Era quindi usanza condividere il cibo. Perlini fa riferimento alle serate in cui i piloti sono rimasti nel bel mezzo del deserto e per mettere un po’ di energia in corpo si dividevano delle scatolette di tonno. Indipendentemente da chi fosse presente al bivacco, dal rookie al grande campione come Ari Vatanen, vigeva un’unica legge: quella della solidarietà, dell’amicizia e del rispetto tra gentiluomini. Proprio in quei momenti emergeva il vero spirito della Parigi-Dakar.

Chi corre la Dakar potrebbe avere paura di tutto e invece non ha paura di niente. O meglio, sa bene i rischi che corre e la paura se la dimentica per almeno due settimane. Per Franceso Perlini la paura più grande era quella delle moto, dover incontrare e schivare i motociclisti piantati in cima alle dune a causa delle moto pesanti che si insabbiavano. Dune che invece si beve alla grande un bestione dalla trazione integrale permanente con 3 differenziali bloccabili singolarmente. Quel Perlini 105F 4x4 era un mostro da 12.800 kg spinto da un motore Detroit Diesel 8V-92 da 12 litri, in grado di sviluppare una potenza di 550 CV e capace di arrivare a 150 km/h. I dati ufficiosi parlano di una velocità media raggiunta di 184 km/h, non lontano da quelle fatte segnare da Vatanen su Peugeot 405 Turbo prima e Citroën ZX poi. E hanno paura delle moto ferme…

C’erano tempi in cui i trentenni di oggi saltavano sulle pompe per far uscire più carburante e tempi in cui i futuri dottorandi chimici provavano a diluirlo con altre sostanze. Forse nessuno ha mai pensato di farci pipì dentro. Invece la brillante idea è venuta proprio a Perlini junior che nel suo curriculum può vantare anche questa impresa: in una tappa della Dakar 1991 avviata il team aveva fatto due calcoli rendendosi conto che sarebbero stati necessari due litri di gasolio in più per arrivare tranquilli al traguardo, nella speciale lunga 600 chilometri. Quindi per far salire il livello nel serbatoio si è scelto di ricorrere al più classico dei bisogni primari. Mai come questa volta la scelta si è rivelata provvidenziale.

In collaborazione con la redazione Motori di RedBull.com

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